lunedì 18 dicembre 2023

R. Musil, L’uomo senza qualità. III. 20. 2

Il conte ricorda quando Sua Maestà salì al trono nel 1848 e lesse un foglio di appunti con mani tremanti che ogni tanto doveva muovere affannosamente per mettere a posto gli occhiali: “gli tumultuava intorno la sfrenata brama di libertà dei popoli” p. 815

Da questo racconto emerge il timore della oclocrazia: che il dh`mo~ -popolo-diventi o[clo~- turba- e la democrazia  oclocrazia secondo l’ ajnakuvklwsi~ polibiana.
 L’imperatore era stato “grazioso e clemente” perdonando le infrazioni dei suoi sudditi, ma poi erano intervenuti elementi sovversivi e demagogici a turbare il felice rapporto tra il sovrano e il popolo. “Il resto non si sa ancora”soggiunse.
Quindi ricorda la costituzione del ’ 61 la quale “ha dato di proposito la supremazia alla proprietà e alla cultura; in ciò doveva esservi una garanzia; ma dove sono la proprietà e la cultura oggigiorno?”
 
Secondo me Proprietà e cultura non dovrebbero essere riservate a questa o a quella classe. Sono le colonne della società: la cultura dovrebbe essere data gratuitamente a chi la desidera,dovrebbe essere raccomandata invece dei panettoni e di tante porcherie; quanto alla proprietà dovrebbe essere assegnata secondo il merito e con un criterio di equità.
Nel De rerum natura  di Lucrezio leggiamo che nei tempi più antichi l’aspetto e le forze ebbero grande valore - facies multum valuit viresque vigebant (V, 1112), ma “Posterius res inventast aurumque repertum - quod facile et validis et pulchris dempsit honorem” (1113-1114) si scoprì la roba e fu trovato l’oro che senza fatica tolse potere  ai forti e ai belli.
Ho tradotto “ la roba” pensando alla novella  e al Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga. La per  diversi personaggi  non solo verghiani ha un significato mitico e religioso: è, come scrisse Luigi Russo, “metonimia per indicare quel desiderio di immortalità” che si annida nei petti di tutti gli uomini. 
 
Il conte poi parla degli Ebrei premettendo una scusa non richiesta, una giustificazione non necessaria e, dunque, sospetta.
“Io non ho niente contro gli Ebrei. Sono intelligenti, attivi, e fermi nei propositi”. Si è comunque sbagliato nel dare loro nomi poco adatti come Rosenberg o Rosenthal che sono nomi patrizi. Sono “insolenze della burocrazia contro la nostra libertà. L’antico patriziato è preso di mira dalla burocrazia”.
 
Aggiungo l’osservazione che nelle colonie greche, come in tante altre colonie  successive, l’aristocrazia non esisteva.
Credo inoltre che la burocrazia colpisce spesso e offende l’intelligenza, la cultura, la creatività. Ricordo Kafka e un paio dei miei prèsidi.
 
Il conte era irritato dai privilegi sociali degli alti funzionari dai cognomi plebei. Egli era un bisbetico junker e i burocati potenti con nomi borghesi provocavano in lui uno sdegno che gli derivava da tradizioni antiche. Ulrich pensò a Tuzzi, il marito di sua cugina.
Il conte seguitò a parlare sull’argomento e disse che il cosiddetto problema ebraico sarebbe risolto se gli israeliti si decidessero a parlare ebraico, a riprendere i loro nomi antichi e a vestire alla maniera orientale.
 
Personalmente mi chiedo perché gli Ebrei, italiani da secoli, si chiamino ancora Ebrei mentre i Toscani non si chiamino più Etruschi né i Padani Celti, Boi, Insubri e così via.
 
Dunque: “restituiamo agli Ebrei il loro vero carattere e li vedremo diventare una gemma , anzi un’aristocrazia addirittura tra gli altri popoli di Sua Maestà. Il nostro Ring è unico al mondo perché vi si può trovare l’eleganza più raffinata ma anche un maomettano col fez, uno slovacco in pelliccia di pecora o un tirolese con le gambe nude”.
 
Secondo me è buona cosa che ogni popolo conservi le proprie tradizioni mentre è cosa pessima quando vuole imporle ad altri popoli con la violenza.
 
Quindi il conte parla di Arnheim il “banchiere di religione ebraica”. Gli dà fastidio il suo accento, quello che usa quando “ricade in quei suoi modi da ebreuccio” dopo avere scimmiottato i costumi della nobiltà. Leinsdorf per difendersi da questa noia non ascoltava più il banchiere e si figurava che parlasse la lingua ebraica che ha un bel suono come un linguaggio liturgico “una specie di melopea”, una lenta melodia. Allora gli astrusi calcoli di sconto o di interesse sembrano suonati sul pianoforte. Bisognerebbe obbligarli ad accettare la loro fortuna. Se poi ci alleassimo con uno Stato ebraico riconoscente invece che con i Prussiani e i tedeschi del Reich, la nostra Trieste diverrebbe l’Amburgo del Mediterraneo.
Saremmmo  invincibili sul piano diplomatico avendo dalla nostra oltre il Papa anche gli Ebrei. C’è dunque l’ausipicio di uno Stato ebraico.
Il conte non parlava dei problemi del giorno e invece sciorinava a Ulrich i pensieri che gli erano ronzati in testa come api irrequiete che sciamano lontano ma poi tornano con il loro miele. 839
 
Bologna 18 dicembre 2023 
giovanni ghiselli ore 9, 52
 
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