lunedì 13 gennaio 2020

Umano e disumano. Parte 6

manoscritto di Proust

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Per la notte dei Licei, Liceo classico M. Tondi di San Severo

Disumane, o troppo umane, comunque rovinose, sono gelosia, possessività e invidia

L'amore maturo significa un'uscita dalla gelosia e dalla possessività.
Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o un tramonto.

Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per la guarigione. Vediamo: "appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena rivedeva bontà nel suo sorriso (...) il suo amore ridiventava soprattutto un gusto delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno, l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono di voce" (Proust, Dalla parte di Swann, p. 322).

Una soluzione del genere si trova in La Noia di Moravia: "insomma, lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioè contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri della finestra"[1]. Romanzo del 1960. Dino e Cecilia vivono una vicenda con alcuni aspetti che ritornano, approfonditi, nel successivo romanzo Un amore di Buzzati.

Anche il protagonista di Un amore di Buzzati arriva alla comprensione e alla compassione per la ragazza che l'aveva fatto soffrire, quando c’erano stati dei conflitti tra loro, osservandola sine ira et studio :" dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di pietà e di pace, una specie di invisibile carezza"[2]. Il borghese Antonio Dorigo, un cinquantenne guarda la ragazza Laide conosciuta in un bordello di lusso della quale poi si era innamorato soffrendo per la gelosia, e quando lei dice: “Io voglio avere una bambina”, lui pensa: “i loschi miti fra cui era andata marcendo - ambigua e crudele selva - non le appartenevano”. Insomma la guarda, la vede com’è, la rispetta (cfr. respicio). Il romanzo è ambientato a Milano nel 1960. pubblicato nel 1963. In entrambi questi romanzi c’è la difficoltà di conciliare la vita borghese con l’amore.
Già T. Mann aveva narrato e notato questa aporia nel romanzo del 1901
 I Buddenbrook (1901).

La Zambrano suggerisce di uscire dalla caverna del proprio io per il superamento dell'amore come invidia dell'altro. "ben presto nell'amore l'altro si trasforma in uno. L'invidia, invece, conserva ostinatamente l'alterità dell'altro, senza permettergli di raggiungere la purezza dell'uno. E mantenendo l'altro, l'avidità aumenta sino alla frenesia (…) la differenza tra l'invidia e l'amore sembra trovarsi nella visione: l'amore vede l'altro come uno; l'invidia vede ciò che potrebbe essere uno come l'altro (…) L'invidioso, che sembra vivere fuori di sé, è un individuo immerso nel proprio intimo: invidere, già nella sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l'altro. Guardare e vedere un altro non fuori, non dove l'altro sta realmente, ma in un dentro abissale, un dentro allucinato che si confonde con la solitudine, dove non trova il segreto che ci fa sentire noi stessi"[3].
L'invidia si supera trovando la propria identità:"se cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà"[4].

Umano è adoperarsi per gli altri
La publica salus deve importare al re assolutamente.
Nell'Edipo re il figlio di Laio dice: "ma se ho salvato questa città, non mi importa" (v. 443). Qui sta la sua grandezza e questo è il significato più vero e utile della tragedia sofoclea: l'impiego del dolore per il vantaggio, la bellezza, la salvezza propria e della comunità. Chi riesce a fare questo è un uomo, e chi assiste alla metamorfosi del pavqo" in mavqo" diventa migliore. Il poeta scrive per tale risultato che dà senso alle sue parole e alle danze del coro. Sofocle asserisce che il compito del drammaturgo è condurre chi ascolta e vede le tragedie a una visione religiosa dell’esistenza: Edipo e Giocasta in una fase dell’Edipo re sono i rappresentanti di quel pensiero laico - sofistico cui Sofocle si oppone con tutta la sua produzione poetica, e più che mai con questo dramma, dove il coro, portavoce dell'autore, durante il secondo stasimo, domanda:"Se infatti tali azioni sono onorate,/ perché devo eseguire la danza sacra?"(vv.895 - 896). Se gli oracoli vanno in malora e Apollo è dimenticato, tutti gli dei tramontano (v.910); allora la stessa rappresentazione tragica, che fa parte della liturgia religiosa, perde ogni significato e diviene assurda.

La formulazione latina del dovere di adoperarsi per gli altri si trova in un'epistola di Seneca:" Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur "[5], vive chi si rende utile a molti, vive chi si adopera.
Bisogna cogliere i nessi.

Tutta la natura è imparentata con se stessa ed è disumano l’odio di una parte per l’altra

Tutta la natura è imparentata con se stessa scrive Platone nel Menone (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d).

Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'Oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore"[6].

