lunedì 15 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 4. La storia comunque fornisce esempi, modelli e contromodelli

Arturo Martini, Tito Livio
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La storia comunque fornisce esempimodelli e contromodelli.
Secondo Tito Livio[26] la conoscenza della tradizione storica è necessaria per l'educazione delle persone: essa fornisce a chi la possiede il grande strumento dei modelli positivi da imitare, e di quelli negativi da respingere:"Hoc illud est praecipue in cognitione rerum salūbre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in inlustri posita monumento intueri: inde tibi tuaeque rei publicae quod imitēre capias, inde foedum inceptu, foedum exitu quod vites"[27], questo soprattutto è salutare e produttivo nella conoscenza della storia: che tu consideri attentamente esempi di ogni tipo situati in una tradizione illustre: di qui puoi prendere quanto c'è da imitare per te e per il tuo Stato, di qui quello che c'è da evitare in quanto turpe nel movente, turpe nel risultato.
Tito Livio nella Praefatio (11) celebra il passato remoto come il tempo della grandezza:"nulla umquam res publica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior fuit ", mai nessuno Stato fu più grande né più virtuoso né più ricco di buoni esempi, e preferisce i fatti antichi al punto che, nel raccontarli, scrive più avanti il mio animo diviene, misteriosamente, antico:"Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus "(XLIII, 13, 2).
La guerra più grande, per i mezzi e le energie impiegate, è stata quella annibalica. Nel proemio alla seconda guerra punica Livio scrive:"Nam neque validiores opibus ullae inter se civitates gentesque contulerunt arma, neque his ipsis tantum umquam virium aut roboris fuit "(XXI, 1), infatti né alcune altre città e popoli più possenti per i mezzi combatterono, né mai queste stesse ebbero tanta forza e vigore. 
“Livio: nella cui praefatio domina l’esaltazione della storia romana, argomento proprio dell’opera sua: nulla umquam res publica nec maior nec sanctior…(Liv. Praef. 11); ed anzi, per ciò, la storia antica è da Livio - a differenza di Tucidide - di gran lunga preferita alla moderna (Liv. praef. 5)”[28].
Anche Tacito, negli Annales, antepone la storia e la storiografia antica, quella della repubblica, ricca di grandi personaggi e grandi avvenimenti, alla recente, di minor levatura:" Pleraque eorum quae rettuli quaeque referam parva forsitan et levia memoratu videri non nescius sum "( IV, 32), mi rendo conto che la maggior parte degli avvenimenti che ho riferito e riferirò appaiono forse piccoli e indegni di ricordo; mentre chi espose il passato narrò "ingentia bella...expugnationes urbium, fusos captosque reges ", grandi guerre, città espugnate, re sbaragliati e fatti prigionieri, per quanto riguarda la politica estera, e nell'interna"discordias consulum adversum tribunos, agrarias frumentariasque leges, plebis et optimatium certamina libero egressu memorabant ", raccontavano conflitti tra consoli e tribuni, leggi agrarie e frumentarie, lotte tra plebei e patrizi, spaziando liberamente. Quindi la fatica dei contemporanei si occupa di un campo ristretto ed è senza gloria:" nobis in arto et inglorius labor" . Lo stesso contenuto della storia si restringe nel passaggio dalla repubblica all'impero.
“Come Sallustio[29], anche Tacito pensava spesso in termini di antica grandezza e di sopravvenuta decadenza”[30].
“Ma soprattutto: c’è una linea unitaria, come un filum, che nella storiografia romana conduce da Catone a Sallustio a Tacito. Questi tre storici insistono particolarmente sulla disciplina et vita dell’Italia (Catone), sulla cura degli antichi pro Italica gente (Sallustio), sulla necessità di conservare l’antiquus mos italico e di impedire - per una malintesa tendenza provinciale - il decadimento economico dell’Italia (Tacito)…il filum Catone - Sallustio - Tacito è per eccellenza significativo nella storia della storiografia romana”[31]. Direi che questo filum passa anche per Tito Livio che celebra gli antiqui mores e lamenta il decadere della disciplina e il dilagare dei vizi con l’avvento della ricchezza e del lusso: “ad illa mihi pro se quisque acriter intendat animum, quae vita, qui mores fuerint, per quos viros quibusque artibus domi militiaeque et partum et auctum imperium sit; labente deinde paulatim disciplina velut desidentes primo mores sequatur animo, deinde ut magis magisque lapsi sint, tum ire coeperint praecipites, donec ad haec tempora , quibus nec vitia nostra nec remedia pati possumus, perventum est” (Praefatio, 9), a quegli aspetti ciacuno rivolga attenzione con acutezza, quale tipo di vita, quali sono stati i costumi, gli uomini e le capacità attraverso i quali l’impero è stato creato e ingrandito; poi mi si segua con attenzione per vedere come, decadendo poi un poco alla volta la disciplina, rilassandosi in un primo tempo i costumi, siano poi scivolati sempre più in basso, poi abbiano preso a cadere a precipizio, finché si è giunti a questi tempi, nei quali si è giunti al punto che non possiamo sopportare né i vizi né i rimedi.
