giovedì 9 maggio 2019

Italo Svevo. L'uomo e l'inetto. 4 parte

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI GREEK QUI 


Torniamo a Svevo
Angiolina che posava per Balli doveva assumere l’atteggiamento della donna che prega ma “quella beghina non sapeva pregare. Piuttosto che rivolgerli piamente, ella lanciava con impertinenza gli occhi in alto, civettava col Signore Iddio”
Il Volpini manda ad Angiolina una lettera di congedo: sapeva che lo tradiva. Emilio lesse e disse che il Volpini aveva ragione. Angiolina aveva comunque l’enorme fiducia che hanno gli incolti per i letterati e chiedeva aiuto. Emilio fu commosso da quell’affetto. Volpini affastellava troppi argomenti per averne uno solo di assolutamente buono. Emilio era contento del fatto che Angiolina sentisse. il bisogno di lui. Ma lei per strada si offriva sfacciatamente con l’occhio ad ogni passante e vedendola si doveva pensare all’alcova per cui era fatta.
Una sera lei torna a casa ubriaca.
Angiolina propose una passeggiata come ai primi tempi, e la proposta a lui non dispiacque: “Era una delle sue caratteristiche essenziali quella di compiacersi della rievocazione sentimentale del passato (p. 196).
Emilio, tornato a casa, trovò la sorella in delirio. Era mezza nuda e sembrava un ragazzo malnutrito. Emilio prima provò ira: anche questa donna gli procurava noia e dolori. Le labbra di lei erano violacee, asciutte, informi, come una ferita vecchia che non sa più rimarginare (198). L’uomo debole teme il delirio e la pazzia come malattie contagiose.

Excursus
“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te”[32].
Si pensi a Deianira nelle Trachinie di Sofocle.
Nelle Trachinie di Sofocle Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7 - 8). Infatti ricorda: "Mnhsth;r ga;r h\n moi potamov", jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.
 "Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[33], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[34]. La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517 - 518).
La Deianira delle Heroides[35] di Ovidio, lontana da Eracle occupato a inseguire terribili fiere, è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare: "inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39 - 40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[36] pronti ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:" peregrinos addis amores "(v. 49).
Fine excursus

Amalia vede delle bestie (zoopsia) e cerca di afferrarle. Disse che era stata in pescheria ma non aveva trovato il pesce.
Un simbolo fallico: nel Satyricon a un certo punto il pupo Gitone si scompisciava dalle risate e attirò l'attenzione di Quartilla, la sacerdotessa dell'orgia postribolare, la quale chiese cuius esset puer, diligentissima sciscitatione (24, 5) a chi appartenesse quel ragazzo con una domanda molto seria. Quel superlativo diligentissima che qualifica una domanda relativa alla proprietà di un amasio è appropriato a un mondo dove le uniche cose serie sono il denaro e il sesso. Infatti subito dopo, saputo che era il "fratello" di Encolpio, la donna domandò:"quare ergo - inquit - me non basiavit? ", allora perché non mi ha baciato? Quindi passò ai fatti: lo inchiodò a sé con un bacio, poi fece anche scendere la mano sotto il vestiti e palpatogli il cosino ancora tanto inesperto (pertactrato vasculo[37] tam rudi) fece: "haec belle cras in promulside libidinis nostrae militabit; hodie enim post asellum diaria non sumo" (24, 7), questo servirà bene domani durante l'antipasto del mio piacere; oggi infatti dopo il pesce non prendo una razioncina.

Emilio provava dolore ricordando la compassionevole nudità. Chiede aiuto a una vicina Elena Chierici. La donna chiede una boccia d’acqua e un bicchiere a Emilio ma per lui “fu un affar serio trovare quelle cose in una casa che aveva abitata con l’incuria di chi sta in un albergo (p. 204).
 Un’onda di riconoscenza per Elena gonfia il petto di Emilio.
Va allo studio di Balli e “s’assise sulla sedia più vicina alla porta” Scoppiò in singhiozzi disperati (p. 204)
Se fosse stata pazza, l’avrebbe tenuta presso di sé non più come sorella ma come figlia. Il pianto gli fece bene.

