venerdì 29 dicembre 2023

L’eroe e l’antieroe nella cultura europea. Prima parte


La diversità dell’eroe dell’epica dall’uomo comune

 

La relazione con la morte costituisce il più profondo tratto distintivo dell’eroe. Achille  non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo  Xanto. Questo inclinò il capo e tutta la chioma pa`sa de; caivth  giunse a terra: quindi disse : “ toi ejgguvqen h\mar ojlevqrion”,  ti è vicino il dì della morte (Iliade, XIX, 405 e 409). Achille non si lascia spaventare dalle parole male ominose del cavallo fatato e risponde: “Xanto, perché mi predici la morte? Non ce n’è bisogno da parte tua. Lo so anche io che il mio destino è morire qui. Ma non cederò"ouj lhvxw" prima di avere incalzato a sazietà i Troiani in battaglia.

 

Il film Rush.

I piloti di formula uno calcolano che ad ogni gara hanno venti possibilità su cento di morire. Ma non si tirano indietro. Hunt che è più simile ad Achille, non lo fa mai, Lauda più confrontabile con Odisseo, si ritira da una gara flagellata dalla pioggia, dopo un’altra competizione infernale durante la quale aveva patito un incidente dove aveva rischiato la vita ed era rimasto sfigurato.

Per tornare a gareggiare e non cedere il titolo al rivale Hunt senza combattere, si era fatto curare precipitosamente con terapie dolorosissime.

Come Odisseo, Lauda è meno prestante dell’altro eroe.

 

Recente è il film Ferrari con due piloti che corrono il rischio fino a morire. Il secondo porta con sé negli inferi una decina di persone, compresi dei bambini. Accadde nel 1957. In seguito a questa strage le Mille Miglia vennero annullate. Non vengono invece mai annullate le guerre che annichiliscono uomini donne e bambini a centinaia di migliaia.

 

 “Ulisse è uno di quei personaggi che dalle profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiave…E’ un tipo incredibilmente furbo. Possiede una qualità che i Greci chiamano métis, astuzia-mh`ti~-. Un’astuzia che gli consente di cavarsela tutte le volte che sembra ormai perduto. Ulisse ha tutto contro, combatte con forze più grandi di lui, eppure trova il modo, con astuzia, scaltrezza, bugie-dissimulando il proprio pensiero-di inventarsi qualcosa e avere, infine, la meglio”[1].

La parentela etimologica di mh`tiς con il latino metior rende l’idea di come sia misuratore e  calcolatore l’uomo   poluvmhtiς.

 

Nel I canto dell'Iliade  Odisseo è già l'uomo che, molto dotato di intelligenza[2], riceve l'incarico di ricondurre Criseide al padre per ristabilire la pace tra il sacerdote di Apollo e Agamennone.

Nel secondo canto del poema più antico, Odisseo, simile a Zeus per intelligenza[3], quindi diverso dagli altri uomini, riceve da Atena il compito di trattenere la fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole[4].

La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un altro epiteto formulare[5], il quale lo caratterizza come uomo intelligente e capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa capacità di ristabilire una situazione compromessa; infatti, nel II canto dell’Iliade, Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga alternando le blande parole con  ingiurie e facendo cadere lo scettro-bastone sul petto e le spalle dell'uomo deforme[6], l’odiosissimo[7] Tersite dalla lingua confusa “Qevrsit  j ajkritovmuqe, Tersite che parla senza giudizio[8].

“Egli lo spoglierà completamente e lo scaccerà a forza di bastonate dal posto in cui è riunito l’esercito (ajgorh'qen[9]).

Non vi viene subito in mente il pharmakós o capro espiatorio, l’uomo più brutto della comunità, che veniva trasformato in vittima espiatoria e scacciato dalla città?”[10].

 

Per il farmakovς cfr.  Edipo re di Sofocle e Oedipus di Seneca.

 

Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e ristabilizzante.

