NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 30 giugno 2024

Ifigenia CCXXIV. La litigata burrascosa.


 

Dopo la cena si andò in camera dove scoppiò una cagnara da amanti sciagurati quali eravamo. Speravo di trovare un modo di stare insieme dignitoso se non amoroso. L’intermittenza dei nostri umori buoni e cattivi andava regolata in qualche modo, se c’era verso.

Dissi: “domani, se c’è il sole, facciamo una bella camminata nel bosco”. Solo queste poche parole.

Tuttavia bastarono a ferirla colpendo una delle sue debolezze.

Mi guardò con avversione e  fece:

“Io non sono allenata per fare scarpinate massacranti con te”.

Colsi la presenza del radicale “scarpina” nella risposta piena di odio e sospettai quanto sto per raccontare.

Cercai però di rabbonirla: “Non preoccuparti: faremo un giro adatto alle tue forze e consono alla tua volontà”.

A questo punto costei si mise a fare una scena: frugava nella valigia con rabbia ostentata e rauchi mugugni, finché con aria feroce ringhiò: “ “Io non ho portate le scarpe adatte per passeggiare sull’erba”.

“Puoi sempre venire a piedi nudi”, provai a dirle con un sorriso.

Lei allora aggiunse: “Le ho preparate, le ho messe accanto alla valigia ma poi non le ho prese. Si vede che non avevo voglia di camminare dove a te, chissà come mai, piace tanto”.

Mi stavo spogliando per entrare nel letto dove si era stesa ma cambiai idea. Mi ero accorto di quanto fosse inopportuno e innaturale fare sesso in quella disposizione mentale.

Sicché smisi di denudarmi e andai a sedermi vicino alla porta.

Poi dissi: “No, tu non sei la donna congeniale a me. Anzi la tua natura è contraria alla mia. Se restiamo insieme andremo entrambi in malora”.

Ifigenia si prese paura di essere piantata lì in mezzo ai monti e, mutando tono e parole della sua recita rispose: “Ecco, vedi: tu non mi concedi mai un briciolo di comprensione. E’ la prima volta che vengo in montagna: come faccio a sapere che cosa devo portare?”

“Te l’avevo detto. Al momento della partenza non te l’ho ripetuto: mi sembrava scortese ribadirlo, come un ammonimento a una minus habens, davanti a tua sorella.  Tu dirai che sono troppo sensibile per essere un uomo”

“No, sei delicato piuttosto e hai fatto bene a non ingiungermi niente in presenza di Donatella”.

“Su questo siamo d’accordo ma resta il fatto che io non posso fidarmi di te”

A questo punto colei si tolse la maschera della ragazza incompresa ma comprensiva, e assunse la parte della donna offesa dicendo: “Tu ora vuoi emozionarti litigando dato che hai bisogno di insultarmi per desiderarmi”.

Cercai di non adirarmi e replicai: “ Sei tu  che dimentichi, sbagli o cerchi di ingelosirmi poiché vuoi sentirti rimproverare, altrimenti non capisci e non impari: il colloqui razionale, basato sui fatti con te non è possibile. Tu nutri dentro di te un groviglio di sensazioni che io dovrei districare. “Nihil interest quomodo solvantur” come disse Alessandro del nodo di Gordio. Anche io probabilmente dovrò darci un taglio”.

“Non puoi fare a meno di citare a quanto vedo”

“Infatti: per me gli autori sono sempre stati di conforto e di aiuto contro la scarsa intelligenza e la malevolenza di certe persone.

Tu cerchi il contrasto con me per vendicarti di torti subiti.

Forse te ne ho fatti diversi anche io, ma sappi che se non puoi perdonarmi, non ti trattengo”.

A queste parole si prese paura: cambiò tono un’altra volta e  prese di nuovo quello della povera vittima del sacrificio umano. Anche il suo nome si prestava a questo ruolo: disse quasi piangendo che io non capivo tante cose di lei che mi amava con tutta l’anima.

La fraintendevo perché la guardavo sempre attraverso i libri e la identificavo con personaggi diversi, per lo più negativi, senza vedere mai la sua persona.

“Questo può essere vero”, ammisi provando anche dell’ammirazione per le sue ultime parole. E pure del desiderio.

Ifigenia  se ne avvide, mi sorrise e mi chiese se mi andava di uscire e fare due passi sotto il cielo sereno.

 

Bologna 30 giugno 2024 ore 19, 45 giovanni ghiselli

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Ifigenia CCXXIII. La Malga Panna con qualche anticipazione delle sofferenze future.

Dopo avere accompagnato a letto i Sole, tornai da Ifigenia che sonnecchiava. Forse sognava una fuga con un attore famoso.

La svegliai e le proposi di cenare. Lo facemmo nella Malga dove alloggiavamo, nel megaron del piano di sotto seduti accanto al focolare spento dove nell’inverno successivo, arrossati nei volti per le fiamme del camino, ci saremmo colpiti senza risparmio.