Consolazione delle lacrime
cfr. Euripide Troiane
Coro
Come dolci sono le lacrime per quelli che stanno male 608 - wJ" hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi
E i lamenti dei compianti e la poesia che contiene dolori. 609
Nell’Elena di Euripide, Menelao dice che le lacrime sono la sua gioia ( ejma; de; carmonav davkrua, 654)

Elena.
tw'/ pavqei mavqo"
Il Balli consiglià di correre a chiamare il dottor Carini.
Emilio comincia a pensare alla morte della sorella. Rimpianse ed ebbe rimorso di non avere dedicato la propria vita a qualcuno che aveva bisogno di tutela e di sacrificio. Con Amalia spariva dalla sua vita ogni speranza di dolcezza (p. 206). Emilio sente di amare la sorella più di Angiolina. Elena si comportava con semplicità. Amalia aveva espressioni di desolazione puerile, Amalia disse al fratello: “Sì, noi due. Noi due qui tranquilli, uniti, noi due soli (p. 209)
Era una polmonite molto grave ma poteva anche guarire
Emilio pensò che quel miracolo “sarebbe bastato a dargli il sentimento della felicità per tutta la vita (p. 213)
Il dottore consigliò di farle bere del vino cui doveva essere abituata.
Ma il Balli pensò che fosse alcolizzata. Emilio si sentiva in colpa al punto di pensare che Amalia si era ammalata perché lui era mancato al dovere di proteggerla, Elena si prodiga per aiutare e il Balli dice: la bontà così semplice mi commuove più che non la genialità più alta” (p. 216).
 L’affanno sempre uguale, vertiginoso, a Emilio sembrò divenuto una qualità del proprio orecchio, un suono da cui non avrebbe più saputo liberarsi, Aveva rimorso di non avere capito la sua missione di tutelare una vita unicamente affidata a lui. Se l’avesse fatto non avrebbe dedicato tempo ad Angiolina, un’occupazione oziosa.
Cfr. Seneca “desidiosa occupatio” De brevitate vitae 12, 2.

Amalia disse: Stefano, se tu lo vuoi, voglio anch’io. Io sono d’accordo, fa’ tu ma presto. Poi Oh , Stefano, io sto male”.
 Emilio comprese che “ella si sognava a nozze” (p. 218). Amalia disse anche parole di gelosia: “Vittoria con lui!”
 Emilio pianse al pensiero che essa era sempre vissuta misconosciuta e vilipesa. Ora il destino implacabile si compiaceva di snaturarne la mite, dolce, virtuosa fisionomia con l’agonia dei viziosi (p. 222)
Emilio decise di andare da Angiolina per lasciarla: “andando da Angiolina egli portava subito un olocausto ad Amalia”
Emilio pensò che Angiolina lo avesse tradito anche col Balli. Andando da lei pensò che il male non veniva commesso, ma avveniva. “Come erano stati colpevoli lui e Amalia di prendere la vita tanto sul serio!” (p. 225)

Cfr.Strabone: essere felici secondo questo geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas :" è atato detto bene anche questo: che gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici ( eâ mn g¦r e‡rhtai kaˆ toàto, toÝj ¢nqrèpouj tÒte m£lista mime‹sqai toÝj qeoÝj Ótan eÙergetîsin· ¥meinon d' ¨n lšgoi tij, Ótan eÙdaimonîsi )[38].

Giunse alla riva. Si sentiva il clamore del mare: un urlo enorme composto dall’unione di varie voci più piccole” (226) Si vedeva biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluta infranta prima di giungere a terra.
Cfr. viceversa l’ innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma, Prometeo incatenato (89 - 90).
Cfr. D’annunzio: “il riso innumerevole delle onde marine” (Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, Elettra, Per la morte di un capolavoro)

Quel tramestio si confaceva al suo dolore. L’abito letterario gli faceva paragonare quello spettacolo alla propria vita. Nel movimento delle onde che tratto dall’inerzia e trasmesso per inerzia “egli vedeva l’impassibilità del proprio destino. Non v’era colpa, per quanto ci fosse tanto danno” (p. 226).
Cfr. l’ajmartiva nella Poetica di Aristotele.

