domenica 19 maggio 2019

La guerra di Troia fu combattuta per un fantasma e poteva solo essere perduta


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Vediamo il commento dei versi che verranno recitati (Elena, vv.894 - 943) dall’attrice Bibi Bruschi a Siracusa il 24 maggio nel salone Paolo VI della chiesa San Salvatore dove presenterò l’Elena e le Troiane di Euripide.

Breve introduzione
Elena non è mai andata a Troia e si trova in Egitto prigioniera del re Teoclìmeno. Al posto suo Era, contrariata per non avere vinto la gara di bellezza, mise nel letto di Paride un ei[dwlon e[mpnoun oujranou` xunqei`s j a[po (v. 34), un fantasma che respira plasmandolo dall’aria.
Elena dunque non è mai stata a Troia e la guerra raccontata da Omero fu combattuta per un fantasma.
 "Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[1].
Si può pensare alle guerre del golfo scatenate per togliere al Saddam Hussein delle armi che non aveva, armi fantasma inventate.

 La riabilitazione di Elena parte da Stesicoro (VII - VI secolo)
 La Palinodia di Stesicoro viene citata da Socrate nel Fedro di Platone prima della propria: “Oujk e[st j e[tumo~ lovgo~ ou|to~ - oujd j e[ba~ ejn nhusi;n eujsevlmoi~, - oujd j i[keo Pevrgama Troiva~ ( fr. 11 Diehl citato da Platone Fedro, 243a, b), non è veritiero questo discorso e tu non andasti a Troia sulle navi dai bei banchi, né sei giunta alla rocca di Troia

Un frammento dell’Elena di Stesicoro dice che Tindaro sacrificando agli dèi, dimenticò la sola Cipride, che dà doni delicati ai mortali, e la dea colwsamevna, adirata, rese le figlie di Tindaro digavmou" te kai; trigavmou" due volte e tre volte mogli, kai; lipesavnora" e donne che abbandonano i mariti (fr. 17D.), Questo anticipa la poluavnwr di Eschilo (Ag. 62).
A Sparta però questo infamare Elena era offensivo quindi fu necessaria la Palinodia.
Stesicoro fu citarodo, un cantore che si accompagnava con il suono della cetra e veniva pagato bene.

Ora veniamo dunque ai versi che verranno recitati dall’Elena di Euripide.
La sposa non infedele di Menelao dunque si prostra quale supplice ijkevti" (894) alle ginocchia della vergine profetica Teonoe, la sorella del re d’Egitto Teoclimeno il quale vorrebbe sposare la spartana riluttante:“Siedo in luogo non felice e prego per me e per Menelao che ho appena ritrovato e sono sul punto critico di vederlo morto - ejp j ajkmh'" katqanovnt j ijdei'n (897). Dunque ti prego di non dire sw'/ kasignhtw'/ a tuo fratello di questo sposo giunto tra le mie braccia amorose e, per favorire il tuo consanguineo, non smentire la tua pietà di prima th;n eujsevbeian mh; prodw'/" th;n shvn pote (901) acquistando ringraziamenti malvagi e ingiusti.
Misei` ga;r oJ qeo;~ th;n bivan” (v. 904), dio odia infatti la violenza e ordina di non acquistare con le rapine. La ricchezza ingiusta deve essere lasciata perdere.: koino;~ ga;r ejstin oujrano;~ pa`sin brotoi`~ - kai; gai` j (vv. 906 - 907), infatti sono beni comuni a tutti il cielo e la terra nella quale coloro i quali si riempiono le case non devono possedere roba altrui né portarla vià con la violenza”.

