venerdì 12 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 2

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Prologo della metodologia di giovanni ghiselli

 

Prologo

L'uomo che non conosce il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso: il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta vicino, alcuni passi più in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli più recenti, il Medioevo e l'antichità. - Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor più l'orizzonte. - Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro"[1].

 

Si veda un ancora più esplicito svuotamento della sofiva tecnologica nel discorso di Diotima del Simposio platonico: "kai; oJ me;n peri; ta; toiau'ta sofo;" daimovnio" ajnhvr, oJ dev, a[llo ti sofo;" w[n, h] peri; tevcna" h] ceirourgiva" tinav", bavnauso"" (203a), chi è sapiente in tali rapporti[2] è un uomo demonico, quello invece che si intende di qualcos'altro, o di tecniche o di certi mestieri, è un facchino.

 

Nell’Alcibiade II di Platone, Socrate parlando appunto con il giovane figlio di Clinia, gli dice

Ð d d¾ t¾n kaloumšnhn polumaqan te kaˆ polutecnan

kekthmšnojÑrfanÕj d ín taÚthj tÁj pist»mhj¢gÒ -

menoj d ØpÕ mi©j ˜k£sthj tîn ¥llwn«roÙcˆ tù Ônti

dika…wj pollù ceimîni cr»setai¤te omai ¥neu kubern»tou

diatelîn ™n pel£geicrÒnon oÙ makrÕn b…ou qšwn; éste

sumba…nein moi doke‹ kaˆ ™ntaàqa tÕ toà poihtoàÖ lšgei

kathgorîn poÚ tinojæj ¥ra poll¦ mn ºpstato

œrgakakîj dšfhs…nºp…stato p£nta(Alcibiade secondo, 147b)

Chi possiede la cosiddetta conoscenza enciclopedica e politecnica, ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da ciascuna delle altre, non farà uso sostanzialmente di una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti a proposito quello che dice il poeta criticando uno che effettivamente sapeva molte cose ma le sapeva tutte male 

 

Prefazione

Perché studiare il greco e il latino, potrebbe chiederci un giovane, a che cosa servono? Alcuni rispondono:" a niente; non sono servi di nessuno; per questo sono belli"[3]. Non è questa la nostra risposta. Se è vero che le culture classiche non si asserviscono alla volgarità delle mode, infatti non passano mai di moda, è pure certo che la loro forza è impiegabile in qualsiasi campo. La conoscenza del classico potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico. Il greco e il latino servono all'umanità: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni lavoro non esclusivamente meccanico.

Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana più e meglio di chi non li conosce[4]. Sa anche pensare più e meglio di chi non li conosce.

 Parlare male, affermava Socrate nel Fedone , non solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime[5]. Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola".

Il sicuro possesso della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore. Ebbene, non si può essere veramente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini, tutti sperabilmente buoni, se non si conoscono le lingue e le civiltà classiche, ossia quelle dei primi della classe. Noi vorremmo che le conoscessero tutti attraverso una scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.

Il greco e il latino, come lingue e come culture, sono utili non solo a scuola e il loro impiego non è confinato nei licei e nella Accademie.

Si può pensare a una sceneggiatura cinematografica, o alla redazione di un articolo di giornale, o a una recensione, a qualunque attività insomma che richieda un impiego non banale, non scontato della parola: la civiltà classica dota chi la conosce di una miniera di topoi, frasi, metafore, immagini, idèe preziose che valorizzano il tessuto verbale è la visione d’insieme

Questo per quanto riguarda il campo dell’efficacia e della bellezza.

Ma c’è pure, e anche prima, la categoria dell’etica.

Non si può essere del tutto morali se non si conoscono a fondo i princìpi e i valori dell’etica classica. Questa intanto non penalizza la felicità, che anzi deve essere associata alla moralità.

giovanni ghiselli

 

p. s. Parte della mia metodologia venne in parte pubblicata on line in PuntoEdu Neoassunti Indire. Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino (scarica qui il PDF).

 

Fu pubblicata sempre in parte su carta in

Essere e Divenire del “Classico”. Atti del Convegno Internazionale (Torino - Ivrea 21 - 22 - 23 Ottobre 2003). L’arte dei luoghi nella didattica del latino (pp. 241 - 256). Utet, Torino, 2006.

 

A chi può servire e me la chiede la mando intera. Gratis ovviamente

 Bologna, 12 giugno 2020

 e - mail: g.ghiselli@tin.it



[1] A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Tomo II, p. 772.

[2] Quelli tra gli uomini e gli dèi.

[3] “Erano - e l’insegnante lo faceva notare spesso - del tutto inutili apparentemente ai fini degli studi futuri e della vita, ma solo apparentemente. In realtà erano importantissimi, più importanti addirittura di certe materie principali, perché sviluppano la facoltà di ragionare e costituiscono la base di ogni pensiero chiaro, sobrio ed efficace” (H. Hesse, Sotto la ruota (del 1906), p. 24.

[4] Vittorio Alfieri nella sua Vita (composta tra il 1790 e il 1803) racconta di avere impiegato non poco tempo dell’inverno 1776 - 1777 traducendo dopo Orazio, Sallustio, un lavoro “più volte rifatto mutato e limato…certamente con molto mio lucro sì nell’intelligenza della lingua latina, che nella padronanza di maneggiar l’italiana” (IV, 3).

[5] Cfr. cap. 50.

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