mercoledì 22 maggio 2019

Un avvertimento che non è una dichiarazione di voto

Il cavallo di Troia
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Demagoghi, politicanti e uomini politici in alcune opere antiche

Ho la residenza a Pesaro e il 26 sarò a Siracusa: non so se potrò votare. In compenso metto in guardia da alcuni dei nostri demagoghi e politicanti. Ciascuno li individui con il proprio giudizio. Nelle tragedie di Euripide citate sotto potete trovare alcuni loro paradigmi suggeriti al poeta dalle vicende della storia di Atene.

Nella parodo dell’Ecuba, il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come "lo scaltro (oJ poikilovfrwn[1])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo"(vv.131 - 132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena. In questa tragedia l’Itacese è un freddo politico per cui vale solo la ragion di stato che calpesta tante vite innocenti.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:"razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue? ( Ecuba, vv. 254 - 261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di contraccambiarle il beneficio che gli fece quando lo salvò facendolo uscire da Troia dove, infiltratosi come spia (katavskopo~, v. 239), era stato scoperto da Elena la quale lo aveva confidato soltanto alla regina.
Gli chiede dunque in cambio di non ammazzarle figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti. 

L'Ecuba venne scritta e rappresentata durante l'auge di Cleone che nel 425 aveva catturato gli opliti spartani a Sfacteria ed era diventato il beniamino del popolo; questo demagogo del resto era detestato dagli scrittori: non solo da Euripide che probabilmente allude a lui con i versi citati sopra contro la vil razza dannata dei demagoghi, ma pure da Aristofane che lo mette alla berlina nei Cavalieri , anch'essi del 424, e da Tucidide che lo definisce i più violento dei cittadini ("biaiovtato" tw'n politw'n", e quello più capace di persuadere ("piqanwvtato"") la massa ( III, 36, 6).
Questo demagogo viene presentato come un becero sanguinario, indegno della tradizione di Atene. Ben diversa fu la reputazione di Pericle che pure venne eletto stratego dall'assemblea popolare per decenni: egli, ci informa sempre Tucidide, siccome era immune da corruzione:"teneva in pugno la massa senza toglierle la libertà"(Storie, II, 65) e poteva contraddire il popolo fino a provocarne la collera, non senza poi venire rieletto, tanto grande era la sua autorità morale. Sicché la democrazia sotto Pericle aveva il consenso degli intellettuali:"a parole era una democrazia, ma di fatto il potere del primo uomo"(Storie, II, 65).
 Dopo la morte di Pericle dunque i suoi successori, Cleone, poi Iperbolo, quindi Cleofonte, non riuscirono a mantenere il prezioso consenso degli scrittori.
Nelle Troiane, Ecuba maledice Odisseo e la propria sorte cui è toccato di servire un abominevole infido uomo, nemico della giustizia, una bestia feroce che viola la legge (“musarw`/ dolivw/ levlogca douleuvein - polemivw/ divka~, paranovmw/ davkei”, vv. 283 - 284).

Nell'Orestedel 408, l'odioso ciarlatano che forse adombra il demagogo Cleofonte[2], figlio di madre Tracia, il quale capeggiava il partito della guerra a oltranza, chiede la condanna a morte dei matricidi, oramai divenuti vittime per quel continuo mutare dei ruoli assegnati dalla Sorte sovrana che è ricorrente nella poesia euripidea:"E dopo questo[3] si alza un tale, un uomo di lingua senza ritegno (903 ajqurovglwsso~ lett. lenza porta), tronfio di audacia, Argivo non Argivo, impostosi a forza, fidando nella confusione e nella rozza licenza di parola, e pure convincente tanto da gettare i cittadini in qualche male" (vv. 902 - 906).
Costui, spietato[4] e deleterio per la città[5]: "disse che bisognava uccidere Oreste e la sorella tirando pietre"(vv. 914 - 915).
“E’ soprattutto Euripide che, appena gli si presenta l’occasione, si abbandona alle considerazioni politiche: basti pensare all’assemblea popolare descritta dal messaggero nell’Oreste, con gli ambasciatori e la regolare votazione”[6].

Simile al demagogo è il politicante privo di lealtà e gratitudine.
 Sono le accuse che Menelao indirizza al fratello, capo della spedizione panellenica contro Troia, nell'Ifigenia in Aulide: "lo sai, quando volevi ottenere il comando dei Danai contro Troia, senza ambirvi in apparenza, ma aspirandovi con la volontà, come eri umile, toccando ogni destra e tenendo aperte le porte per chi lo volesse tra i popolani, e dando udienza successivamente a tutti, anche se uno non la chiedeva, cercando con modi affettati di comprare dalla piazza l'oggetto dell'ambizione. Poi, quando ottenesti il potere, assunti altri modi, non eri più amico come prima agli amici di prima, inaccessibile e introvabile dentro i luoghi chiusi. L'uomo buono quando si trova in auge non deve cambiare i costumi[7], anzi, soprattutto allora deve essere costante verso gli amici, quando, con la buona fortuna, è in grado di far loro del bene"(vv. 337 - 348).
giovanni ghiselli
p.s
Il paradigma mitico di Pericle è Teseo in diverse tragedie (SuppliciEracle di Euripide, Edipo a Colono di Sofocle)
L’uomo politico che preferisco in questa fase storica è Papa Bergoglio.






[1] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). "L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisse sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).
 Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice (cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo", opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera (Iliade X, 29 - 30). e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711 - 712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon - kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).
[2] Viene messo alla gogna nella parabasi delle Rane di Aristofane come incapace di pronunciare correttamente la lingua dei veri Ateniesi: sulle sue labbra ambigue orrendamente freme la rondinella tracia (vv. 679 - 681), e, poco più avanti il demagogo è messo tra gli stranieri, rossi di pelo, mascalzoni e discendenti da mascalzoni, ultimi arrivati, dei quali ora la città si serve per ogni uso, ma che in passato non sarebbero stati utilizzati facilmente nemmeno per caso come vittime espiatorie: “oujde; farmakoi'sin eijkh'/ rJa/divw~ ejcrhsat j an” (vv. 730 - 733). “Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy Fawkeses’. La parola significa letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri espiatori’ (G. Murray, Le origine dell’Epica Greca, p. 24). Tra le altre cose la rondine è in sé un animale ambiguo: significa il ritorno della primavera e dell’amore ma non “ci sono dubbi sul fatto che la rondine, nella cultura antica, funzioni anche come presagio di sventura. Cleopatra fu terrorizzata dal fatto che delle rondini avevano fatto il nido attorno alla sua tenda, e sulla nave ammiragli(Dione Cassio, 50, 15)”. (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 137). E' il dark side della rondine. 
[3] Diomede che aveva proposto l’esilio per i matricidi.
[4] Certamente ignaro del monito di Cristo venturo "chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra"(Giovanni, VIII, 7) che invece troveremo prefigurato da Menandro negli (Epitrevponte") dove troviamo un vero momento di mavqo" tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
[5] th'/ povlei kako;n mevga (Oreste, v. 908).
[6] J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, vol. I, p. 226
[7] Seneca nell’Epistola 120 scrive:"maximum indicium est malae mentis fluctuatio (20)... Magnam rem puta unum hominem agere " (22), il massimo segno di un animo volto al male è l'ondeggiare... Considera grande cosa rappresentare sempre la stessa parte.

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