venerdì 26 giugno 2020

"Breve discorso sulla storia contemporanea alla luce del corona virus di turno". Di Giuseppe Moscatt


Breve discorso sulla storia contemporanea alla luce del corona virus di turno
Giuseppe Moscatt


Un articolo dello storico Paolo Mieli (nella pagina culturale del Corriere del Sera del 29 gennaio 2018) in occasione della pubblicazione di un saggio della ricercatrice Laura Spinney, rievocativo delle vicende legate al centenario dell'influenza spagnola fra il 1918 e il 1920; ci pare profetico e assai attuale oggi per gli indubbi confronti con l'attuale pandemia del corona virus e riapre il mai sopito dibattito sulla natura della storia contemporanea e sui suoi motori di ricerca. Mieli ricordò il momento storico, la fine della Grande guerra e il biennio successivo “rosso”, come dicono i manuali scolastici. Le vittime illustri - Apollinaire, Weber e il presidente U.S.A Wilson, per citare i più famosi - il percorso del morbo - nato proprio negli U.S.A, ma poi ripartito in Spagna, da cui la denominazione - i tanti scrittori contagiati - per esempio Hemingway – i politici e perfino Roosevelt! In Germania la presero Jünger e Zweig. non a caso due autori fondamentali sulla crisi della repubblica di Weimar. Ciò che però Mieli rileva è che il WorldCat, il più grande motore di
ricerca bibliografico, elenca 80.000 libri in 40 lingue sulla Prima Guerra Mondiale; ma solo 400 volumi - in appena 5 lingue! - si dedicano alla pandemia spagnola. Perché? Mieli lo spiega per un ordine superiore dei Governi, vincitori e vinti, di censurare qualunque fonte al riguardo. Di qui le difficoltà degli storici di studiare l'evento e di verificarne gli effetti. La lenta ricerca degli studiosi si sta soltanto accelerando proprio ora, ai empi del corona virus. E qui il nocciolo del problema della storia, specie se contemporanea, cioè le ragioni che ci spingono a studiarla. Di fronte al ripetersi degli eventi catastrofici come le pandemie, la sua nozione, il metodo e l'area dei quesiti di merito sono sicuramente utili nella fase preventiva e nelle fasi di contenimento e cura. E proprio sulla nozione, è altrettanto noto come la storiografia antica era già di per sé contemporanea. Per esempio Tucidide, già 5 secoli prima di Cristo, scrisse un evento storico grandioso quanto sconvolgente, la Guerra del Peloponneso (che noi siracusani vivemmo come si sa in prima persona).