Dice: “ non è bene il comando di molti: ci sia un solo capo” oujk ajgaqo;n polukoiranivh: ei\~ koivrano~ e[stw” (II, 204)

Quindi egli parla all'esercito, non senza essere stato adornato con altri epiteti[11];  infine l’Itacese viene designato con una qualificazione più specificamente odissiaca[12].

Agli epiteti esornativi non bisogna dare troppa importanza poichè spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla necessità metrica che "nella poesia omerica è fattore determinante anche per la scelta delle espressioni e degli epiteti"[13]. 

 

Invece sono caratterizzanti le parole che Odisseo rivolge all'assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati di essere come bambini piccoli o come donne vedove[14] mettendo in luce una distinzione tra l' uomo compiuto[15], egli stesso, capace di riflettere, parlare, agire, e  l'uomo bambino o l'uomo-comare querula, creature dalla ragione meno sviluppata.

Nel I canto dell’Odissea, i compagni di ritorno di O

disseo, tutti morti, vengono ricordati come:"stolti (nhvpioi) che divoravano i buoi del Sole/Iperione: ma quello tolse loro il dì del ritorno" (vv. 8-9)

-nhvpioi: è formato dal prefisso negativo nh-(simile ad aj-privativo)+ la radice ejp- sulla quale si forma e[po", "parola" e dunque corrisponde al latino infans  (formato dal prefisso negativo in- +fans  di fari =parlare). La manifestazione più evidente della stoltezza è dunque l'incapacità di parlare poiché chi non possiede la parola non ha neppure le idee e non controlla la mente.

Esiodo concede allo stolto una possibilità di ravvedimento attraverso la sofferenza:"paqw;n dev te nhvpio" e[gnw"(Opere , v. 218).

 

Cfr. Gli uomini bambini di H. Hesse in Siddharta : “La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino...Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti fare dell'amore un'arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli uomini-bambini: questo è il loro segreto"[16].

 

La maturità riflessiva e intelligente, indipendente dall'istinto del gregge è un aspetto distintivo dell'uomo Odisseo.

E' proprio questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr,  latinamente vir , capace appunto di virtù la quale, afferma Nietzsche, "è il vero e proprio vetĭtum entro ogni legislatura di gregge"[17].

Di tale virtù fa parte la capacità di opporre resistenza ai mali e alle minacce di cui è piena la vita, di sopportarle. Un' esortazione che Ulisse  rivolge più volte a se stesso e ai suoi compagni di avventura a cominciare da questo discorso dell'Iliade  dove esorta i soldati dicendo:" tenete duro cari e aspettate del tempo”[18]. Continua

 Bologna 29 dicembre 2023 0re 19, 04

giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] J.Pierre Vernant, C’era una volta Ulisse, p.5.

[2] poluvmhti" , vv. 311 e 44o

[3] Dii; mh'tin ajtavlanton, v. 169. Anche in Iliade X, 137., di ugual peso di Zeus.

[4] ajganoi'" ejpevessin", v. 180

[5] polumhvcano~,  v. 173 ricco di risorse

[6]  Iliade II 216.ai[scisto" ajnhvr

[7] e[cqisto~, Iliade II, 220.

[8] Iliade II, 246.

[9] Iliade II, 264 ndr

[10] G. Murray, Le origini dell’Epica greca, p. 269.

[11] di'o", v. 244, splendido, molto generico invero: attribuito in XIV, 3 dell'Odissea anche al porcaro il quale del resto ha un comportamento nobile; poi ptolivporqo", v 278 distruttore di rocche, anche questo generico e attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares, Achille e Oileo

[12] eϋfronevwn, Iliade II, v. 283, assennato

[13]Cantarella-Scarpat, Breve introduzione a Omero, p. 151.

[14] w{" te ga;r  h] pai'de" nearoi; ch'raiv te gunai'ke"", Iliade  II, v. 289

[15] l' a[ndra del primo verso dell'Odissea

[16] H. Hesse, Siddharta, pp. 88-90.

[17]Scelta di frammenti postumi 1887-1888 , p. 324.

[18] tlh'te, fivloi, kai; meivnat j ejpi; crovnon"(II, v. 299)

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