Il giorno seguente Ifigenia avrebbe detto: “ieri  ci siamo sbudellati davanti al fuoco”. Un’espressione efficace questa.

 

Quella sera di giugno invece nessuno dei due aveva voglia di parlare: la bella ragazza, in agguato e in attesa del successo, ce l’aveva con me perché non l’avevo ancora agguantato e non potevo farla beata di ozi, vivande e bevande in un ristorante di lusso:  uno di quei posti “esclusivi”, come orrendamente si dice, che a me fanno schifo e non ci entrerei nemmeno se invece di estorcermi denaro me ne offrissero tanto. A me piacciono i posti inclusivi a partire dagli ostelli della gioventù. Mi sento onorato se non mi cacciano per la vecchiezza. Del resto solleverei la bici gridando: “questa è  eterna giovinezza!”

Dopo la cena tornammo in camera dove scoppiò una scenata.

Quella ce l’aveva con me perché non l’avevo portata in un posto di lusso, io la disprezzavo proprio per tale sua debolezza da infima borghese.

L’avevo capito nelle gite scolastiche: si lamentavano del cibo e delle camere soprattutto i ragazzi delle famiglie meno abbienti.

L’anno seguente quando saremmo andati nella Baviera in pellegrinaggio al lago dov’era affogato Ludwig e ai suoi castelli teatrali, non trovai un alloggio dal prezzo contenuto, e dato il grande freddo, mi rassegnai a un albergo parecchio costoso. Ifigenia avrà la sfacciataggine di fare questa battuta triviale: “Finalmente mi hai portata in un posto decoroso!”.

Mancavano solo due mesi alla  sua fuga dal poverello di Pesaro.

 

Bologna 30 giugno 2024 ore 11, 36 giovanni ghiselli

 

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Svizzera-Italia 2 a 0.


 

La nazionale di calcio è il correlativo sportivo di una nazione

 

I calciatori della nostra nazionale non fanno gol come tanti, troppi dei nostri politici chiacchieroni non fanno centro con le parole  nei loro sproloqui.

Tanto correre su e giù;  tanto parlare e straparlare per nulla.

 

Non ho mai amato il calcio quanto il ciclismo. Tuttavia mi piacque molto Italia Germania 4 a 3 nel lontano giugno dei venticinque anni miei e di Gigi Riva. Ero al Motel Palace di Cittadella e concludevo il primo anno di insegnamento.

Quella sera saltai sulla poltrona. Sentivo che si preparavano anni belli per la mia vita.  Vedevo in quei calciatori la volontà che avevo dovuto trovare in me stesso per diventare un bravo insegnante-educatore durante l’inverno passato in solitudine in un motel fuori dalle mura di Cittadella.

Guardando quella partita arrivai a prevedere le cose belle e buone che mi aspettavano, se la forza della volontà non mi fosse venuta meno.

Belle donne e cari amici avrei trovato. Nella piazza centrale di Padova sarei andato a vivere, mi sarei abilitato al greco e al latino poi sarei tornato a Bologna dove le zie mi avevano comprato un appartamento.

In luglio, ogni anno, di nuovo Debrecen con gli amici per fare nuove amicizie.

Del resto anche ieri davanti  alla bischeraggine inconcludente di quei calciatori  ho reagito con il proposito di seguitare a mirare con tutte le forze al meglio di  me per comunicarlo a quanti vorranno servirsene.

Vecchio sono vecchio ma dura e forte è la vecchiaia mia. Perfino un po’ cruda. Un giorno sono nato e un giorno morirò. Il più tardi possibile spero e in buona salute fino alla penultima ora. Dopo l’ultima,  la trasfigurazione e tutti i miei cari: i consanguinei, le amanti amiche, le amiche non amanti e gli amici, mi accoglieranno nel loro tiaso festoso, nella loro confraternita santa.

 

Bologna 30 giugno 2024 ore 9, 52 giovanni ghiselli

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sabato 29 giugno 2024

I sette samurai di Kurosawa.


 

Ieri sera sono andato al cinema in piazza senza problemi di orario dato che questa mattina non dovevo prendere il treno.

Ho visto questo bellissimo film del 1954 per la prima volta. Una vergogna per un cinefilo. La bella rassegna della cineteca ha un difetto nell’orario: inizia alle 21, 45 con due o tre interventi prima del film che comincia intorno alle 2 2 e 20. Se è lungo si va ben oltre la mezzanotte

Ieri c’è stato anche un contrattempo e il film è terminato poco prima delle due. Quindi mezz’ora di bicicletta per arrivare a casa poi la cena povera e nemmeno intera. Non mangio mai prima di uno spettacolo.

Questo comunque mi è piaciuto molto- Avevo visto il rifacimento I magnifici sette, meno che modesto, una brutta copia.

 Il capolavoro di Kurosawa è ben altra cosa.

