lunedì 11 dicembre 2023

Ifigenia XCI. Torniamo dentro la scuola. Et ego scholasticus sum et tu: lector intende

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Nemmeno io ero del tutto convinto. Avevo dei dubbi sull’ educazione di Ifigenia, sullo stile di lei involgarito dal suo esibizionismo.

Il tempo avrebbe rivelato la donna, giusta o ingiusta che fosse, buona o cattiva.
Quindi passiamo ad altro.
Il 15 maggio era una giornata luminosa  ma dentro il cupo liceo l’aria era buia e pesante siccome il vecchio edificio, affacciato su vie strette e circondato da costruzioni oppressive, non lascia entrare ad ampi fiotti la luce con le sue grosse mura e i vani delle finestre trasformati in feritoie, attraversati com’erano da rugginose inferriate, per giunta schermate da tende cupe e voluminose. Inoltre i ragazzi arrivati alla metà  del mese odoroso, pieno di voli, sono sfiniti. Ero stanco anche io soprattutto di burocrazia e di certe dispute inutili con alcuni colleghi . Per me e la mia classe iniziava il periodo più faticoso. Il preside aveva annunciato visite di necessario controllo  del mio operato sospetto: gli allievi ne erano innervositi; io non le temevo, però mi disturbava dover  subire giudizi da un uomo che non aveva mai mostrato di dare giudizi sereni sul mio conto.
  Dunque l’inquisizione poteva arrecarmi delle noie se non anche dei dispiaceri. Uno grosso quel dirigente me lo aveva già dato togliendomi le classi che portavo avanti da due anni e avevano manifestato a lungo per continuare a ricevere paideia da me. Quell’uomo appoggiato da una cricca di miei colleghi simili a lui o asserviti  al suo potere, non era rassegnato a lasciar correre l’ essenziale diversità dl mio stile  dal proprio  senza crearmi altri problemi, veri e propri ostacoli al mio lavoro educativo. Volevo insegnare ai giovani non solo le necessarie nozioni, ma attraverso gli autori aiutarli a evitare gli errori fatti da me in passato. Pure io ero malevolo verso quell’uomo poiché il maltrattamento subito non solo era un’offesa alla mia persona ma anche al grande lavoro fatto con sacrifici quotidiani per  anni. Un’offesa anche all’istituzione scolastica. Dunque non facevo nulla per appianare i contrasti, anzi tendevo ad accentuarli per dare un esempio di ribellione all’iniquità e alla prepotenza. Oggi, dopo tanti decenni dico che ho fatto bene a provocare quegli scontri pur dolorosi  perché non mi sono rassegnato a fare un lavoro che non era il mio. Avevo già capito che non esiste virtù che non sia anche capacità e dovevo dimostrare a me stesso di avere la volontà e la forza di lottare per fare il lavoro che mi piaceva siccome era il mio.
Arrivato a 55 anni, mi venne a noia anche l’insegnamento liceale poiché sentivo che non mi dava più stimoli sufficienti, e feci il concorso per la SSIS dell’Università, dove per dieci anni avrei insegnato ai giovani laureati in greco come si insegna la lingua e la cultura greca proficuamente per discenti e docenti. Nel frattempo avevo incontrato persone benevole, in grado di apprezzare i miei studi e i miei scritti. Devo la vincita di quel concorso alle traduzione e ai commenti dell’Edipo re e dell’Antigone di Sofocle. Avevo cominciato a commentare queste tragedie già nell’anno cui siamo arrivati, avendo capito per tempo che fare lezioni orali non mi bastava più. Scrivere dovevo, in modo che il sapere diventasse potere, o meglio, che la sapienza diventasse potenza. Non quella di comandare bensì quella di fare un lavoro che mi piaceva, mi si addiceva e mi consentiva di manifestare intera la mia capacità educativa e renderla utile a molti

 
Bologna 11 dicembre 2023 ore 10
 giovanni ghiselli

p. s.
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