martedì 5 dicembre 2023

Ifigenia LXXXV. La superstizione della partenogenesi santificata. Dedicato a Elena

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Dopo cena scesi di nuovo sulla sponda dell’Avisio, poi salii fino alla Malga Panna Sorte. Quindi rifeci la discesa e la salita, poi pago di questo moto necessario alla salute e alla conservazione della decenza
 somatica andai a letto.

Ricordai la prima notte passata a Moena trenta anni addietro. Quella notte non mi addormentai fino all’alba siccome mi mancava la mamma . Abbracciavo la suo posto il cuscino, lo accarezzavo, lo baciavo, giuravo che non avrei amato mai altra donna che lei, che mai mi sarei sposato. Una promessa mantenuta questa delle nozze neglette. Le chiedevo perché mi avesse allontanato da sé oltretutto affidandomi alle due sorelle sue, le zie che durante il viaggio in treno fino a Ora, poi nel trenino verso
 Predazzo e nella corriera arrivata a Moena mi avevano spinto a fare il segno della croce ogni volta che vedevano anche lontani una chiesa o un cimitero di campagna. Almeno cento volte. Per giunta mi avevano costretto, rinchiuso in diversi golf dicendo che a Fontanefredde duecento metri sopra Ora iniziava l’inverno con le sue brume tremende. Ero imbozzolato come un verme e non ero per niente sicuro che mi sarei trasformato in un’angelica farfalla.
Quella notte lontana dunque non ero sereno.
Non lo ero nemmeno la notte fra il 13 e il 14 aprile del 1979 a trentaquattro anni suonati. A Bologna mi aspettava una donna giovane, bella e disponibile assai, un risultato atteso, agognato e conseguito, una borsa di studio da studente ottimo, davvero meritevole, eppure non trovavo il coraggio di approvare questo successo non da poco.
A venti anni nel tempo della depressione che mi aveva reso pazzo e deforme sarebbe stata follia sperarlo.
Quella sera ero depresso e pazzo di nuovo, sia pure in maniera diversa,
“Una vergine voglio, per amare senza riserve!” pensavo, “una che non faccia sesso nemmeno con me”.
Sia chiaro che mi vergogno molto confessando questo demenziale orrore. Cerco di scusarmi e giustificarmi adducendo il lavaggio del cervello subìto in famiglia, in parrocchia, a scuola, perfino giocando per strada con i  bambini coetanei, gli “squizzi”, come ci chiamavano i ragazzi più grandi del vicinato.
Mi vergogno ma devo chiarire questo ai miei lettori perché vedano una delle cause dell’ingiustizia, della prepotenza di tanti maschi verso tutte le femmine umane. La storia della verginità di Maria ha segnato, ha ferito le menti dei giovani della mia generazione e non solo. Il sesso secondo l’ orrenda superstizione della “vergine madre” doveva essere la cosa più sporca del mondo, massime quello  fatto da una donna. Era questa una peste mentale odiosissima e deleteria.
Vero è che con le tre finlandesi di Debrecen non mi ero posto questo problema ed ero stato felice per tre mesi. Una che era incinta di un altro, e ciò non- ostante venne a letto con me, la amai più di tutte, senza riserve, e la considero ancora la migliore che abbia incontrato.
Come mai? Perché era una donna intelligente, sincera, dotata di stile: Elena era bella e fine.  Era autentica, non era fittizia.
Per giunta più avanti avrei avuto una relazione triste con una vergine squallida,
 Arrivato intorno ai quaranta anni dunque ho capito che quel pregiudizio odioso inculcatomi da un’educazione cattiva, nefanda, mi faceva spostare sulla mancanza della verginità i difetti reali della donna: quelli della insincerità, dell’insensibilità, dell’ignoranza dell’avidità, del calcolo meschino, insomma della disonestà associata alla maleducazione.

 
Bologna 5 dicembre 2023 ore 11.   

p. s.
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