  
Polibio[32] nel Proemio delle sue Storie afferma che per gli uomini non c'è nessuna correzione (diovrqwsi") più disponibile che la conoscenza dei fatti passati (th'" tw'n progegenhmevnwn pravxewn ejpisthvmh" , 1, 1).
Vediamo un suggerimento correttivo applicato a un naufragio che la flotta romana subì nel 255 nei pressi di capo Passero, durante la prima guerra punica. Delle loro 364 navi solo 80 si salvarono.
Ebbene, gli insuccessi potranno esserci ancora poiché i Romani affrontano ogni cosa con violenza (crwvmenoi biva/, I, 37, 7) e ritengono che nulla sia per loro impossibile. Da una parte essi hanno successo grazie a un simile slancio (dia; th;n toiauvthn oJrmhvn), ma a volte falliscono in modo evidente, soprattutto nelle imprese sul mare. Dunque i disastri potranno ripetersi finché questi vincitori di uomini non correggeranno tale audacia e violenza e{w~ a[n povte diorqwvswntai toiauvthn tovlman kai; bivan (I, 37, 10) per cui credono di poter navigare e marciare in qualsiasi stagione.
Gli storiografi insomma sono educatori e perfino benefattori del genere umano
Le Storie dopo Polibio di Posidonio (andavano dal 143 al 70) non sono conservate, ma ve ne è traccia notevole nella benemerita Biblioteca di Diodoro[33]: e soprattutto nel proemio diodoreo sono sviluppati pensieri che sembrano risalire appunto al proemio posidoniano. Innanzi tutto l'idea stoica della storia universale come proiezione della fratellanza universale che collega in un nesso solidale - come membra di un unico corpo, secondo l'espressione senechiana - tutti gli esseri umani. La storia universale "riconduce ad un'unica compagine gli uomini, divisi tra loro nello spazio e nel tempo, ma partecipi di un'unica reciproca parentela" (Diodoro, I, 1, 3). Oltre che "strumento della provvidenza (uJpourgoi; th'" qeiva" pronoiva") ", perciò gli storici sono anche benefattori del genere umano: e la storiografia - prosegue Diodoro - oltre ad essere profh'ti" th'" ajlhqeiva" è anche "madrepatria della filosofia (mhtrovpoli" th'" filosofiva")" (I, 2, 2) )”[34].
Diodoro aggiunge che bisogna supporre (uJpolhptevon) che la storia abbia il potere di attrezzare i caratteri per la kalokajgaqiva. La storia ha immortalato le qualità degli eroi. Gli altri monumenti durano poco tempo, mentre la forza della storia ha nel tempo un custode che veglia della sua eterna trasmissione ai posteri. L’arte della parola è divisa in più parti e accade che l’arte poetica allieti più che giovare (sumbaivnei th;n me;n poihtikh;n tevrpein ma'llon h[per w'felei'n, I, 2, 7), la legislazione punisca, ma non educhi, e altri generi non contribuiscono alla felicità, altri mescolano il danno al vantaggio, altri falsificano la verità, mentre la storia, siccome in essa le parole si accordano ai fatti (sumfwnouvntwn ejn aujth'/ tw'n lovgwn toi'~ e[rgoi~) comprende nei suoi scritti tutti gli altri vantaggi. Essa esorta gli uomini alla giustizia, denunciando le persone ignobili ed encomiando quelle di valore e fornisce una grandissima esperienza ai lettori (8). 
