lunedì 6 gennaio 2020

La Necessità ANÁNKE

Gilbert Bayes, Ananke

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La Necessità in Omero, nella tragedia, in certi storiografi e in Platone. Poi in alcuni sommi moderni

"Edipo è la tragedia della 'colpa incolpevole' e della predestinazione. Gli dèi avvertono lealmente il protagonista che il fato gli ha destinato il ruolo di parricida e di marito della propria madre. Egli è padrone del suo arbitrio, ha la piena libertà d'azione e di scelta. Gli dèi non intervengono, si limitano a guardare. Aspettano che egli abbia commesso l'errore, e allora lo puniscono. Gli dèi sono giusti: puniscono l'eroe per un crimine che egli realmente ha commesso, e lo puniscono solo dopo che l'ha commesso. Ma il punto è che l'eroe doveva commettere il delitto. Edipo voleva ingannare il destino, ma non è sfuggito al Fato. Non ha potuto sfuggirgli. E' caduto nel tranello, ha commesso l'errore, ha ucciso suo padre e sposato sua madre. Quel che doveva accadere, accade (…) Il Fato sconfigge Edipo senza miracoli (…) Immaginiamo un cervello elettronico che giochi a scacchi (…) L'uomo deve giocare a scacchi col cervello elettronico, non può abbandonare il gioco, non può interromperlo e deve perderlo. Perde giustamente, nel senso che perde secondo le regole del gioco e perché commette un errore. Tuttavia non poteva vincere"[1].

 la Necessità nella tragedia è una forza ineluttabile. Non così nell'Odissea dove si trovano affermazioni della responsabilità umana: Zeus stesso chiarisce che gli uomini sbagliano attribuendo agli dèi le cause dei loro mali i quali invece derivano dalle loro colpe (I, 32 e sgg.).

Secondo Eschilo invece alla parte (Moira ) assegnata dal destino nemmeno Zeus può sfuggire ( Prometeo incatenato , v. 518).
lo stesso benefattore tecnologico deve ammettere:
"la tecnica è molto più debole della necessità"(514).
 Questo predominio del fato non risparmia nessuno, e il martire aggiunge, consolandosene, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli è stata assegnata"( th;n peprwmevnhn 518) dalla necessità il cui timone è retto dalle Moire e dalle Erinni che sono le dee venerande della vendetta,
Il Titano riconosce l’onnipotenza della necessità"Eppure che dico? Conosco in anticipo tutto/esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/raggiungerà inaspettata: ma il destino assegnato è necessario/sopportarlo il più facilmente possibile, sapendo che/la forza della necessità è ineluttabile"(101 - 105).

Il doloroso grido "io ho presofferto tutto" sarà ricorrente nella letteratura europea: nell'Eneide il pio eroe risponde così alla Sibilla che gli ha preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies inopinave surgit;/omnia praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI, 103 - 105), nessun aspetto delle fatiche, vergine, mi si presenta nuovo o inaspettato: io ho presofferto tutto e ho compiuto in anticipo dentro di me con la mente.
Anche il Tiresia di Eliot ha presofferto tutto :"and I Tiresias have foresuffered all ", ed io Tiresia ho presofferto tutto (The waste land , v. 243).
Nell'Agamennone di Eschilo si legge:"to; mevllon hJvxei"(1240), "quello che deve accadere accadrà", ossia quello che avviene, avviene necessariamente.
Alla fine dell' Ifigenia in Tauride di Euripide Atena ex machina approva Toante, che obbedisce ai suoi ordini, dicendogli:" aijnw': to; ga;r crew;n sou' te kai; qew'n kratei'" (v. 1486), infatti la necessità domina su te e sugli dèi.
. Nell'Edipo re Tiresia avvisa Edipo che la sua ira da tiranno davanti alle parole profetiche è inutile:" infatti esse si compiranno (h{xei) anche se io le copro con il silenzio" (v. 341).
 L'Alcesti di Euripide può essere chiamata la tragedia della necessità. Nel secondo episodio il corifeo ricorda al re Admeto, il quale ha perso l'ottima sposa, che è necessario sopportare queste disgrazie: "ajnavgkh tavsde sumfora;" fevrein (v. 416) in quanto il morire è un debito per tutti noi mortali. 
Nel terzo stasimo poi i coreuti elevano addirittura un inno alla Necessità, vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti gli dèi: "Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ pur avendo toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn, v. 964)/ non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka" - hu|ron oujdev ti favrmakon , vv. 965 - 966)/nelle tavolette tracie che/scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli tagliati come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie./ Di questa sola dèa/non è possibile recarsi agli altari,/né alle statue, né ascolta i sacrifici./Signora, non venire da me/ più potente di prima nella vita./Anche Zeus infatti, qualunque cosa decida,/con te la porta a compimento (su;n soi; tou'to teleuta'/, v. 979)./Tu domi con la tua forza/anche il ferri dei Calibi,/e non ha ritegno/il tuo volere scosceso.(vv. 962 - 983)
Non c'è medicina dunque, non c'è alcuna forza in grado di opporsi a tale potenza la quale sembra travolgere Admeto che il coro tenta di consolare :" kai; s jejn ajfuvktoisi cerw'n ei\le qea; desmoi'""(v. 985), La dea ha preso anche te nei nodi inestricabili delle sue mani.
Nel secondo stasimo dell'Edipo re vediamo che tutte le tirannidi sono zoppe e cadono necessariamente: "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono (mhde; sumfevronta)[2]/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw / - crh'tai "(vv. 873 - 879).