Tutto il film è bello. Non lo racconto perché la vicenda è nota.

Kurosawa mette in rilievo la generosità e la nobiltà d’animo di questi guerrieri  che si battono rischiando la vita in favore dei contadini vessati dalla violenza di bande armate numerose e criminali.

Tra i sette c’è uno che non è un samurai né viene creduto quando si spaccia per tale.  E’ un contadino anche lui. Viene accolto ma talvolta anche deriso perché non conosce le regole dello stile della casta nobile, cavalleresca. Ma è pure  lui una bella persona. Ho notato un particolare. Quando i banditi danno fuoco a una casa con un mulino, ne esce una madre ferita a morte con il suo bambino in braccio. Il samurai spurio le va incontro, prende il piccolo in braccio, mentre la madre muore, e dice: “questo bambino sono io stesso. Ho patito dì tutto, sono stato maltrattato da sempre da tutti, fin da piccolo”. Più o meno queste le parole della traduzione visibile sotto le immagine

Ho pianto nel buio della piazza vedendo queste parole: ho pensato a Edipo, a tanti altri bambini maltrattati, a quanti in questi giorni, da diversi mesi, vengono ammazzati nelle guerre, e a me stesso. Ho pianto anche di consolazione perché me la sono sempre cavata con l’aiuto di persone buone che mi hanno salvato da quelle cattive e attive.

Faccio solo l’esempio dell’Antonia di Carmignano. Chi mi legge la conosce. Ma ce ne sono state alcune altre. Mi hanno aiutato senza volere niente in cambio. Ho dato a queste belle persone soltanto il mio affetto, la mia stima e la contentezza di me stesso raggiunta grazie a loro.

I benefattori avranno per sempre la mia gratitudine. Che Dio li benedica.

Bologna 29 giugno 2024 ore 17, 33 giovanni ghiselli

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Ifigenia CCXXII Due infelici a Moena nella sua vesta più bella.


 

Il 26 giugno arrivammo a Moena.

La valle di Fassa in giugno è un giardino colmo di erbe e di fiori, un prato variopinto, con un grande contorno di foreste vive sormontate da rocce. Arrivammo intorno alle quattro nel paese magico della mia infanzia. Salimmo fino alla Malga Panna. Ci diedero una camera matrimoniale con un letto enorme. Proposi subito di fare una passeggiata nel prato che si stende fino alla chiesa sottostante. Ancora non sapevo che Ifigenia non aveva portato le scarpe per camminare nell’erba alta del mese più luminoso dell’anno.  

Disse che voleva dormire siccome non reggeva il ritmo spietato e massacrante che volevo imporle, da tiranno tremendo.

“Molte sono le cose tremende, pensai, ma niente è più trmendo di te”

Mi chiesi quale nesso ci fosse tra le sue parole di accusa e i fatti: non ci si muoveva con le nostre gambe da molte ore. L’automobile l’avevo guidata sempre io mentre lei quella dormiva.

Sentivo la necessità di muovermi anche in maniera impegnativa. Avevamo a disposizione diverse ore di luce e volevo goderle tutte anche perché a Moena in giugno non ci ero mai andato e non avevo mai visto dove tramonta il sole quando sale alla massima altezza e va a dormire nel suo giaciglio posto più a nord. Tale visione nuova mi interessava più delle lagne di quella fiacca, sdilinquita ragazza che mi ero tirato dietro e mi disturbava. Le augurai un buon riposo e uscìi da solo disgustato da tale disinteresse alla bellezza del luogo, della stagione, dell’ora.

Guardavo l’occhio del giorno d’oro spostarsi  adagio verso il passo di Costalunga: stava trovando la forza che avrebbe perduto gà a metà luglio, di superare tutta la schiena villosa del Sas da Ciamp.

Nel mese più bello, il dio che ci dona la luce e il calore ama volare oltre i suoi ostelli notturni situati nei boschi occidentali e meridionali, e arriva a posarsi nel nido che si trova più a nord, sopra lo specchio turchino del lago di Carezza  dove può vedere riflesso il proprio volto purpureo come fa a Pesaro quando arriva a tramontare nel mare oltre il grattacielo di Rimini e i suoi devoti che vanno a pregarlo tutte le sere sull’ultimo molo del porto lo salutano grati chiedendogli la grazia di poterlo vedere per tanti altri giugni quando la terra diventa un paradiso grazie alla sua generosa presenza. Non ho mai potuto osservare l’eroica luce del sole nel mese di giugno senza rivolgergli pensieri e parole di gratitudine e amore.

Per vedere fino all’ultimo minuto il santo viso che calava verso il Rosengarten dovetti attraversare il prato di Sorte e salire su un’altura posta più a nord. L’erba mi arrivava alla vita.

