domenica 3 novembre 2019

Ama il prossimo tuo perché è te stesso


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Espressioni di umanesimo

L’espressione di umanesimo più efficace e sintetica è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono: "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura ridotta a un rudere come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e ascoltandolo: "kaiv s j oijktivsa" - qevlw jperevsqai[1], duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t& e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa comprendere e aiutare con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato xevno" esule come te" (vv.562 - 563). "Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567 - 568).
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età
ellenistica e partorirà l'humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: "Homo sum: humani nil a me alienum puto"[2].
 Enea viene salvato dalla compassione, quella di Didone che pure non è in alcun modo ricompensata dall’esule troiano.
La regina che ha fondato Cartagine prima di decadere a donna abbandonata esprime questo tw/' pavqei mavqo": "non ignara mali miseris succurrere disco", Eneide, I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Un soccorso che verrà mal ricompensato dal “pius” Enea, antenato di Augusto, secondo il poeta cortigiano Virgilio.
L’autore che scrive quale panegirista del despota non può avere lo spessore etico, e neppure estetico, di chi scrive con la prospettiva di un popolo che lo legge o lo ascolta, come avevano i tre auctores maximi: Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane
L’humanitas della compassione viene affermata dalle prime parole del Decameron: "Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti".

Cicerone nel III libro del De Officiis dice che l'umanità è un unico corpo del quale i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni uomo è parte di noi stessi: "Etenim multo magis est secundum naturam excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem contemnere et pro nihilo ducere comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere autem de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam dolor, quam cetera generis eiusdem "(III, 24). Infatti è molto più secondo natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e parimenti la cortesia, la giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita stessa e le ricchezze; quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla paragonandola con l'utilità comune è proprio di un animo grande ed elevato. Sottrarre invece a un altro per il tornaconto proprio, è più contro natura che la morte, il dolore e altre cose del medesimo genere.
E più avanti (III, 25):" ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini nocere non posse ", da ciò deriva che l'uomo il quale obbedisce alla natura non può nuocere all'uomo.
Marco Aurelio, imperatore (161 - 180 d. C.) e filosofo, scrive (A se stesso, II, 1): noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Marco Aurelio in effetti dice a se stesso: “bada a non cesarizzarti: “o{ra mh; ajpokaisarwqh'/"" ( A se stesso, VI, 30)

Una splendida idea dell'humanitas del circolo scipionico che è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli: in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572 - 1631), per esempio, leggiamo:" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[3] ); suona per te.
"La comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[4].

Insomma: ama il prossimo tuo perché è te stesso.


[1] = ejperevsqai: infinito aoristo di ejpeivromai, domando.
[2]Heautontimorumenos ,77.
[3] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di Hemingway, 1940
[4] E. Morin, op. cit., p. 132.

3 commenti:

  1. Bel pezzo Gianni.

    Per rafforzare il tuo concetto aggiungerei che in Homo Sapiens l'identità, la costruzione del sé, avviene solo attraverso il "riconoscimento dell'altro".

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    1. Grazie. Ma perché non ti firmi? gianni

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    2. Scusami Gianni.

      Sono Riccardo Corato, credevo che il mio nome apparisse da qualche parte.

      Beh... almeno adesso dovremmo essere in contatto diretto anche via mail.

      La mia è: riccardo.corato@gmail.com

      Ancora complimenti per il tuo pezzo.

      Buona serata e buon fine settimana.
      Riccardo

      PS: Mail inviata qualche giorno fa. Mi è venuto il dubbio che non l'avessi ricevuta e te l'ho rinviata come commento. Ciao.

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