sabato 2 novembre 2019

Presentazione sommaria del dramma di Sofocle più noto

Charles Francois Jalabert, La peste di Tebe

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Edipo re (alcuni lo datano al 430, altri - quorum ego - a uno degli anni succcessivi alla catastrofe della spedizione in Sicilia del 413.
E’ la tragedia più nota di tutte, forse la più nota di tutte le tragedie greche, seguita magari dalla Medea di Euripide

L'Edipo re è la tragedia dell'uomo il quale, dopo avere conseguito un successo con la forza del suo ingegno, ritiene che l'intelligenza e l'attività umana possano arrivare dovunque, e risolvere i problemi, indagare i misteri, indipendentemente dagli dei, senza tenere conto dei segni del loro volere, trasmessi ai profeti attraverso gli oracoli, le fronde degli alberi, gli uccelli, o in altra maniera.
 Uno dei centri ideologici del dramma è costituito dai versi 396 - 398:"arrivato io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzecandoci con l'intelligenza e senza avere imparato nulla dagli uccelli" –oj mhde;n eijdwv" Oijdivpou" e[pausa nin - gnwvmh/ kurhvsa" oujd ajp j oiiwnw'n maqwvn - - .
Questa affermazione di autonomia, per Sofocle, poeta tradizionalista e pio, è uJvbri", dismisura, prepotenza, cecità intellettuale e morale che fa crescere la mala pianta del tiranno (v.873), il quale è perciò destinato a precipitare nella necessità scoscesa (v.877) del castigo e della espiazione.
La bestemmia contro il numinoso che, nel poeta di Colono, come in Erodoto, aleggia sulla terra assumendo varie forme, viene ribadita più avanti, in complicità scellerata con la regina Giocasta, al grido empio della quale:" O vaticini degli dei, dove siete? - w\ qew'n manteuvmata, - i{n ejstev; 946 - 947 ", il re fa eco con questa tirata blasfema:" Ahi, perché dunque, o donna, uno dovrebbe osservare/ il fatidico altare di Delfi o gli uccelli/ che schiamazzano in alto? (...) Gli oracoli che c'erano, li ha presi/ Polibo che giace presso Ade, ed essi non valgono nulla"(vv.964 e sgg.).
Edipo e Giocasta dunque sono rappresentanti di quel pensiero laico - sofistico cui Sofocle si oppone con tutta la sua produzione poetica, e più che mai con questo dramma, dove il coro, portavoce dell'autore, durante il secondo stasimo, domanda:"Se infatti tali azioni sono onorate,/ perché devo eseguire la danza sacra? tiv dei' me coreuvein;"(vv.895 - 896). Se gli oracoli vanno in malora e Apollo è dimenticato, allora gli dei tramontano (e[rrei de; ta; qei'a, v.910), aquindi la stessa rappresentazione tragica, che fa parte della liturgia religiosa, perde ogni significato e diviene assurda.

Attualità dell’Edipo re
Ovidio in Amores (I,15,15) predice che alla tragedia di Sofocle il tempo non porterà alcun danno:"Nulla Sophocleo veniet iactura cothurno ". I secoli gli hanno dato ragione. Per quale motivo la lettura dell'Edipo re sofocleo è ancora oggi proficua, produttiva di idee e sentimenti? Non solo perché è un'opera densa di significati molteplici e tuttora vivi, ma anche per il fatto che parla di noi tutti e arricchisce l'autocoscienza di ciascuno. Werner Jaeger in Paideia (I vol. p. 482) afferma che l'idea della misura greca si può contemplare come da una vetta collocandosi sul punto dove è Sofocle. Ebbene, tale misura è quella delfica del "nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va bonificato al pari di una palude; è il pio riconoscimento di una giustizia insita nelle cose, e, in definitiva, è il reperimento dell'armonia tra se stessi e la vita: valori che si possono considerare eterni. Un poeta tanto più è universale, quanti più esseri e situazioni umane la sua opera abbraccia e comprende, quanto più profonde sono le cave dell'anima nelle quali si interna. Questo dramma possiede la forza di condurre chi lo ascolta, o lo legge, a inabissarsi in se stesso, come può fare un sogno molto denso di significati, rappresentato però con chiarezza apollinea. E' il massimo pregio di Sofocle e dell'Edipo re.
Ma ci sono altri aspetti che possono andare incontro ai bisogni spirituali dei giovani e dei non giovani. C'è la lotta dell'anima religiosa contro l'illuminismo della sofistica.
Che stava diventando una moda nell’Atene di Alcibiade.

