sabato 16 dicembre 2023

R. Musil, L’uomo senza qualità. III. 20. 1. La questione di Trieste città mista

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Ulrich dunque “ritornò dal conte Leinsdorf” p. 813

Sua signoria era circondato da silenzio, devozione, solennità e bellezza. Il conte fece a Ulrich le condoglianze per la perdita del padre ricordandolo come “uno degli ultimi rappresentati autentici del capitale e della cultura”.
Ulrich per cortesia gli domandò quali progressi avesse fatto l’azione parallela. Una cortesia perché il giovane non ci credeva più.
La borghesia più elevata cerca sempre di imitare l’aristocrazia.
Il conte vuole portare avanti “l’iniziativa patriottica” e distrarre Ulrich per poi chiedergli “di rinunziare a deporre il titolo onorifico di segretario dell’Azione Parallela”
 Lo farà alla fine di questo lungo capitolo (p. 824) dopo molte chiacchiere non prive di un pizzico di sale del resto.
Riferirò le parole più interessanti.
 
Il primo argomento è la questione di Trieste. La nostra città ancora “irredenta” secondo i nostri patriotti inclini alla guerra. La prima mondiale intendo.
Dunque: “da anni la città austriaca assume soltanto impiegati italiani per affermare la sua appartenenza all’Italia e non all’Austria”.
Per l’anniversario dell’Imperatore, Trieste espose solo tre o quattro bandiere. Del resto il governo non può intervenire se vuole evitare l’accusa di germanizzare la città dice il conte.
Le incertezze del potere spesso sono relativi a quisquilie.
Ulrich ricordava, e lo disse, che “la città portuale era stata fondata su suolo sloveno dalla Repubblica di Venezia e conteneva ancora una grossa popolazione slava la cui piccola borghesia contestava alla privilegiata alta borghesia di lingua italiana il diritto di considerarsi padrona della città”. La conoscenza della storia e di come è composta la popolazione rende più seria la questione.
Leinsdorf teme una lega antiaustriaca tra italiani e sloveni se il governo imperiale tentasse di germanizzare Trieste.
Penso a Italo Svevo-Aron Hector Schmitz il quale prendeva lezioni di inglese da Joyce e scrive romanzi belli ma in un italiano dal lessico strano e significa il crogiolo di culture costituito da Trieste, allora e probabilmente anche oggi.
Tale mistura salva questa città non grande dal provincialismo di tante cittadine dell’Italia profonda.
Leinsdorf continua a parlare con “eloquenza curialesca” e Ulrich non può trattenersi dal domandargli: “Non pare a vostra Signoria che l’ordinanza del Governatore che impone l’osservanza della legge lasci tutto al posto di prima?”
Frequenti sono in letteratura le osservazioni sulla inanità di leggi anche buone.
Nell’Areopagitico del 356, Isocrate aveva scritto che le buone leggi non bastano se nella polis non ci sono buoni costumi. Il progresso della virtù non nasce dalle leggi ma dalle abitudini giornaliere:" ejk tw'n kaq j  eJkavsthn th;n hJmevran ejpithdeumavtwn" (40).
Infatti le città si governano bene non con le leggi ma con la bontà dei costumi  e coloro che sono stati educati male oseranno trasgredire le leggi redatte con grande precisione, mentre quelli che hanno avuto una buona educazione, vorranno rispettare anche le leggi formulate con semplicità (41)
A Sparta la condotta dei cittadini era buona e assai modesto il numero delle leggi scritte.
Traggo da Erodoto un esempio di buona educazione spartana non codificata ma suggerita dall’abitudine. Nel secondo libro delle Storie si trova  il logos egizio dove leggiamo che gli Egiziani hanno un costume simile solo a quello degli Spartani tra i Greci: “i più giovani-oiJ newvteroi- incontrandosi con i più vecchi- toi`~ presbutevroi~ suntugcavnonte~- cedono il passo e quando sono seduti si alzano dai seggi (II, 80, 1)  
Sallustio nel Bellum Catilinae , rimpiange i boni mores  dell'antica Repubblica, quando cives cum civibus de virtute certabant , i cittadini gareggiavano per il valore con i cittadini, e  ricorda che:"ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat " (9), il diritto e l'onestà da loro aveva forza non più per le leggi che per natura.
Concludo con Tacito: “Corruptissima re publica plurimae leges" ( Annales, III, 27), quanto più è corrotto uno Stato, tanto più numerose sono le leggi.
 
Torniamo a Musil. Leinsdorf dunque deplora che non si sia usata la necessaria assistenza a lui e la dovuta severità con gli elementi sovversivi che avevano fatto baccano sotto le sue finestre. Lo dice “con gli occhi sgranati dal corruccio”. Poi però conclude: “Ma qualcosa accadrà!” p. 816.
Mi ricorda il fieri sentio di Catullo.
La classe dirigente durante il periodo cui segue la finis Austriae  non fa alcun passo avanti né indietro perché sa di essere sull’orlo di abissi.
 
Bologna 16 dicembre 2023 ore 10, 31 
giovanni ghiselli
 
p. s.
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