Nell’Oedipus di Seneca il quinto e ultimo canto del Coro riconosce l'onnipotenza del Fato:"Fatis agimur: cedite fatis./Non sollicitae possunt curae/mutare rati stamina fusi./Quidquid patimur mortale genus,/quidquid facimus, venit ex alto; servatque suae decreta colus/Lachesis, dura revoluta manu. " ( vv. 979 - 985), siamo mossi dal fato, arrendetevi al fato. Non possono gli ansiosi affanni cambiare gli stami del fuso immutabile. Tutto quanto noi, stirpe mortale, subiamo, tutto quanto facciamo, viene dall'alto; e Lachesi rispetta i decreti della sua conocchia filati da mano inflessibile.
Tutto dunque è prestabilito.

Procediamo con il quinto Coro dell'Oedipus :"Omnia certo tramite vadunt,/primusque dies dedit extremum./Non illa Deo vertisse licet,/quae nexa suis currunt causis./It cuique ratus, prece non ulla/mobilis ordo./Multis ipsum metuisse nocet./Multi ad fatum venere suum/dum fata timent" (vv. 988 - 994), tutto procede su un percorso fissato, e il primo giorno ha già stabilito l'ultimo. Nemmeno un dio potrebbe cambiare gli eventi che corrono connessi alle loro cause. Va avanti per ciascuno un ordine determinato che non è mutabile da alcuna preghiera. A molti nuoce temere il destino. Molti arrivarono al destino mentre temono il destino.
Si può pensare alla canzone Samarcanda di Vecchioni.

To; de;; movrsimon ouj par - fuktovn, il destino non è schivabile, sentenzia Pindaro nella Pitica XII (vv. 30 - 31).
Tutto quanto riceviamo, ci spetta in quanto è dovuto al nostro carattere, alla nostra storia, alla series causarum che risale alla nascita del mondo[3]: questa è la presa di coscienza dell'uomo intelligente e pio. "In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato 8…) Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile, che troneggia anche sugli dèi, per tutto ciò che accade; tu sei la benedizione o la maledizione e in ogni caso la catena in cui ancje il più forte giace legato; in te è predeterminato tutto il futuro del mondo umano, non ti serve a nulla che tu provi orrore di te stesso”"[4] .

Altre testimonianze si potrebbero dare sul fato, ma ci limitiamo a poche espressioni particolarmente efficaci e sintetiche:"quae fato manent quamvis significata non vitantur "[5], quello che spetta al fato, anche se preavvertito non si evita, scrive Tacito a proposito della morte preannunciata a Galba.

 Possiamo concludere la rassegna con alcuni versi dell'Elegia alle Muse del saggio Solone:"ta; de; movrsima pavntw"/ou[te ti" oijwno;" rJuvsetai ou[q j iJerav"(vv. 55 - 56), in ogni caso il destino né un auspicio né i sacrifici lo terranno lontano. E più avanti (v.63):"Moi'ra dev toi'" qnhtoi'si kako;n fevrei hjde; kai; ejsqlovn", è il destino che porta ai mortali il bene ed il male.
Certo è che l'accettazione del destino è uno dei massimi insegnamenti : questo significa il giusto riconoscimento d'una giustizia insita nelle cose stesse.

Tra gli storiografi Erodoto sopra tutti crede, come Sofocle, negli oracoli e nella necessità insita nei loro vaticini
La profetessa delfica, la Pizia, disse ai messi di Creso che non è possibile neppure a un dio sfuggire al fato:"th;n peprwmevnhn moi'ran ajduvnatav ejsti ajpofugei'n kai; qew'/" (I, 91).