 “Per una misteriosa simpatia delle cose d'intorno, quasi che cielo e terra fossero tristi della tristezza di quei due esseri umani, il cielo d'un subito si schiarì e un'ondata di sole scese dall'alto, investì la foresta, rise sopra ogni foglia verde, colorì d'oro ogni foglia morta, accarezzò teneramente i vecchi tronchi grigi e rugosi (…) L'amore, sia quando nasce, sia quando risorge da un letargo che era sembrato mortale, sprigiona tanta luce che tutto il mondo d'intorno se ne accende; ma quand'anche sulla foresta si fosse disteso ancora il livido cielo di dianzi, essa sarebbe apparsa egualmente inondata di sole agli occhi di Hester e di Dimmesdale" (La lettera scarlatta[7], p. 161). I due sono gli amanti adulteri. La lettera scarlatta, the scarlet letter è A di Adultery Adulteress.

Innaturale è dunque l'odio tra gli uomini.
Il medico del Macbeth, vedendo la regina malata e udendola sussurrare parole orrende, fa la sua diagnosi:"Unnatural deeds do breed unnatural troubles" (V, 3), atti innaturali generano turbamenti innaturali.
Innaturale qui è stato il delitto generato dall'ambizione.

Del tutto innaturale e disumano è l’odio tra i maschi e le femmine umane.

Contro natura è l’odio tra le femmine e i maschi che la propaganda di gente interessata cerca di aizzare e rinfocolare.
Il consumismo, l’adorazione della merce, come quella dei capi, è tutto sesso andato a male, che diventa acido (“is simply sex gone sour[8])

Le donne non sono nemiche degli uomini ma questi le rendono tali

 Menandro con l’Arbitrato ci fa capire che in natura niente è tanto congeniale come l'uomo e la donna. Come poeta d'amore[9] il massimo autore della commedia nuova non può trascurare o biasimare tale inclinazione reciproca.

L'inimicizia delle donne nei confronti degli uomini ha avuto, almeno in passato, la genesi che Seneca attribuisce a quella degli schiavi per i padroni:"non habemus illos hostes, sed facimus (Epist. ad Luc. , 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li rendiamo tali.

Nell’Ifigenia in Aulide Clitennestra cerca di farlo capire al marito Agamennone che intende uccidere la loro figliola
Clitennestra lo accusa : hai ucciso il mio primo marito, Tantalo[10] e hai strappato dal mio seno e sfracellato al suolo il bambino avuto da lui
I miei fratelli Dioscuri volevano punirti, ma mio padre Tindaro ti salvò e così mi sposasti. Quindi sono stata una moglie irreprensibile (a[mempto~ gunhv). Una fortuna per te: una moglie siffatta è spavnion qhvreum j (1162) raro bottino, mentre non c’è spavni~, penuria di spose cattive.
Ti ho dato un maschio, Oreste, e 3 figlie: Ifigenia, Elettra, Crisotemi.
Come credi che reagirò se me ne toglierai una; quali sentimenti pensi che avrò, vedendo vuoti i seggi di Ifigenia ? Lascerai odio (mi`so~, 1179) partendo, e al ritorno basterà un lieve pretesto per farti avere l’accoglienza che meriti. Allora, continua Clitennestra, non costringermi per gli dèi a diventare cattiva nei tuoi confronti, e non diventarlo tu ( mh; dh'ta pro;" qew'n mhvt j ajnagkavsh/" ejme; - kakh;n genevsqai peri; se, mhvt aujto;" gevnh/, Ifigenia in Aulide, 1183 - 1184).

Nell’Elettra di Euripide del 413, Clitennestra si giustifica dell'assassinio di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i torti subiti dal marito, giustiziato dunque, per le sue numerose malefatte. Intanto uccise la primogenita in maniera spietata:"leukh;n dihvmhs j[11] jIfigovnh" parhΐda " (v. 1023), lacerò la bianca guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per salvare altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027) e Menelao era incapace di punire una moglie infedele. Inoltre quel “buon” marito tornò a casa portandosi dietro una menade invasata[12] e la infilò nel letto ("mainavd j e[nqeon kovrhn - levktroi" t j ejpeisevfrhke[13]", vv. 1032 - 1033).



[1]Moravia, La Noia , Bompiani, Milano, 1984, p. 345.
[2]D. Buzzati, Un Amore , Mondadori, Milano, 1965, p. 250.
[3] L'uomo e il divino pp. 258 - 259.
[4] M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.
[5] Epist. 60, 4.
[6]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , del 1880, p.402.
[7] Di Nathaniel Hawthorne, del 1850.
[8] G. Orwell, 1984, parte Ii, cap. 3.
[9] "Fabula iucundi nulla est sine amore Menandri", nessuna commedia del piacevole Menandro è senza amore, ricorda Ovidio (Tristia , II, 369).
[10] Un figlio di Tieste
[11] Aoristo di diamavw. Un sostituto simbolico della deflorazione.
[12] Cassandra ovviamente.
[13] Aoristo di ejpeisfrevw. Si noti ancora la presenza del letto.

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