Vidi un ragazzo che correva in tuta e scarpette senza zavorra

“Te beato-pensai-, felice te, fortunato per la tua libertà, e disgraziato me che mi sono addossato un peso molesto! Il mese di giugno è una festa nel nostro emisfero; qui a Moena è un tripudio della natura nel suo pieno rigoglio, ma la snaturata inferma di mente si mette a letto in una stanza buia, cimiteriale, a metà del pomeriggio, al culmine di questa orgia santa. Vuole  solo darmi fastidio. Devo fuggire via da costei se non voglio ricadere nella paura di vivere che mi venne inculcata da bambino e mi ha interdetto ogni gioia per anni.

“Felice te!”, ripetei e mi diedi a correre anch’ io.

 

Bologna 29 giugno 2024 ore 11, 36.

p. s

Ricordo che oggi pomeriggio, date le cause di forza maggiore, non terrò la lezione prevista.

 

   

 

venerdì 28 giugno 2024

La lezione mancata.

La mia lezione di domani al festival dei Filosofi lungo l’Oglio non verrà effettuata per motivi di causa maggiore

 

Bologna 28 giugno 2024 ore 21, 02  

 

Saluti giovanni ghiselli

 

Ifigenia CCXXI Cittadella e Carmignano. A cena dalla mia amica più cara.


 

Il 25 giugno andammo nel Veneto per salutare Atonia la mia migliore,  e poi proseguire per Moena. Volevo presentare a Ifigenia delle realtà molto importanti della mia vita. Ero andato a prenderla verso le dieci. Come la vidi con una valigia grande e gonfia non le domandai se avesse preso quanto sarebbe stato necessario in montagna: glielo avevo detto la sera prima e mi sembrava una segno di sfiducia e una scortesia, quasi una violenza verbale, incalzarla con le domande che si pongono alle persone delle cui capacità mentali si dubita.

 

Arrivammo a Cittadella nel primo pomeriggio. Ci fermammo per prenotare una stanza nel grosso motel dove avevo passato in solitudine i pomeriggi e le notti del venticinquesimo anno di vita, bramando e sognando una donna giovane, bella e vivace. Invano.

Le scolare non erano donne, bensì bambine, e le colleghe non mi garbavano poiché erano in cerca di un fidanzato.

Avevo il ricordo bello di Helena amata durante la primavera di Praga e la speranza della prossima Debrecen in luglio. Avrei in effetti incontrato la prima, in ordine temporale, delle mie finlandesi, e avremmo fatto una scorpacciata di sesso, ghiotti come eravamo entrambi.

L’amore celeste, figliolo di Venere Celeste, l’avrei incontrato solo nel 1971 con Helena finlandese. Ma questo l’ho già raccontato.

 

Noi due viaggiatori dunque eravamo seduti su una panchina di ferro situata tra la strada rumorosa e il motel Palace che ci stava alle spalle alto e incombente. Oggi nemmeno lui c’è più.

Ifigenia era muta. Le domandai perché.

“Tu per me sei l’uomo ideale, mentre io per te sono soltanto un esperimento. Non è così?”

Faceva una scena. Voleva mettermi alla prova. Stava giocando una partita a scacchi. Mi diede fastidio. Ma decisi di stare al gioco.

“Ma no, cosa dici? La nostra situazione non è ancora completa: non siamo del tutto armonizzati, ma, vedrai, ce la faremo”

Quindi aggiunsi una citazione quasi irrisoria per non mentire dicendo che lei era la donna della mia vita

Ad pulchritudinem tria requiruntur: integritas, consonantia, claritas” Tu bella sei bella, quindi i tre requisiti della bellezza eterna, dell’arte cui aspiriamo entrambi possiamo spremerli o mungerli dalla tua persona e nutrircene”.

Ifigenia, cresciuta alla mia scuola, replicò con un’altra citazione: “Non basta un anno e nemmeno un biennio a mostrarci un uomo: voi siete tutti stomaci e noi tutte soltanto cibo; ci mangiate avidamente e quando siete pieni ci rigettate”

Brava: Emilia nell’Otello di Shakespeare! Se vuoi lo ricordiamo in inglese”

“Lascia perdere!”, disse e fece con un gesto di ripulsa.

Aveva studiato inglese a scuola ma non sapeva parlarlo; me ne accorsi il mese successivo quando sarebbe venuta a Debrecen con me e Fulvio.

Intanto sopra di noi gravava il mortorio opprimente di un cielo innaturalmente grigio. Piovigginava anche e faceva freddo.

Sicché pensavo: “ero più contento nel giugno rovente, apocalittico del 1970, quando scalavo il monte Grappa sulla mia bicicletta da solo, mangiavo e dormivo da solo, e studiavo per preparare i ragazzini di terza media all’esame finale del loro triennio.