Anche una città o una costituzione può essere esemplare: è il caso della politeivva ateniese secondo il Pericle di Tucidide[35] il quale viceversa privilegia la vicinanza nel tempo poiché "faceva dell'esperienza diretta il primo requisito di una storiografia seria"[36] ; inoltre lo storico antico considera superiore l'importanza dell'ultimo conflitto rispetto a tutti i precedenti per la maggior quantità delle forze economiche e militari entrate in campo. :"Crwvmeqa ga;r politeiva/ ouj zhlouvsh/ tw'n pevla" novmou", paravdeigma de; ma'llon aujtoi; o[nte" h] mimouvmenoi eJtevrou"" (II, 37, 1), infatti ci avvaliamo di una costituzione che non invidia le leggi dei vicini, poiché siamo noi esemplari piuttosto che imitatori di altri. Il modello pericleo è quello della democrazia diretta: una governo retto da un uomo colto scelto da un popolo colto che si lasciava guidare[37] , che andava a teatro a vedere i drammi di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane e altri autori di tale livello.
Analogo frutto si può cogliere dalle biografie di Plutarco[38] il quale suggerisce di utilizzare le sue Vite parallele quali modelli positivi o negativi: infatti si dà catarsi non solo assimilando il valore, ma anche respingendo i vizi; questo accade ponendosi di fronte alla storia come davanti a uno specchio (w{sper ejn ejsovptrw/), sia imitando la virtù degli uomini grandi e buoni, il cui esempio aiuta a respingere quella dose eventuale di pochezza (" ei[ ti fau'lon") o malvagità ("h] kakovhqe"") o volgarità (" h] ajgennev"" ), che le compagnie di coloro con i quali si deve vivere vi insinuano ("aiJ tw'n sunovntwn ejx ajnavgkh" oJmilivai prosbavllousin"), sia prendendo quali contromodelli uomini grandi e cattivi[39]. Queste parole indicano, tra l’altro, gli antivalori della malvagità e della volgarità.
"E' una concezione che ha qualche punto in comune con l'idea aristotelica della catarsi - commenta Canfora[40] - , dell'analogia che lo spettatore (in questo caso il lettore) istituisce tra se medesimo ed i paqhvmata dell'eroe al quale si accosta".
Catarsi e mimesi nell’Amleto di Shakespeare.
Non molto diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard - that guilty creatures, sitting at a play, - have, by the very cunning of the scene, - been struck so to the soul that presently - they have proclaim’d their malefactions” (Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena, fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i loro misfatti.

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[26] 59 a. C. - 17 d. C. Ha scritto Ab Urbe condita libri. L’opera comprendeva 142 libri che partivano dalle origini mitiche e arrivavano al 9 a. C. Ci sono arrivati i primi dieci, poi quelli dal 21 al 45 e frammenti degli altri.
[27] Storie , Praefatio, 10.
[28] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 14
[29] Cfr. cap. 40 e cap. 48 (ndr).
[30] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 464.
[31] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 459 e p. 460.
[32] 200 ca - 118 ca a. C. Scrisse Storie che trattavano il periodo compreso tra il 264 e il 146 a. C. Ci sono arrivati i primi 5 integrali; degli altri possediamo epitomi e frammenti, anche consistenti (in particolare quelli dei libri VI - XVIII).
[33]Vissuto nel I sec. a. C. è autore della Biblioteca storica, una grande compilazione di storia universale. Andava dalle origini all’età di Giulio Cesare. Constava di 40 libri. Ce ne sono arrivati i primi cinque e frammenti degli altri (n. d. r.).
[34] Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 528
[35] Ateniese, visse tra il il 460 ca e il 400 ca a. C. Scrisse la Storia della Guerra del Peloponneso in 8 libri che raccontano, dopo una breve introduzione, con proemio, capitoli metodologici, archeologia, pentecontaetia, gli anni dal 431 all’autunno del 411. Gli anni successivi della grande guerra tra i Greci si trovano nelle Elleniche di Senofonte probabilmente composte su carte tucididèe.  
[36]A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca , p. 51
[37] Tucidide fa l'elogio finale di Pericle dicendo che era incorruttibile al denaro e teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw"") e non si faceva condurre più di quanto la conducesse ( Storie, II, 65, 8).
[38] 50 d. C. ca - 120 d. C. ca.
[39] Prefazione alle Vite di Emilio Paolo e Timoleonte
[40]Storia Della Letteratura Greca , Laterza, Bari, 1994, p. 562.
[41]Citazione dall'Iliade :"oJvsso" e[hn oi'Jov" te", 24, 630, detto di Achille.

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