Alcuni marinaio erano indaffarati per salvare le barche
“Emilio pensò che la sua sventura era formata dall’inerzia del proprio destino “ (p. 226). Non aveva mai avuto occasione, nessuno gliel’aveva data di determinare nemmeno il destino di un piccolo bragozzo[39]. Cfr. il kairov".
Voleva comportarsi con Angiolina come se loro due dovessero essere giudicati da un essere intelligente presente alla scena. Avviene invece una scenata. Lui le dà della puttana tre volte e le rinfaccia tutti gli amanti. Angiolina fuggì e lui le tirò dietro delle pietre. Tutto era andato in modo molto diverso da come Emilio si era aspettato
Cfr, l’ajevlptw" nelle conclusioni di Medea, Alcesti, Andromaca, Elena, Baccanti, e le altre espressioni classiche sull’imprevisto e l’imprevedibile in Archiloco, Erodoto (Solone a Creso) etc

“Come rimaneva sorprendente la realtà!” (p. 231). Avrebbe voluto lasciarla in modo intelligente e signorile. Finiva con Angiolina come con Amalia: a nessuna delle due egli aveva potuto dire “l’ultima parola che avrebbe per lo meno addolcito il ricordo delle due donne” (p. 232). Tornò al letto di Amalia. Cercava la commozione attraverso traslati (metafore?). Il Balli restava lì poiché Amalia lo nominava spesso. Elena piangeva mentre la faccia di Amalia si restringeva. La malata a morte domandò da mangiare. Il Balli era sempre il pensiero dominante dell’ammalata. Aveva in mente anche una rivale: Vittoria. I tre “infermieri” si misero a conversare. Elena raccontò la sua storia molto triste di vedova e matrigna
Amalia grida contro Vittoria poi si rizza a sedere illuminata dalla candela. La luce gialla riverberata dalla faccia lucida di Amalia sembrava luminosità della moribonda. “Pareva la rappresentazione plastica di un grido violento di dolore” (p. 236). Ma fu un lampo e Amalia ricadde. Balli disse ossimoricamente: “Pareva una buona e dolce furia” cfr. Le Eumenidi.
Emilio provò soddisfazione: Amalia moriva amata dell’amore più nobile che il Balli potesse offrire” (p. 236). Elena era della famiglia Deluigi per la quale lavorava Angiolina. Anche in quel caso aveva mentito. Deluigi era commerciante di ferrareccia. Emilio la pensava di nuovo. Aprendo l’armadio di Amalia per prendere una pezzuola richiesta da Elena vi trovò dell’etere profumato. Dunque “Amalia aveva cercato l’oblio nell’ebrietà” (p. 238) Richiuse accuratamente l’armadio per non rovinare la “riputazione” della sorella dopo che non ne aveva saputo tutelare la vita (p. 239). Cfr. Civiltà di vergogna I Greci e l’irrazionale del Dodds.

Fuori c’era un’alba fosca, esitante, triste e tanto vento.
Amalia stava morendo. La nuca grigia di Elena appariva tutta d’argento. La testa di Amalia stilizzata com’era “pareva un profilo di persona energica, con gli zigomi sporgenti e il mento aguzzo” (p. 240). Emilio dorme un poco e quando si sveglia, la sorella lo chiama per dirgli: “io muoio!”
Amalia delirava e “guardava la luce alla finestra per acuire l’occhio semispento” (p. 242).
“perché gli occhi dell’uom cercan morendo/ il sole” (Foscolo, Dei Sepolcri, 121 - 122).

Vedeva bimbi rosei ballare nel sole Quanta luce disse affascinata (cfr. Aiace nell’Iliade XVII, 646 - 647 e Sul sublime; cfr. anche la conclusione di Spettri di Ibsen).
Poi la morte di una persona mite. Era il lamento della materia che già abbandonata, disorganizzandosi, emette i suoni appresi nel lungo dolore cosciente” (p. 243).

“Le persone buone e miti non si oppongono a lungo e, anche se non subito, diventano poi molto comunicative, non sanno evitare una conversazione: rispondono prima a monosillabi, ma rispondono e rispondono sempre più facilmente”[40]. Cfr. Ismene dell’Antigone.