Ma in quel tempo mi aspettavo l’amore di una donna della mia levatura. Ero un ragazzo non alto ma capace di piacere a diverse donne. Anche a me stesso. Sentivo l’attrazione esercitata sulle femmine umane e contraccambiata. Le allieve, le colleghe, le bidelle mi trattavano bene, mi corteggiavano. Perciò nonostante la solitudine della mia vita anacoretica ero felice. Avevo il cuore pieno di attese e speranze. Almeno cinquanta amanti promettevo a me stesso. Non invano. Non mi lamento.

Invece quel giorno freddo e triste Ifigenia si lamentava. E mi annoiava.

A metà pomeriggio andammo a casa di Antonia che ci accolse bene: parlò con noi e ci ascoltò amichevolmente.

Non era mai noiosa perché si prendeva a cuore le persone ed era intelligente.

L’anno seguente, quando andai a trovarla da solo dopo che Ifigenia fu sparita cercando un ingresso nel mondo cui aspirava, disse che quella ragazza fin dal primo momento mi aveva frequentato con atteggiamento teatrale, ed era quasi sempre in posa mettendosi in mostra per farsi notare. Nel suoi sguardo non si vedeva mai un’anima pura e commossa, come si nota nel volto di una persona dalla buona sostanza morale. Nella relazione con me aveva voluto fare una lunga scena nella scuola dove faceva una supplenza e si sentiva a disagio. Del resto durante il rapporto con me preparava le esibizioni che sperava di ripetere a teatro. Io avevo perduto la speranza del suo amore quando avevo capito la teatralità integrale di quel personaggio in cerca di palcoscenico.

In ogni caso la consapevolezza raggiunta aveva accreciuto le mie qualità umane concluse l’amica nel giugno del 1891-

 

Bologna 28 giugno 2024 ore 19, 26 giovanni ghiselli

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Argomenti della lectio magistralis che terrò il 29 giugno al Festival dei Filosofi lungo l’Oglio.


 

L’ umanesimo  è amore dell’umanità, della vita e della natura.

 

 

Il sapere non è sapienza se non arriva a conoscere il Bene (Platone, Repubblica, 505 a-b).

Se conoscessimo tutto tranne l’idea del bene-dice Socrate-questo sapere non ci gioverebbe a nulla.

 

 

Umanesimo è avere coscienza di essere uomo (Sofocle, Edipo a Colono,  v.567)

 

Umanesimo è adoperarsi per il bene comune  (Seneca, Epistulae ad Lucilium, , 60, 4)

 

Umanistica  è la cura della parola che è pure cura dell’anima (Platone Fedone, 115 e)

 

 

Necessità dello studio della storia (Cicerone, Orator, 120)

 

 

L’uomo come segno di contraddizione: Socrate, Cristo e diversi altri.

 

I sacrifici umani  quali segni di antiumanesimo (in Eschilo: Agamennone;  in Euripide: Troiane- Ecuba- Ifigenia tra i Tauri- ; in Lucrezio: De rerum natura).

 

Gratitudine e ingratitudine (Teognide, Euripide,  Senofonte).

 

Umanesimo è anche la capacità di mettersi nei panni degli altri con la compassione (L’Umorismo di Pirandello).

 

Diversi miti nascono dalla compassione suscitata da un bambino abbandonato  dai genitori. L’infante poi diventa un uomo eccezionale –(Edipo, Mosé, Romolo etc.)

 

 La filosofia nasce dal meravigliarsi  (Platone Teeteto e  Aristotele Metafisica)

 

 

Una forma di umanesimo è evitare ogni eccesso ( Scritta delfica, quindi  Erodoto, Euripide, Orazio).

 

Argomento della seconda parte: l’amore della natura.

 

Nell’età ellenistica la natura diventa il paradiso perduto che  gli uomini civilizzati vorrebbero ritrovare.  L’esempio antico dei giardini pensili trovati da Alessandro Magno a Babilonia e dei santuari in mezzo alla natura come gli oracolo di Dodona, di Delfi, e il tempio di Poseidone a Capo Sunio. Il luogo ameno di Olimpia.

 

 

I poeti ellenistici sono “postfilosofici” (Bruno Snell).  Sono anche postpolitici perché non scrivono con la prospettiva di un popolo colto che li ascolta o li legge come gli autori dell’Atene democratica del V secolo. Devono piacere ai loro committenti dai quali dipendono.

 

 Teocrito,  Callimaco e i loro epigoni romani.

 

Le querce vocali di Dodona (Odissea, Prometeo incatenato, Trachinie)

 

Umanesimo dell’idiota di Dostoevskij, il  principe Lev Nikoljevič Myškin.

 

 

p. s

Domani esporrò i contenuti di questo percorso al festival dei Filosofi lungo l’Oglio di Brescia

 

Bologna 28 giugno 2024 ore 11, 45 giovanni ghiselli

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L’umanesimo dell’idiota di Dostoevskij.


 

Nelle prime pagine del romanzo, l’idiota Myškin racconta la sua esperienza di  maestro  in un paesetto della Svizzera e afferma: “i bambini ci curano l’anima” (I, 6).