Si pensi all’odierno cosidetto “politicamente corretto”. Guai a chi esce dal coro che urla: le donne - senza specificare quali - devono andare al potere; l’unica persecuzione storica che va ricordata è quella subita dagli Ebrei da parte dei nazisti ed è vietato negarla, mentre tutte le altre, anche dei nostri giorni, vengono ignorate o minimizzate o perfino approvate. Uccidere tre persone con l’automobile è un incidente, massacrare di botte un poveraccio in una caserma è omicidio colposo, preterintenzionale, mentre ferire un orso per difendersi o dare un calcio a un pescecane con l’unico piede rimasto dopo il primo morso è un crimine efferato.
In televisione continuano a dire che gli squali sono amici degli uomini. Molto raramente mangiano uno della nostra specie, e la colpa è sempre della vittima.
Tali bestie ingorde e feroci sono ben reputate, forse, perché sono il correlativo animalesco dei profittatori.
La massa privata della scuola, della poesia, dell’arte segue pedissequamte i luoghi comuni spacciati come droga da gente astuta e maliziosa: il femminismo razzista, l’animalismo che antepone all’uomo la bestia, il consumismo che uccide uomini, animali e alla fine sconcerà il nostro pianeta. Si tratta di stare sempre dalla parte dei più forti, quindi dei più.

Sofocle invece nuotava contro le onde della storia.
 Questa tendeva a screditare, smontare o abbattere tutti i monumenti della tradizione sacra, cominciando dagli oracoli attraverso i quali il popolo devoto sentiva pullulare il numinoso e risuonare la volontà degli dei intesa a dare una forma e un significato alla vita umana altrimenti caotica e insensata.
Il poeta tradizionalista ingaggia una battaglia contro il relativismo gnoseologico ed etico diffuso tra gli intellettuali come Protagora che influivano pure sulla direzione politica della città. All'uomo misura di tutte le cose, e dunque sfrenato nel proprio arbitrio, Sofocle contrappone il punto fermo della fede negli dei dell’Olimpo i quali non possono tramontare né invecchiare senza che il mondo ripiombi nel caos primordiale. Per lui, misura di tutte le cose è Dio. Tale idea del resto si può trovare in autori religiosi di altri tempi e di altri luoghi. Tolstoj, in Guerra e pace (p. 1607) scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità".
Certamente il poeta di Colono non poté cambiare il corso della storia, però ebbe l'ardire di nuotare contro le onde della moda culturale del suo tempo. La parabola della religione olimpica di fatto era in fase discendente, ma il bisogno del sacro è insopprimibile nell'uomo, e l' Edipo re, ancora oggi, dà voce a questa esigenza, indicando con dito teso le nefandezze cui può giungere l'intelletto quando presume troppo di sé, e, gonfio di vano orgoglio, soffoca la vita con la dialettica atea e con i sofismi.
Il tiranno Edipo è l'antieroe esemplare dell'individuo che, fidandosi ciecamente della propria intelligenza, produce una dicotomia tra la sua esistenza effimera e la vita eterna del cosmo significata da oracoli e profeti. Egli fallisce per miseria morale e per angustia di visione mentale che si allargherà solo in un secondo tempo, in seguito alla perdita del potere e della superbia derivata dai suoi orpelli ingannevoli, e, paradossalmente, la visione della mente si accrescerà e approfondirà anche con la perdita della percezione oculare. Allora il despota, degradato a mendicante, comprenderà che nella fase dei presunti successi, quando credeva di capire tutto e di arrivare dovunque volesse, aveva danneggiato la natura e offeso la vita. A questa affermazione colpevolista si può obiettare che Edipo ha ucciso il padre e sposato la madre senza saperlo. Supporto autorevole a tale difesa è un passo della Poetica (1453a), dove Aristotele dice che il protagonista del nostro dramma è tale da suscitare pietà e terrore, e dunque funziona bene nell'ingranaggio tragico, in quanto si trova in condizione atroce senza essersela meritata completamente, e piomba sì nell'infelicità con peripezia precipitosa, ma solo per un qualche errore, di j aJmartivan tinav, un difetto piuttosto intellettuale che morale. Noi riteniamo che Sofocle abbia voluto denunciare entrambe le carenze del protagonista: quella etica e quella mentale, le quali del resto coincidono. Il ragazzo che si allontana da Corinto misurandone la distanza con le stelle (v.795) ha perpetrato comunque una strage ammazzando quattro o cinque uomini, tra i quali un vecchio che per giunta gli assomigliava (v. 743), solo perché volevano spingerlo a forza fuori dalla strada: insomma reagendo a uno sgarbo con spropositato puntiglio omicida. Così il trovatello "piedone", divenuto poi principe di Corinto, e quindi vagabondo, ha imbrattato la madre terra con il sangue delle sue creature e l'ha offesa, per la simpatia organica che la lega a queste. Già Eschilo nell'Orestea aveva proclamato che il sangue, soprattutto se di un genitore, versato al suolo non si raccatta né si riscatta (Eumenidi vv.260 e sgg.); che vana è la fatica di spargere tutti i libami per una goccia sola di sangue (Coefore vv.520 - 521); e che il nero sangue di un uomo, una volta caduto sulla terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone vv.1019 - 1021). Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica (cap. VII) scrive: "Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra".

