lunedì 27 gennaio 2020

Donne nell'epica greca. Parte 2. Elena di Sparta e di Troia

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Seconda parte della conferenza che terrò il 3 febbraio alle 17 nella biblioteca Pezzoli di Bologna

Elena di Troia

Elena nel III canto dell’Iliade rappresenta al suo apparire la bellezza in sé; (kalo;n autov).
 La sua avvenenza colpisce i vecchi compagni di Priamo che per l’età avevano smesso la guerra ma erano ajgorhtai; esqloiv (III, 150) oratori abili, simili alle cicale - tettivgessin ejoikovte" - che nel bosco stando su una pianta mandano voce di giglio (151).
Ebbene questi anziani, come la vedono, dicono che non è nevmesi~[1] (v. 156) non è motivo di sdegno che per una donna siffatta tanti uomini soffrano a lungo dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.
Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i vecchi aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia quale ph`ma (sciagura, danno v. 160) per noi e per i nostri figli.
Però Priamo, più coraggioso[2] e più affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi vicino a lui, poiché non lei è colpevole - ajtivh - ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono stati loro a muovere la funesta guerra dei Danai.

Nell’Iliade Elena del resto è per lo più una pentita: nel III canto a Priamo - venerando e terribile - aijdo'io" - e terribile deinov" 172 - risponde: oh se mi fosse piaciuta la morte - wJ" o[felen qavnato" moi aJdei'n - , 173, quando seguii tuo figlio abbandonando mia figlia. Quindi dalle mura dà indicazioni sui capi degli Achèi. Agamennone alto, Odisseo meivwn kefalh'/ rispetto all’a[nax (III, 193) ma più largo di spalle. Poi Aiace gigante rocca degli Achei - e{rko" jAcaiw'n. Idomeneo cretese, Castore ijppovdamon e e Polluce pu;x ajgaqovn - suoi fratelli, 237.
Dopo il duello tra Menelao e Paride salvato da Afrodite, la dea spinge Elena verso il letto del perdente salvato apunto da lei. Ma la figlia di Zeus risponde che non andrà a servire il letto di Paride; tutte le Troiane dietro le spalle mi biasimeranno: Trwai; dev m’j ojpivssw - pa'sai mwmhvsontai (III, 410 - 411)
 Afrodite allora si infuria ed Elena deve obbedire
Comunque quando arriva sul talamo la bellissima dice a Paride wJ" w[fele" aujtovq j ojlevsqai , vinto da un uomo forte come era il io primo marito.
Paride si giustifica dicendo che Menelao è stato aiutato da Atena, poi la corteggia enfatizzando il proprio desiderio: non l’ha mai desiderata tanto, nemmeno a Sparta, e la porta a letto.

Nel VI canto Ettore va nelle stanze della coppia fatale per sollecitare Paride a muoversi verso la battaglia. Il fratello donnaiolo si scusa dicendo che si stava preparando e, aggiunge, anche la sposa con parole tenere mi ha spinto alla guerra - me a[loco" malakoi'" ejpevessin - o{rmhs j ej" povlemon - 337 - 338 . Poi chiede a Ettore di aspettarlo o di andare avanti, io ti seguo: h] i[q j, ejgw, de; mevteimi - 341.
L’eroe non gli risponde, mentre Elena parla a Ettore chiamandolo cognato mio, di una cagna che fabbrica mali, agghiacciante - da'er - voc di dahvr lat. leviri - ejmei'o kuno;" kakomhcavnou ojkruoevssh" (344) - kruvo" - ou" tov freddo e gelo.
Le dispiace addirittura essere nata.
La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore, soprattutto per la scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma almeno fossi stata in seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon ajmeivnono~ ei\nai a[koiti~ , VI, 350) che conoscesse l’indignazione.
Ma questo[3] non ha cuore saldo (frevne~ e[mpedoi, 352) né l’avrà in seguito[4].
Le donne che possono scegliere non perdonano l’insuccesso.
Del resto l’uomo in preda all’amore è giudicato male in parte non piccola della letteratura europea. Si pensi a Orfeo di Virgilio.
Dante mette Paride all’inferno con Elena, Semiramide, Cleopatra, Achille, Tristano e più di mille peccator carnali che la ragion sommettono al talento (V canto).
Elena continua a insultare l’imbelle privo di frevne" e[mpedoi, stati d’anomo saldi.

Paride era già stato insultato dal fratello nel III canto che propone il contrasto tra apparenza e sostanza.
In testa all'esercito troiano si fa vedere Paride con l'aspetto di un dio (qeoeidhv" , v. 16), con pelle di pantera sopra le spalle, arco ricurvo e spada, e, per giunta, squassando due lance a punta di bronzo.
 Il bellimbusto sfidava tutti i campioni degli Achei. Ma quando Menelao, contento della preda, saltò a terra dal carro per affrontarlo, il seduttore di Elena sbigottì in cuore e si ritirò presso i compagni. Allora Ettore lo assalì con parole che vogliono essere infamanti: gli diede del donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav v. 39), poi lo accusò di smentire l' aspetto splendido (ei\do" a[riste) con un cuore senza forza né valore (45), in quanto era uomo capace di portare via le donne agli uomini bellicosi ma non di affrontarli.
Allora Paride gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto nessuno può scegliersi.
Quindi il donnaiolo si presta ad affrontare in duello il rivale Menelao. Se la caverà solo in quanto salvato da Afrodite
Paride dunque è bello ma non vale niente secondo il fratello.

Eppure la bellezza giustifica la vita. Senza bellezza non si può vivere.
La giustificazione estetica della vita umana, il culto della bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".

Torniamo al VI canto dove Elena si scusa con Ettore per i molti travagli da lui sofferti a causa mia, la cagna e[nek j ejmei'o kunov" 356 e per l’acciecamento e[nek j a[th" di Alessandro. Elena invita il cognato a sedere accanto a lei, ma il grande eroe, bravo marito e caro padre deve andare da sua moglie e suo figlio, poi a combattere

Nel XXIV canto Elena piange su Ettore morto e dice “ fossì morta prima” (wJ~ pri;n w[fellon ojlevsqai , XXIV, 764)
Elena che a tratti disprezza Paride e lo rigetta, stima Ettore e prova affetto per lui.
Nel compianto funebre dice che solo Ettore e Priamo, il suocero, eJkurov~ furono buoni con lei, mentre i cognati e le cognate e pure la suocera hJ eJkurhv, la rimbrottavano ( XXIV, 770).
“Ma quando cominciavano a farlo, tu li trattenevi con la tua dolcezza e con parole dolci”, dice la donna fatale all’eroe troiano.
Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre opere. Elena, come una parola del vocabolario, e, al pari di altri personaggi del mito, assume significati diversi in diversi contesti.


[1] Il pittore Zeusi (V - IV sec.) dopo averla dipinta per il tempio di Era non aspettò il giudizio della critica, ma scrisse sulla tela ouj nevmesi~.
[2] Non solo la guerra ma anche la bellezza può fare paura.
Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443 - 3444), riporta questi della Canzone XIV di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53 - 55):
"Quante volte diss'io allor pien di spavento
Costei per fermo nacque in paradiso!".
 Quindi fa seguire un commento relativo alla paura suscitata dalla bellezza:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta."
[3] Paride.
[4] Nel III libro Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava per ucciderlo. Il perdente si era salvato dunque con una fuga vergognosa secondo la morale degli eroi i cui motti sono “non cedere” e “primeggiare sempre”

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