In una parte successiva il  principe Lev Nikoljevič Myškin asserisce che anche osservare la natura senza volersene appropriare ci cura l’anima

: “Io non so come sia possibile passare accanto a un albero e non sentirsi felici di vederlo. Parlare con una persona e non essere felice di volerle bene! Oh io non so esprimere bene i miei sentimenti, ma quante cose belle vediamo a ogni pie’ sospinto, belle al punto che l’uomo più abietto non può che vederle sempre belle? Guardate un bambino, guardate l’alba divina, guardate come cresce un fuscello, guardate negli occhi che vi guardano a loro volta e vi vogliono bene (Fëdor Dostoevskij, L’idiota, IV, 7).

Ho fatto l’esperienza di entrambe queste terapie insegnando per cinque anni scolastici- dai  miei 24 e 9 mesi ai 29 e sette mesi- in una scuola media di un paesetto del Veneto. Quegli ex bambini ora ultrasessantenni mi hanno insegnato più di quanto abbia fatto io con loro. Ci sentiamo ancora. Ci siamo voluti bene e aiutati a vicenda. L’esperienza mi ha fatto imparare e mi è piaciuta tanto che ho seguitato a insegnare per tutta la vita. A imparare insegnando quanto via via imparavo dalla vita, dalle persone e dai libri. In novembre compirò 80 anni e non ho intenzione di smettere.

 

L’amore per gli alberi

Una notte d’inverno Ulrich “aprì le finestre e guardò i tronchi nudi degli alberi, coi rami stranamente neri e lisci fra le coltri di neve del suolo e della chioma, e improvvisamente ebbe voglia di scendere in giardino così com’era, in veste da camera: voleva sentire il freddo nei capelli”

Mentre percorreva un viottolo”a un tratto l’oscurità torreggiante fra le vette degli alberi gli ricordò la gigantesca figura di  Moosbrugger e le piante spoglie gli parvero stranamente corporee, brutte e bagnate come vermi, eppure avrebbe voluto abbracciarle e cadere ai loro piedi con il viso inondato di lacrime. Ma non lo fece. Il sentimentalismo del suo impulso lo ributtò indietro nell’istante stesso in cui lo toccava.

Attraverso la spuma lattea della nebbia apparvero al di là del cancello due o tre passanti attardati, ed egli, come la sua figura in vestaglia rossa, si staccava adesso dai tronchi neri, avrebbe potuto sembrar loro un pazzo; ma fece il sentiero a passo femo e rientrò in casa relativamente contento”

 (Musil L’uomo senza qualità Parte Seconda, Le stesse cose ritornano, capitolo 62.)

Cfr la cura di Anteo.

Bologna 28 giugno 2024 ore 10, 49 giovanni ghiselli

 

 

 

 

 

 

giovedì 27 giugno 2024

La grande quercia darà dei segni.


 

La grande quercia sarà la meta della passeggiata cui seguirà la mia lectio magistralis al Festival dei Filosofi lungo l’Oglio sabato 29 giugno.

 

 

Le querce  non sono mute: possono significare, dare segni e perfino parlare.

Nell’Odissea troviamo le querce vocali di Dodona che sono profetesse di Zeus e gli prestano la loro voce

Nel XIV libro del poema omerico  Odisseo travestito da mendicante racconta a Eumeo di essere andato in Epiro dove il re dei Tespròti, l’eroe Fidone gli disse che il re di Itaca era andato a Dodona per sentire il consiglio di Zeus dato dalla quercia alta chioma su come egli dovesse tornare a Itaca- - ejk druo;~ uJyikovmoio Dio;~ boulh;n ejpakouJsai- (v. 328)

La storia viene ripetuta da Ulisse a Penelope prima di farsi riconoscere nel XIX canto.

 

Nelle Trachinie di Sofocle Deianira racconta che Eracle le aveva detto di avere ricevuto un responso dall’antica quercia e dalle due colombe di Dodona (171-172). Secondo questa profezia l’eroe avrebbe affrontato e compiuto l’ultima fatica. Alla fine della tragedia Eracle morendo comprende che il termine delle fatiche era anche quello della vita: “toi`~ ga;r qanou`si movcqo~ ouj prosgivgnetai” (1173), ai morti infatti non si aggiunge fatica.

 

Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano ricorda  a Iò quando ella giunse in Epiro nel paese dei Molossi e all’alta montagna di Dodona dove c’è l’oracolo e il seggio di Zeus di Trespozia e l’incredibile prodigio-tevra~  t j a[piston , cioè le querce parlanti aiJ proshvgoroi druve~ 832  che la salutarono come l’inclita sposa di Zeus-833-

 

Una curiosità: nell’Iliade Achille invoca Zeus con queste parole:” tu che vivi lontano e regni su Dodona lontano dalle  cattive tempeste e intorno a te vivono Selloiv i Selli, i tuoi sacerdoti che dormono in terra e non si lavano i piedi-ajniptovpode~ (XVI, 233- 235).

