sabato 2 dicembre 2023

Ifigenia LXXXI. “Che stellina!”

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Andavo verso Ora sull’autostrada del Brennero. Ero solo dentro la nera Volkswagen. Pensavo che due giorni dopo sarebbe stato il giorno di Pasqua, il dì della Resurrezione di un giovane ucciso in una croce o ferito a mote dal dente funesto di un cinghiale:
apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium frugum [1]
Quel viaggio era un ritorno a un luogo della mia infanzia, ancora oggi ricco di mito e poesia nella mia mente.
Durante il viaggio però pensavo ancora a Ifigenia, a cosa volevo e potevo farmene. Volevo continuare ad amoreggiare con lei ma niente, o poco di più. Almanaccavo e arzigogolavo a lungo anche perché lunga era la strada e piuttosto noiosa.
Concludevo: “amante sì, ma moglie no mio Dio, per carità”.
Del resto nessuna donna volevo quale moglie. Pure Elena, la migliore di tutte, che avrei amato per sempre, mai l’avrei sposata. Alla stessa automobile che stavo guidando avevo dato il nome di Elena, nome che tuttora mi predispone bene verso una femmina umana. Quando l’ebbi conosciuta, meravigliosamente, le dissi indicando la nera Volkswagen: “tu sei la mia prima donna da quando ho questa macchina: la chiamerò con il tuo nome, classico e bello come sei tu”. Elena rispose carinamente che avrebbe chiamato gianni il suo primo figlio.
Intanto pioveva. Verso le cinque di sera giunsi a Predazzo.
Il cielo era sempre oscurato da nuvole gonfie. Il paese, ultimo della valle di Fiemme, mi accolse con il suono lugubre delle campane che annunciavano la morte del dio crocifisso, mentre le Pale di San Martino visibili dall’uscita nord del paese, tutte bagnate com’erano, sembravano donne vissute per anni lontane dal sole e rese pazze o malate di tisi dalle intemperie.
Poco più avanti la valle si strozza, quindi si riapre e a Moena cambia nome in valle di Fassa.
Moena è un luogo tanto bello da suscitare meraviglia. Tale impressione prepoetica e prefilosofica provai la prima volta che vidi il paese e le rupi sovrastanti: il catenaccio e i monti pallidi. Come le vidi, era l’estate del 1948,  gridai alle zie : “che macello di rocce!”. Una signora passando vicino a noi commentò: “che stellina questo bambino!” non avevo ancora compiuto quattro anni ma ne trassi coraggio. Le zie mi fecero i complimenti.
 Mi aveva fatto esclamare quelle parole il mio stupore di bimbo cresciuto sul mare, la mia meraviglia davanti a quelle enormi figure semiumane schierate prima di affrontarsi in uno scontro con altri immani giganti.
 
Bologna 2 dicembre 2023 ore 11, 23 
giovanni ghiselli
 
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1432109
Oggi117
Ieri542
Questo mese659
Il mese scorso14896
 


[1] Ammiano Marcellino, XXII, 9, 15. 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLVIII. Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare.

  Pregai il sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura. “Aiutami Sole, a trovare dentro questo lungo travagli...