lunedì 25 dicembre 2023

R. Musil, L’uomo senza qualità. III. 21. 2. Agathe va dal fratello

Agathe pensava che Ulrich lasciava scorrere la propria vita come se dovesse durare sempre.

Pensò pure che sarebbe stato meglio conoscersi da vecchi tra loro.
Musil non lo scrive ma credo che Agathe abbia il retropensiero che da vecchi non avrebbero avuto la tentazione dell’incesto.
La donna  giovane, bella, più intelligente elibera in tutto rispetto a Tony Buddenbrook, anche se meno equikibrata “ebbe la malinconica visione di due banchi di nebbia che di sera calano a terra. Non sono belli come il radioso meriggio-ella pensò- ma che importa a quelle due informi masse grigie come le vedono gli uomini? La loro ora è venuta, ed è dolce come la più bruciante! ”
 
Dopo una certa età diviene una vittoria il ribaltamento della sapienza silenica: quello che importa più di tutto è essere ancora vivi e in buona salute. A venti anni magari si vuole morire- a me è capitato- a 80 si vuole vivere ancora.
 
Ad Agathe “venne da ridere al ricordo di due corpacciuti villeggianti di Marienbad che aveva sopreso due anni prima su una panchina verde intenti a scambiasi le più tenere carezze. Anche il loro cuore batteva agile in mezzo al lardo immersi nella reciproca contemplazione e non si accorgevano del divertimento che procuravano al prossimo”-
 
Quindi Agathe tornò a specchiarsi. Temeva la possibilità di un appesantimento del proprio corpo 827.
Si osservava. Il biondo dei capelli sulla pelle molto bianca faceva l’effetto di una candela accesa di giorno. Agathe si contemplava incuriosita, come se si stesse guardando per la prima volta.
Come può fare un gatto o un bambino davanti a uno specchio -
Cercava nello specchio un punto dove l’immagine cedesse all’età.
Lo facciamo tutti ogni giorno  dopo i venticinque anni. Le piccole zone intorno agli occhi e agli orecchi  sono le prime a cambiare e in principio sembrano soltanto spiegazzate dal sonno.
Agathe però non vedeva alcun mutamento e la bellezza del corpo si librava quasi inquietante. Pensò che quel corpo con il matrimonio si era impegolato in situazioni al di sotto della sua dignità.
 
Pensava alla morte e “si era fatta del morire un’idea assai comoda e neghittosa” adatta  alla propria persona poco incline alle fatiche della vita.
Pensava anche alla differenza tra il pensiero logico e quello effettivo che è pure affettivo  e paragonava il primo alla legna bene ordinata in un deposito e disposta in cataste squadrate mentre quello affettivo e umorale è analogo alla legna oscura, intricata  e viva in un bosco col suo stormire e pullulare 830.
Lei si era sentita la più illogica di tutte le donne. Il fratello le aveva promesso una vita buona a Vienna. Ma Agathe per quella facile semplicità aveva in sé tutto il disprezzo di chi è nato ribelle. La vita assaporata fino in fondo è una prospettiva falsamente buona e auspicabile perché in fondo c’è la morte.
“E’ come osservare un mucchio di bambini con educata benevolenza ma con una paura crescente perché non si riesce a vedere il proprio bambino.
La calmava il proposito di togliersi la vita.
 
 Del resto non ce n’è bisogno: si muore comunque.
 
Sentiamo Seneca.
L’exitus, l’uscita dalla vita è assicurato a tutti: “per quae veniunt diversa sunt; in id quod desinunt unum est”, le vie per le quali si arriva all’uscita sono diverse ma il punto di arrivo è uno solo. (Seneca, Ep.66, 43)
Vero è che possiamo accorciare la via, trovare una scorciatoia per arrivare prima all’uscita. Dio potrebbe dire: “Ante omnia cavi ne quis vos teneret invitos;  patet  exitus: si pugnare non vultis licet fugere” (De providentia, I, 6), prima di tutto ho provveduto che nessuno vi trattenesse contro voglia; l’uscita è aperta: se non volete lottare è possibile fuggire.
 
 Agathe aspettava qualche mutamento che la legasse alla vita.
Pensava a Dio cui non credeva da quando le avevano insegnato a crederci. Provava diffidenza per tutto ciò che le avevano insegnato. Eppure aveva sentito Dio come un uomo che le stesse alle spalle.
Ora capiva che l’oscuramento non era tanto quello del sole quanto quello morale. Si appresta a partire: in lei si era risvegliato il desiderio di vivere. Grazie al fratello. Per testamento lasciava ai due servitori il padiglione dove abitavano loro. Il resto l’aveva venduto. Cacciò in una cassa che sarebbe finita nel magazzino il ritratto dell’amante indimenticato.
 
“In quel momento non si sarebbe potuto dire né che ella desiderasse stringere legami illeciti col fratello, né che ne rifuggisse. Dipendeva dal futuro. Era l’ultima notte che passava in quella casa dove era nata ed era nato Ulrich. Ebbe una visione di pagliacci che suonavano strani strumenti con volti seri. Pensò che la propria morte sarebbe stata la conclusione di uno spegnimento interiore. I pagliacci immaginari suonavano e lei piangeva.
Tornò a pensare al fratello. Ripose grande fiducia in lui credendo che avrebbe trovato risposta a tutte le domande. Rientrò il vecchio servitore e si commosse vedendo le lacrime di Agathe: “Povera signora!” esclamò.
Agathe lo spiazzò dicendo: “Quando non possiedi più nulla non pensare neanche al sudario e gettati nudo nel fuoco”! Una massima che le aveva insegnato Ulrich. Il vecchio sentendo la parola nudo si irrigidì e assunse la maschera compassata del servitore  la cui espressione garantisce di non voler giudicare.
Il padre di Agathe non aveva mai detto nudo, casomai spogliato, ma adesso i giovani erano diversi e lui non avrebbe potuto servirli in modo soddisfacente. L’ultimo pensiero di Agathe prima della partenza fu invece: “Ulrich butterebbe davvero ogni cosa nel fuoco?”
 
Bologna 25 dicembre 2023 ore 19 
giovanni ghiselli

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