 

p. s. ho corretto un refuso del post sui giardini pensili: amoenitatem naturae  imitari  ovviamente, non natura. Chiedo scusa.

 

Bologna 27 giugno 2024 ore 18, 49 giovanni ghiselli

 

 

 

 

errata corrige: amoenitatem naturae.

modello 1

mercoledì 26 giugno 2024

La corsa del 24 giugno 1980

Il 24 giugno del 1980 dunque corsi i 5000 metri davanti a Ifigenia per rendere onore al mio santo, e per
  farmi ammirare dalla mia unica amante non più tanto apprezzata ma ancora desiderata.
Bella era pur bella come Lisania di Callimaco.
 
Bella era anche la serata estiva: calma, purpurea, piena di voli, come è quasi sempre il mio giorno onomastico che prende il nome dal santo più onesto ed è uno dei giorni più belli dell’anno.
 
Quella sera rimossi il decadimento della mia donna.
 La rivedevo com’era quando la conobbi nel novembre del ’78 quando mi consolava del buio precoce, del freddo, della retrocessione nell’insegnamento e della solitudine antica, entrando in camera mia alle cinque dei pomeriggi già privi di luce, con i capelli violacei screziati di candidi fiocchi, lo sguardo lucente, l’anima aperta e fiduciosa di imparare tanto sulla propria vita, sul nostro destino mentre parlava con me prima di fare l’amore  e dopo. Quando entrava i cristalli di ghiaccio che aveva addosso sembravano chicchi di riso lanciati da mani festose sopra la sposa giovane bella e felice. Ringiovaniva e imbelliva anche me. Dopo soltanto un anno e mezzo si era già sviata su una strada scoscesa. Ma quella sera feci finta che questa caduta non fosse iniziata e volai verso il traguardo dove la ragazza mi incitava, vestita di bianco, adorna sulle spalle e nel petto delle chiome brune che si arrossavano illuminate da quel cielo amaranto.
 Arrivai sul traguardo in 18 minuti e 39 secondi  e pensai che lo dovevo a lei. Un giorno avrei scritto un capolavoro raccontando la nostra storia. Erano i guizzi estremi di una fiamma che si stava spengendo. Non c’era verso di impedirlo. Una serie di cause arcane e concatenate ci stava portando alla fine. Questa come ogni evento era già predisposta da miriade di altre cause precedenti le nostre vite e quelle dei nostri antenati: era una morte predestinata ab aeterno come gli esiti dei miei amori precedenti.
L’unico modo di farli vivere ancora era raccontarli con parole ornate e  ricche di immagini
 

Bologna 26 giugno 2024 ore 19, 13 
giovanni ghiselli
 
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Desiderio della natura di cui si sente la mancanza.


 

I giardini pensili antichi e di oggi

 

Curzio Rufo (I sec. d. C.)  attribuisce questa nostalgia della natura a una regina babilonese che indusse il marito a dotare la città di giardini pensili.

Sopra la rocca di Babilonia super sarcem ci sono ancora i pensiles horti, vulgatum Graecorum fabulis miraculum (Historiae Alexandri Magni, 5, 1, 32), la meraviglia celebrata dalle leggende greche.

Sarebbe stato un re siriano a far costruire questi giardini per curare la nostalgia della moglie che soffriva desiderio nemorum silvarumque  per la mancanza di boschi e di selve, sicché ella virum  compulit amoenitatem natura imitari (5, 1, 35), indusse il marito a imitare l’amenità della natura.

 

Diodoro Siculo (90-27) attribuisce l’opera a un re siro che volle compiacere una concubina persiana  desiderosa  di ritrovare i prati e i monti della sua terra ejn toi`~ o[resi leimw`na~ ejpizhtou`san (Biblioteca Storica, II, 10, 1)

Oggi su vedono i pensiles horti su terrazze e grattacieli.

Aggiungerò questa breve osservazione alla mia lectio su Desiderio di umanesimo quale amore dell’umanità, della natura e della cultura che presenterò sabato prossimo 29 giugno al Festival dei Filosofi lungo l’Oglio

 

Bologna 26 giugno 2024 ore 10, 22 giovanni ghiselli

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La mia lectio dell’anno scorso Osare l’inattuale si trova su You Tube- Ha avuto 511 visualizzazioni in due mesi.

 

 

 

martedì 25 giugno 2024

Ancora su Santo Giovanni, l’onesto Giovanni.


 

Il giorno dell’onesto Giovanni,  il Precursore di Cristo  che di lui disse: “non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista (N. T., Matteo, 11, 11), il Battista che apostrofava molti tra Farisei e Sadducei con: “Progenies viperarum” (3, 7), ebbene ogni 24 giugno sento il dovere di rendere onore a questo magnifico profeta il cui nome ispirò mia madre Luisa la quale ripetè risoluta a quanti proponevano altri nomi inappropriati a suo figlio, le parole sante dette da Elisabetta a chi andò a circoncidere il bambino di otto giorni e voleva venisse chiamato come il padre di lui Zaccaria : “Nequaquam sed vocabitur Ioannes” ( N. T., Luca, I, 60).