Ammiano Marcellino ricorda quanto il suo imperatore (361 - 363) Giuliano Augusto desse importanza agli auspici e commenta: I vaticini dicevano che Costanzo sarebbe morto tra breve e Giuliano si preparava ad attaccarlo. Gli auspici si traggono dagli uccelli non perché loro conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus (21, 1, 9). Anche il rostrum sonans dà segni. Anche le viscere degli animali (exta pecŭdum). Inventore di questa aruspicina fu Tagete che balzò improvvisamente dal suolo in terra etrusca.
Quando sono in effervescenza (cum aestuant) anche i corda hominum prevedono il futuro ma per loro bocca parla la divinità.
 Il sole è la mens mundi, ut aiunt physici, e rende coscienti le nostre menti che sparge da séstesso come scintille nostras mentes ex sese velut scintillas diffundĭtans, quando le incendia con maggiore violenza (21, 1, 11).

Più ineluttabile è dunque la Necessità nei poeti drammatici che nell'Odissea .
Nella Repubblica di Platone troviamo una controtendenza.
 Il mito di Er, sostiene che l'asse dell'Universo è il fuso di Ananche (Repubblica , 616c) il quale si volge sulle ginocchia (617b) di lei, madre delle Moire : Cloto, Atropo e Lachesi che assegna le parti. Queste vengono scelte dalle anime in prossimità di intraprendere un'altra vita: “" oujc ujma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe"(617e): non sarà il demone a sorteggiare voi, ma voi sceglierete il demone; esse sono del resto segnati dalle esperienze dell'esistenza precedente: Aiace per esempio si scelse la vita di un leone per il ricordo del giudizio delle armi,
Agamennone "per avversione al genere umano e i dolori sofferti prese in cambio la vita di un'aquila"(620b). Odisseo, guarito da ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e tranquillo ("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", 620c). Qui comincia l'ellenismo.
Comunque il libero arbitrio non è annientato: Lachesi sostiene che la virtù è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta, non la divinità. Parola di Lachesi, la vergine figlia di Ananche:" "jAnagkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" lovgo"".

Tra i moderni Victor Hugo nella prefazione a Notre Dame de Paris racconta: "l'autore di questo libro trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro: ANAGKH". E conclude:"Proprio su quella parola si è fatto questo libro".

Musil trasforma il fatis agimur nell'essere in balìa delle cose:" Si direbbe che ad ogni istante noi abbiamo in mano gli elementi, e la possibilità di fare un progetto per tutti (…) Ma purtroppo non è così. Siamo noi, invece, in balìa delle cose".[6]


Calzanti sul fatalismo ci sembrano queste parole di Tolstoj:"Dunque tutte queste cause - miliardi di cause - hanno agito in concomitanza per dar luogo a ciò che accadde. Di conseguenza, nulla fu causa isolata ed esclusiva dell'evento, ma l'evento dovette verificarsi semplicemente perché doveva verificarsi." Si tratta della campagna napoleonica di Russia in Guerra e Pace (p.909). Poco più avanti (p. 912) l'autore conclude il capitolo con queste parole:"Ogni azione compiuta da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in senso storico è tutt'altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in connessione con tutto il corso della storia ed è predestinata ab aeterno ".
Kutuzov, l'antagonista di Napoleone aggressore della Russia è, nel grande romanzo epico di Tolstoj un cultore della necessità: "Kutuzov non si farà prendere la mano da nulla di personale, non escogiterà nulla, non intraprenderà nulla - pensava il principe Andrej - ma ascolterà tutto, ricorderà tutto, metterà tutto al suo posto, non impedirà nulla di utile e non permetterà nulla di dannoso. Egli capisce che c'è qualcosa di più forte e importante della sua volontà: è il corso inevitabile degli eventi (... ) Ma soprattutto quello che ti fa credere in lui è il fatto che è russo[7].
Kutuzov "sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde. Cadrà da sé quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e ti si allegheranno i denti"(p.1541).

 Infine la parabola del guardiano della legge e dell'uomo di campagna raccontata dal prete nel Duomo del Processo di Kafka si conclude con l'affermazione della potenza della necessità:"Non si deve credere che tutto è vero, si deve credere che tutto è necessario"(p.226).

giovanni ghiselli
p. s
6 gennaio 2019 Alla fine di questo mese il mio blog compirà 7 anni

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 Saluto i nuovi lettori finlandesi con rinnovata simpatia per la Finlandia


[1] J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 100.
[2] Queste parole possono smontare l’utile perseguito da Giasone.
[3] Seneca nel De beneficiis scrive che Giove può essere chiamato anche fatum, “cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum” (4.7).
[4]Nietzsche, Umano troppo umano , II, 61, Fatalismo turco (pp. 155 - 156)
[5]Historiae I, 18.
[6] L'uomo senza qualità, p. 27.
[7]Guerra e pace , p. 1126.

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