I delitti di Edipo dunque continuano a girare nel mondo finché egli non viene confutato dalla umiliazione di quel suo intelletto orgoglioso e violento il quale aveva osato proclamare la propria superiorità nell'indipendenza dai segni del cielo e della terra che i vati invece considerano divini (vv.396 - 397).
Sofocle vuole insegnarci che una vita umana in disarmonia rispetto al ritmo di quella cosmica, prima si inalbera in convulsioni atroci, poi diviene identica al nulla (v.1188). Egli è abilissimo nel condurci passo dopo passo fino alla soluzione del mistero che avvolge la città di Tebe: questa ha un ottimo re, Edipo stesso, paterno e generoso verso i sudditi che lo considerano, se non proprio uguale agli dei (v.31), certamente il primo degli uomini (v.33). Eppure la polis soffre di peste e sterilità, i mali che solitamente toccano alle comunità dominate da un capo cattivo la cui nequizia si riverbera sulla sua gente.
Si tratta di un tovpo" letterario già presente e vivo nell'Odissea: "h\ gavr seu klevo" oujrano;n eujru;n ijkavnei, - w{" tev teu h] basilh'o" ajmuvmono", o{" te qeoudh;" - ajndravsin ejn polloi'si kai; ijfqivmoisin ajnavsswn - eujdikiva" ajnevch/si, fevrh/si de; gai'a mevlaina - purou;" kai; kriqav", brivqh/si de; devndrea karpw'/, - tivkth/ d& e[mpeda mh'la, qavlassa de; parevch/ ijcqu'" - ejx eujhgesivh", ajretw'si de; laoi; uJp j aujtou'.", ché la tua fama l'ampio cielo raggiunge,/ proprio come quella di un re irreprensibile che timoroso di dio,/ regnando su uomini numerosi e gagliardi,/ tenga alta la giustizia; allora produce la nera terra/frumento e orzo, e si piegano gli alberi per i frutti,/ e figliano costantemente le greggi, e il mare gli porge i pesci,/ in seguito al suo buon governo, prospera il popolo sotto di lui (XIX,108 - 114). E’ Odisseo che parla a Penelope prima di farsi riconoscere.
Un locus ribadito nelle Opere di Esiodo (vv.240 - 244).
 Il lettore, o lo spettatore, anche solo mediamente colto, sa bene che pure nel caso di Tebe sconciata,"la mala condotta/ è la cagion che il mondo ha fatto reo". Ho citato anche Dante (Purgatorio XVI,103 - 104) per spiegare Sofocle, con l'intenzione di significare che la sintesi del poeta di Colono influenza, direttamente o indirettamente, i successivi monumenti letterari, in quanto tutta la letteratura europea, come dice bene T. S. Eliot, da Omero in avanti ha un'esistenza simultanea grazie ad autori i quali utilizzano la tradizione apportandovi il loro contributo e consegnandola ai successivi rinnovata e arricchita.
L'atteggiamento morale del capo (il cardinal Federigo Borromeo) verso i sudditi è definito bene da Manzoni nel ventiduesimo capitolo de I Promessi Sposi :" Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio."