In greco: “Oujciv, ajlla; klhqhvsetai  jIwavnne~

A ogni onomastico mi domando: “sono io veramente Giovanni?” Ho la grazia di Dio? Merito questo nome?

Più procedo nella vita più lo credo. Ho avuto grazie da Dio in tutti i  campi dove ho impiegato e ancora impiego i talenti ricevuti.

Questo è il ringraziamento del 25  giugno 2024 giugno a Dio, ai miei genitori e a tutti i miei consanguinei.

 

  giovanni.

 

Ifigenia CCXIX. “Dunque in giardin verrai?" / "Se piace a voi, verrò”.


 

Tornai a casa contento. Potevo dare un nuovo stimolo alla mia vita con un’altra collega e amante. La mia lista deve aumentare ancora,  cantavo pedalando scaldato dall’aria di giugno  e dal fervore interno. “Sono in vista le nozze? mi domandai. Invece di rispondere mi diedi a cantare un duetto che ricordavo da Le nozze di Figaro:

 “Crudel! Perché finora

farmi languir così?

 

Signor, la donna ognora

tempo ha di dir di sì

 

Dunque al Baumann verrai?

 

Se piace a voi, verrò

 

E non mi mancherai?

 

No, non vi mancherò

 

Verrai?

 

 

Non mancherai?

 

No

 

Dunque verrai?

 

No!

 

No?

 

Se piace a voi verrò

 

Mi sento dal contento

pieno di gioia il cor

 

Il cuore era contento ma il mio ceffo accusava dei dubbi con un ghigno nervoso.

 

Alle 18 e 45 ero già al campo sportivo. Il sole era ancora al di sopra degli alberi posti sul lato ovest del Baumann sicché nell’attesa della bella potevo abbronzarmi. Mi tolsi la maglietta e rimasi in calzoncini e le scarpe da corsa. Quasi come Lady Chatterly che fugge inseguita da Mellors. I due sono nudi ma lei dopo essersi spogliata  si era messa di nuovo le scarpe di gomma. Non era dunque una ninfa ma una donna svestita

Io allora ero un satiro nudo ma un uomo poco vestito.

 Le gambe mie erano di ossatura sottile e muscolatura potente. “Un fisico fatto per correre i 5000 metri, scalare lo Stelvio e amare le donne”, mi compiacqui. Hinault quel giorno aveva stracciato Battaglin. Alle 19 e 15 la graziosa non era arrivata. “Scorretta però questa  deliziosa signorina” pensai.

“Ora corro i 5000 che devo a me stesso,  poi vado a cercare Ifigenia”. Lucia era in ritardo con tutto che mi aveva chiesto di anticipare l’ora da me  proposta.

Mi venne un dubbio:“Che sia peggiore di quell’altra? Il tempo rivelerà qual è la più ingiusta”

Senza indugiare, iniziai la mia gara a cronometro. Andavo  discretamente: potevo metterci meno di venti minuti: per fare metà del percorso avevo impiegato nove minuti e cinquantaquattro secondi. Dunque non dovevo mollare. Nemmeno Lucia, se arrivava. Se no c’era quell’altra oppure ritrovavo una delle smarrite per strada. Poco dopo, a meno duemila metri dalla conclusione della mia prova, Lucia arrivò. Ricordai che da militare ero arrivato secondo dietro un calciatore professionista in una gara di duemila metri appunto ed ero entrato nella compagnia atleti per un po’ di tempo.

Lucia si era appostata sulla linea di arrivo e mi incoraggiava. Terminai in 19 minuti e 35 secondi. La deliziosa ragazza mi guardava amabilmente e mi faceva i complimenti dovuti. Contraccambiavo i suoi sguardi senza parlare. Lucia indossava una tutta nera aderentissima che le stava bene, snella e pure formosa com’era. Volle provare a correre anche lei: si stancò subito ma anche la fatica le donava:  aveva affinato il  suo viso e reso ancora più grandi gli occhi da attrice cinematografica.

Verso le otto il sole era arrivato alle cime dei pioppi che orlano il campo. Una brezza tiepida, gradevole, muoveva adagio le foglie imbevute di luce. Poteva essere l’ora del corteggiamento, preludio dell’idillio sognato, ma lei se ne andò: aveva un impegno.

Feci un altro giro in bicicletta dandomi del perfetto imbecille, poi tornai a casa. A mezzanotte telefonò Ifigenia dicendo che si era annoiata a Modena con le cugine e che le ero mancato. “Meno male”, pensai.

 

Bologna 25 giugno 2024 ore 18, 29 giovanni ghiselli

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