Sant’Ambrogio[2] nel De Nabuthae già ricordato da papa Francesco scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la mnoglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri (Ambrogio, De Nabuthae,1 - .2) Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu cottidiana”.
“Per fortuna, ma anche per mia disgrazia continua Elena, Ermes mi affidò a tuo padre il compianto Proteo perché mi custodisse (910) per il mio sposo che ora è qui e vuole riprendermi. Come potrebbe recuperarmi se morisse? E Proteo come potrebbe mai restituire i vivi ai morti? Considera ora la volontà del dio e di tuo padre: il dio e il morto vorrebbero o no restituire i beni del prossimo? (915 - 916) . Io credo di sì. Dunque non è necessario che tu conceda più a un fratello folle che a un padre onesto (916 - 917). Se tu, che sei una profetessa e credi di conoscere la volontà degli dèi, distruggerai la giustizia del padre tuo e darai soddisfazione a un fratello ingiusto, allora sarà cosa turpe che tu conosca tutte le cose divine, quelle presenti e quelle future, e non quelle giuste ta; de; divkaia mhv (v. 923).
Inserisco un’osservazione della tesi di una ragazza che si è specializzata con me nella SSIS di Bologna: “Elena fa leva più volte sull’amore per la giustizia proclamato da Teonoe: dal v. 920 al verso 923 ben tre volte si utilizza l’aggettivo divkaio~ in diversi casi”[3].

 Io ho subito tante ingiustizie: tutti mi odiano - jElevnhn ga;r oujdei;" o{sti" ouj stugei' brotw'n - 926 - , sono famigerata in tutta la Grecia come quella che ha tradito il suo sposo e ha abitato le case piene d’oro dei Frigi wJ" prodou's j ejmo;n - povsin Frugw'n w/[khsa polucruvsou" dovmou" (Elena, 927 - 928).

Cfr. quanto rinfaccia Ecuba a Elena nelle Troiane (vv. 991 - 997)
 E tu vedendolo nelle vesti straniere
Raggiante d’oro impazzisti nell’anima.
In Argo infatti ti aggiravi con poca roba,
e allontanandoti da Sparta sperasti di sommergere
nelle spese la città dei Frigi che ridondava
d’oro: non ti bastava il palazzo di Menelao
per trasmodare nelle tue lussuose dissolutezze.

Elena continua: se potrò tornare in Grecia e mettere di nuovo piede a Sparta, gli Elleni ascoltando e vedendo come i loro cari sono morti per gli inganni degli dèi - tevcnai" qew'n , mentre io non ero traditrice dei miei - ejgw; de; prodovti" oujk a[r j hj fivlwn (Elena, 931), mi porteranno di nuovo alla fama di castità, e potrò dare in moglie - ( eJdnwvsomaiv te - eJdnovw do in moglie, e{dnon, dono nuziale) mia figlia che nessuno altrimenti sposerà, e lasciata la presente amara condizione di esule, ejklipou's j ajlhteivan pikravn (cfr. ajlavomai, vado errando) potrò godere delle ricchezze che sono nel palazzo (935).

Aspirazioni borghesi. Anticipazione della commedia nuova
Del resto anche l’Edipo di Sofocle dopo essersi acciecato si preoccupa della futura difficile sistemazione matrimoniale delle due figliole Antigone e Ismene, dati i genitori 
"E anche voi piango: infatti non ho la forza di guardarvi/pensando al resto dell'amara vita/quale bisogna che voi due viviate a opera degli uomini./Infatti a quali riunioni di cittadini andrete?/ A quali feste donde non tornerete a casa / con il volto segnato dal pianto, invece di assistere allo spettacolo?/Ma quando poi sarete giunte al momento migliore per le nozze/chi sarà costui, chi vorrà azzardare, o figlie/di prendere tali infamie che, come per i miei genitori,/ saranno ugualmente rovine per voi due?" (Edipo re, vv 1486 - 1495) -
 Elena dunque supplica Teonoe di aiutarla e di mostrarsi degna del padre suo, del defunto Proteo che l’aveva custodita e rispettata - “Questa infatti per i figli è la rinomanza più bella - paisi; ga;r klevo" tovde - kavlliston (Elena, 941 - 942), che uno nato da un padre per bene giunga allo stesso grado dei genitori nei costumi (vv. 942 - 943).

giovanni ghiselli




[1] C. Wolf, Cassandra, p. 85.
[2] 340 - 397
[3] Wanda Calderoni, L’ambigua fama di Elena dall’epica alla tragedia, p. 13.

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