giovedì 21 novembre 2019

Le nozze di Mercurio e Filologia

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In un’opera straordinariamente fortunata, fin dall’età carolingia, il De nuptiis  Mercurii et Philologiae del retore cartaginese Marziano Capella (360- 428), ritrovo un concetto espresso da Euripide con parole che ho già citato molte volte nei miei post: "to; sofo;n  d  j ouj  sofiva" (Baccanti , v. 395), il sapere non è sapienza.

Sentiamo dunque Marziano Capella guidati da Massimo Cacciari
Filologia dunque è una doctissima virgo di nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax Dei. Quindi ella deve arrivare a rappresentare l’insieme delle arti liberali. Filologia è amore per ogni forma del logos.
Scoto Eriugena (IX secolo) legge le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete della mente divina, colui che conduce al Nous.
Filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum in supera. Filologia dovrà sposare Mercurio, l’interprete che conduce a comprendere la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima però deve vomitare “coactissima egestione con uno sgombero sforzatissimo di  tutto ciò che la riempie, ossia della erudizione umana, troppo umana. Poi quella nausea ac vomitio si  trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza “passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”. (M. Cacciari, La mente inquieta , p. 38)
Dunque Filologia corre da Filosofia omni studio affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le faccia da guida e da sposo.
Scoto commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia subisce una metamorfosi: passa dalla facies terrestre che vomita la disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle arti dalle Muse. Mercurio interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal cumulo di saperi le arti si trasfigurano in Armonia. E Filologia terrestre diventa celeste. “Ermete, secondo appunto la propria natura,  è metaxuv tra Filologia e Filosofia, dialettizza l’ordine dei grammata con quello della philìa o eros  per la sapienza del Bene, che costituisce la timé di Donna filosofia. Il significato che Ficino e Poliziano attribuiscono a Filologia non è diverso. Filologia resterebbe cieca senza orientarsi attraverso la fatica dell’esegesi a Filosofia, senza spingersi, guidata da Ermete, verso i ‘misteri di Platone’. E un Ermete, anche se tentato da Saturno, è lo stesso Ficino, l’insuperabile ‘traduttore’”. ( M. Cacciari, La mente inquieta, p. 39).

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