Il pensiero della morte cui abbiamo assistito occupa tutto l’intelletto. Era passata la morte, il grande misfatto che aveva fatto dimenticare a Emilio i propri errori e i propri misfatti. Emilio si sentiva del tutto solo. Ricordava le proprie colpe nei confronti di Amalia. “La sua morte sola era stata importante per lui; quella almeno l’aveva liberato dalla sua vergognosa passione” (p. 245)
Va a trovare Elena Viene accolto con affetto e quella amicizia lo commuoveva. Finalmente un’emozione buona. Le ore tragiche passate insieme li facevano sentire legati più che anni di intimità. Elena apprezza l’ingenuità e la semplicità della propria serva Giovanna. Elena non andava al cimitero: “Vi sono i vivi che hanno bisogno di noi” (p. 247)
Parlava con grande affetto di Giovanna. Emilio pensò che metà dell’umanità esiste per vivere e l’altra per essere vissuta. “Angiolina esiste forse solo acciocché io viva” (p. 247) Camminò tranquillo nella notte fresca seguita alla giornata afosa. L’esempio di Elena gli aveva insegnato che anche lui poteva trovare nella vita la sua ragion d’essere.

Epitteto dice che non dobbiamo far dipendere la nostra felicità da altre persone. “Chi vuole essere libero non desìderi e non rifugga nulla di ciò che dipende da altri, eij de; mhv, douleuvein ajnavgkh (14)
Ma Emilio non trovava la sua parte.
Cfr. Epitteto: ricorda che sei uJpokrith;" dravmato" ma non il regista. Tu devi recitare bene il ruolo assegnato e scelto da un altro (17).

Il sentimento forte di Emilio era ancora Angiolina. Il Sorniani gli fece sapere che Angiolina era fuggita con il cassiere infedele di una banca. Emilio pensò: “M’è fuggita la vita” (p. 248) Invece quella fuga vivacizzò i suoi dolori e i suoi risentimenti. Sognò vendette e amore. Andò dalla madre di Angiolina cercando nuovi impulsi ai suoi sentimenti affievoliti. Parla con la madre dicendo che aveva cercato di educare la figliola, di segnarle la via retta. La vecchia Zarri singhiozzò.
Arrivò la sorella piccola che lo coprì di baci tutt’altro che infantili. Lui ne provò nausea. Andò via e lo colse una grande tristezza.
Rimase a lungo squlibrato e scontento. Si sentiva come mutilato per avere perduto l’amore e il dolore. Con il tempo tornò la tranquillità .
Anni dopo ricordava quel periodo come il più importante della sua vita e il più luminoso. Nella sua mente di letterato ozioso fece una sintesi tra Angiolina e Amalia. Pensava ad Angiolina con ammirazione e desiderio. Ella divenne un simbolo che guardava l’orizzonte. Sulla sua faccia rosea, gialla e bianca si riverberavano i bagliori rossi. L’immagine concretava il sogno che aveva fatto accanto a lei, la figlia del popolo che non aveva compreso. Quel simbolo ogni tanto si rianimava come donna triste e pensosa. Pensava come se le avessero spiegato il segreto dell’universo e della sua vita, piangeva come se nel vasto mondo non avesse più trovato un Deo gratias qualunque.

Fine

----------------------------------
[32] Jaeger, Op. cit. p. 676.
[33] Cfr. la Medea di Seneca quando entra in scena Creonte che manifesta timore per la donna barbara:"cui parcet illa, quemve securum sinet?" (v. 182), chi risparmierà quella o chi lascerà in pace?
[34]Op. cit., pp. 663 - 664.
[35] Il quale nell'opera di Platone sostiene che facciamo il male per ignoranza del bene, e, se solo conosciamo il bene. non possiamo fare il male.
[36] Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è denunciato anche da Tacito nell'Agricola:"subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti si insinua anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama l'accidia dapprima odiosa.
[37] F. Nietzsche, fr. 9 (35) in Frammenti postumi 1887 - 1888.
[38] Cfr. La paura della donna, Catone il Vecchio in tito Livio e Marziale: Inferior matrona suo sit, Prisce, marito/ non aliter fiunt femina virque pares” (VIII, 12, 3 - 4)
[39]Il mestiere di vivere, 31 ottobre 1938.
[40]Il mestiere di vivere, 17 gennaio 1938.

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CXXXVI. La domenica mattina al caffè Palma di Debrecen.

  Domenica 29 luglio 1979 non c’erano lezioni né   altre attività organizzate per noi ospiti antichi e recenti dell’Università Kossuth...