La storia di Edipo è già presente nel canto dei morti dell'Odissea, l'undicesimo (vv.271 - 280). La versione del mito però in Omero è differente, a cominciare dal nome della madre - moglie che si chiama Epicasta. Tale diversità fa venire in mente la grande madre mediterranea, quella che il Prometeo incatenato di Eschilo chiama: pollw'n ojnomavtwn morfh; miva(vvv.210), una sola forma di molti nomi.
E. Fromm ne Il linguaggio dimenticato considera il parricida Edipo, e Giocasta, quali rappresentanti di quella civiltà matriarcale, antiautoritaria, antistatale, che viene faticosamente sconfitta dalla seguente cultura patriarcale, foriera del principio di autorità impersonato da Creonte. In questo conflitto, il desiderio sessuale del figlio per la madre non entra: "Nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia attratto o si innamori di Giocasta"(p.192).

L'interpretazione dello psicoanalista americano è fondata sulla lettura di parti del Mutterrecht di Bachofen, contaminate con l'Estetica di Hegel, e polemizza con quella di S. Freud il quale sostiene che in parecchi miti di vari popoli, l'eroe è il giovane che sopravvive alla malevolenza del padre, quindi lotta contro di lui per il possesso della madre fino ad uccidere l'aborrito rivale, realizzando così il desiderio inconscio di tutti i maschi. Ma vediamo alcune parole de L'interpretazione dei sogni :"Il destino di Edipo ci commuove perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti er
a dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'appagamento di un desiderio della nostra infanzia (...) Davanti alla persona in cui si è compiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo"(p.248).

Sofocle è dunque da un lato poeta arcaicizzante e omerida siccome ripropone uomini disposti ad affrontare l'estrema rovina pur di non cedere alla pressione della norma e di salvare la propria identità minacciata, o anche solo di conoscerla; dall'altro offre spunti e suggerimenti agli autori dei secoli successivi. Molti ne ho indicati nel commento al testo, e uno ne voglio aggiungere in questa parte conclusiva: come Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell'attività sconsiderata, così Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Gončarov, a Zeno di Svevo, per dire solo i più noti, e il prototipo può essere considerato l'Edipo a Colono del quale Nietzsche (p.67) scrive:" L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente lo ha condotto solo alla passività" La nascita della tragedia (capitolo 9).
Non so se Buzzati e gli altri due romanzieri menzionati conoscessero Edipo. E' probabile. Sono certo però che la poesia di Sofocle è un momento cruciale della letteratura europea, è una di quelle grandi arterie dove passa la corrente sanguigna della nostra civiltà, e non è possibile ignorarla senza anemia culturale.
In occasione della morte di Federico Fellini, rivisitando Otto e mezzo con la sensibilità attizzata dai drammi di Sofocle, ho notato un'accettazione edipica del destino e di se stesso anche nelle parole conclusive del protagonista del film, il regista Guido, alter ego del maestro riminese:"Tutto é di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io; io come sono, non come vorrei essere". In questi giorni di correzione delle bozze è morto anche Marcello Mastroianni cui voglio rendere omaggio come a un grande interprete di caratteri e a un uomo umano, nobile e classico poiché amava il bello con semplicità.
 L'Edipo re dunque serve a interpretare con qualche consapevolezza non pochi fatti della vita, privata e politica: le angosce personali, i meccanismi del potere, l'ascesa più o meno irresistibile e la caduta ineluttabile di uomini arroganti, che, come il re di Tebe, sono stati portati su alti fastigi dalla miseria dei tempi e dalla loro stessa tracotanza, ma poi sono precipitati nella necessità scoscesa (cfr. v. 877). Non solo ai nostri giorni, ma diverse volte nella storia, il re o il tiranno si è capovolto in farmakov", in capro espiatorio e mostro deforme. Infatti il tema ricorre nelle opere letterarie, e l'abbiamo riconosciuto pure in un film pieno di bellezza e cultura. Mi riferisco a Ludwig di Visconti che racconta la vita e la morte del "lunatico re" di Baviera. E' uno schema che Bachtin, l'interprete di Dostoevskij, ascrive alla letteratura carnevalizzata e individua nei dialoghi dove campeggia Socrate, nella satira menippea, e nell’ Idiota del romanziere russo. Il carnevale rovescia e relativizza tutte le situazioni, incorona e scorona il re, rompendo le putride pastoie della menzogna ufficiale, mostrandolo nudo e indifeso.

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