E lì troviamo per la prima volta la descrizione di una epidemia di peste ad Atene che ancora ci può servire di insegnamento. E di seguito, la sua esperienza di storico contemporaneo, l'avrà Giulio Cesare per le guerre galliche; Federico di Prussia nei suoi ricordi “I miei tempi”, perfino Winston Churchill, che ebbe addirittura un premio Nobel nel 1953, con la sua imponente “Storia della seconda Guerra mondiale”. Per tutti gli storici è ben presente il fatto che il recente passato, non meno di quello più lontano, sia un ottimo banco di prova per spiegare il presente. Di qui, la profonda e radicale svolta della storiografia italiana e tedesca - quella che per Noi rappresentano l'ago della bilancia del settore del sapere storico - che all'inizio del '900 hanno considerato non solo la storia in generale una scienza autonoma rispetto alle altre scienze sociali - basterà citare il Croce
e il von Ranke - ma anche le attribuirono un criterio metodologico proprio, la cui adozione integrale va ad estendersi fino all'oggi. E' il criterio che Alessandro Barbero ci ha proposto in una recente intervista sul “Corriere d'Italia” di Francoforte. Qui lo storico italiano avverte, come già il Niebuhr - storico tedesco vissuto a Roma e amico del Leopardi fin dal 1823 - parlava di “Geschichtswissenschaft”, cioè di scienza della storia. Vale a dire che su un certo argomento occorre conoscere il maggior numero di fonti, giungere a conclusioni strettamente connesse ai fatti stessi e formularle in modo che terzi storici possano comprovarle. Dunque la fonte è il principale oggetto dell'indagine, dove l'Uomo deve essere al centro, con tutte le sue caratteristiche morali e materiali. Una concezione quella di Barbero e di Niebuhr che fece dire a Croce che “tutta la storia è contemporanea” e che von Ranke, in età positivista, osò così definire basandosi sulla storia di Roma: “se è certo che la grande storia di Roma passerà sotto silenzio nei prossimi secoli, rimarrà però nel diritto vigente una traccia indelebile di quell'antico diritto”.
Tuttavia, le scuole storiciste di fine secolo misero in dubbio il metodo e l'area della storia contemporanea. Si rilevò la necessità di individuare quando un evento è storico perché produttivo di altri eventi di svolta nella politica, nella società e nella cultura; e quando un evento resta circoscritto nel tempo e nello spazio cioè , cioè un mero fatto di cronaca, al limite un episodio frammentario della realtà che restava immutabile nella sua configurazione quotidiana. In altri termini, proprio per per capire il valore di certi effetti, uno storico legato alla Prussia conservatrice, Hermann von Sybel, direttore dell'Archivio di Stato, non rinunciava a distinguere eventi avvenuti come significativi e semplici cronache dell'ora, facendo prevalere l'interesse politico nazionalista su quello scientifico che vuole l'asetticità del ricercatore nel seguire lo sviluppo della materia. O meglio la politica subentrò e sostituì la storia. Per esempio, la Rivoluzione Francese del 1789 fu un fatto storico o un fatto politico? Il Risorgimento italiano a quale aerea appartiene? Per chi li visse cronaca e storia sembrano coincidere, perché ogni evento è parte del tempo che si vive e quindi un evento appena trascorso ormai è parte del passato. Ma il concetto di tempo che scorre meccanicamente crea un grande numero di situazioni che l'osservatore chiama “Geistzeit, Lo spirito del tempo”, che si combina con la vecchia realtà, un insieme di valori e consuetudini, la cui mediazione fa la storia contemporanea e di cui lo storico  scientificamente ed asetticamente ne è il responsabile. Di qui, la scelta delle fonti possibili e la sua continua analisi, dalla lettura dei documenti pubblici, per es. la stampa. O di quelli riservati, per esempio i diari e i carteggi postali; fino alle carte segrete, depositati negli archivi di stato, non appena disecretati, come nel recentissimo caso degli archivi Vaticani, aperto agli studiosi proprio a gennaio di quest'anno e purtroppo chiusi per effetto del corona virus. Quindi anche per Barbero la storia contemporanea riguarda l'epoca in cui viviamo, dove resta sempre aperta la domanda di colmare le lacune, al di là e al di sopra della cronaca, una analisi quasi certosina, da non confondere con l'attività politica e mai da affiancare alla prima, a pena di coprire od alterare il valore dell'evento matrice. Quanto all'individuazione dell'evento scatenante però provvede una regola di azione che già nel primo illuminismo vide promotore un filosofo apparentemente minore - Pierre Bayle, nato nel 1647 e morto nel 1706 - che però influenzò Popper, maestro della ricerca scientifica del '900, che dal falso seppe trarre elementi di verità. Ebbene Bayle consigliò ai giudici e agli storici di: a) scegliere le notizie di cronaca più vicine al fatto; b) di preferire come testimoni coloro che vi hanno direttamente partecipato; c) di escludere chi ha interesse con uno dei soggetti coinvolti. E qui torniamo a Mieli sulla “Spagnola” e ai pochi storici che hanno superato lo schermo dei Governi “democratici”, tutti orientati al silenzio stampa. Alcuni episodi narrati dai soldati americani al ritorno dall'Europa e poi di ritorno in America; i verbali sanitari delle Commissioni mediche iberiche; i discorsi e le prediche di vari vescovi e sacerdoti; i rapporti dei generali sul fronte da ambedue i lati. Eppoi, i libri di bordo, i diari dei carcerati - celebre quello di Gandhi, dove scrisse del suo impegno politico indipendentista mentre giaceva in prigione - fino alle cronache tedesche, che imputavano a prostitute brasiliane di Amburgo la veicolazione del morbo. Ma è la lezione di Fernand Braudel a dare a tutta la storia, sopratutto a quella contemporanea, un rilievo scientifico non indifferente. Storico esponente della scuola francese del secondo dopoguerra, Braudel iniziò ad accogliere per 50 anni un ampio ventaglio di fatti e vide presto una loro lettura concatenata nuova con il passato, uno spirito culturale che in un periodo medio/lungo tendeva a consolidarsi. Una concentrazione di politica, scienza e tecnica, dove prevalevano la partecipazione individuale e il senso dello Stato, la ricerca scientifica, le scoperte tecniche e mutamenti culturali, in una lenta ma costante evoluzione. Per esempio, il progresso della genetica e la resistenza alle malattie; lo sviluppo delle malattie infettive e di quelle acute nelle società isolate, ovvero nelle Americhe appena scoperte. Nonché la malaria, la tubercolosi, gli animali portatori, il ruolo igienico degli acquedotti e fognature, i nuovi virus, risalendo così alla tragedie della peste e del vaiolo nei secoli del Medioevo e dell'Età Moderna. Era la famosa teoria della lunga durata, ovvero dell'evento che si ripete e si lega alla realtà presente anno dopo anno che poteva spiegare paure e suggestioni, vicende letterarie e fiction cinematografiche, dando luogo a una definizione storico-scientifica della storia Contemporanea, l'essere questa una terra di confine, fatta di probabili e minutissimi eventi, che alla fine si legano con tutte le altre scienze sociali. Una storia del quotidiano e dei sentimenti che non si oppone alle Scienze sociali e non solo, ma che le spiega in modo coerente e ci consente un dialogo fra l'uomo e i comportamenti collettivi, l'unica strada che ci rende tutti storici della contemporaneità e che veramente ci può rendere immuni da ogni falsa ideologia scatenata dai corona virus di turno.

Giuseppe Moscatt

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