mercoledì 24 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 22. Polibio, Filarco e Plutarco. Nietzsche e Thomas Mann

Il Ministero

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Nei progetti di riapertura delle scuole non entrano mai propositi relativi all’educazione e alla cultura. Vero è che minister significa “servo”, ma questa ministra nemmeno i piccoli conti sa fare e li demanda ai presidi.
Da molte parti si auspica una riforma strutturale dell’economia mentre, per quanto riguarda la scuola, si pensa alla disposizione dei banchi e poco altro. Intanto le parole chiave si dicono in inglese in modo che molti non le capiscano e tutti gli sprovveduti ingannati disprezzino l’italiano. Lo fanno anche perché durano fatica a bofonchiarlo e a capirlo oramai. Per non dire del latino e del greco che una volta selezionavano una classe dirigente di sicuro non inferiore a questa. A tale selezione purtroppo riuscì a sottrarsi Mussolini che non aveva fatto il liceo classico e straparlava di rinnovato impero.

Finito questo preambolo, aggiungo un capitolo della mia metodologia scritta per amore della cultura classica e per il desiderio di spronare chi mi legge a conservarla, se la conosce, e ad acquisirla, a nutrirsene se ne è digiuno. Ognuno ne trarrà forza non solo linguistica e salute non soltanto mentale.

Filarco viene criticato dal pragmatico Polibio per la presenza di gesti patetici nelle sue Storie tragiche. L’eccidio di Mantinea (223 a. C.). Le torture degli iraqeni. Giuliano Ferrara e Marco Travaglio Le Baccanti di Euripide e le Deux femmes courant sur la plage di Picasso. La storiografia drammatica è mal reputata. La teatralità di Demetrio Poliorcete, quella di Antonio e quella di Cleopatra. La maschera tragica e la maschera comica di Antonio (Plutarco).

 L'immagine topica dei capelli sciolti e quella dei seni scoperti per suscitare compassione è fortemente biasimata da Polibio, lo storico antitragico il quale è critico nei confronti dei colleghi storiografi che danno spazio alle lacrime nelle loro opere per suscitare la partecipazione sentimentale di chi le legge.
Il suo obiettivo polemico è soprattutto Filarco[1] considerato uno storico "tragico" poiché ha cercato di colpire la sfera emotiva dei lettori, adoperandosi per invitarli alla compassione e renderli partecipi dei suoi sentimenti riguardo a quanto viene raccontato. Egli dunque introduce abbracci di donne (periploka;" gunaikw'n) e chiome scarmigliate (kovma" dierrimmevna") e denudamenti di seni (mastw'n ejkbolav"), e, oltre questo, lacrime e lamenti di uomini e donne (davkrua kai; qrhvnou" ajndrw'n kai; gunaikw'n ) trascinati via alla rinfusa con figli e vecchi genitori"[2].
Ci fu per esempio l'eccidio di Mantinea. Durante la guerra cleomenica, la città fu conquistata dai Macedoni alleati degli Achei, nel 223: secondo Filarco e Plutarco ( Vita di Arato 45, 6 - 9) la città subì un massacro che Polibio tende a nascondere o minimizzare. Lo storico di Megalopoli, figlio di Licorta stratego della lega Achea, si limita a dire (II, 54) che il re di Macedonia Antigono Dosone, dopo essere stato nominato capo delle forze alleate della lega ellenica costituitasi contro Sparta e gli Etoli, riuscì a sottomettere prima Tegea, poi Mantinea, che nel 229 erano state prese dal re spartano Cleomene.
Filarco viene biasimato per avere "faziosamente" descritto le sofferenze di questa gente.
Una critica del genere venne fatta da alcuni personaggi della nostra televisione a chi raccontava gli orrori della guerra del Golfo: per esempio “Giuliano Ferrara che di fronte alle prove fotografiche della tortura fornite dalle stesse autorità americane, sproloquia di “episodi circoscritti” (almeno venticinque prigionieri morti per le sevizie dei militari Usa!), del virus che “ci indebolisce nella guerra”: non la tortura, beninteso, ma “la voracità morbosa di dire che è colpa dell’Occidente, di pubblicare immagini delle torture degli occidentali”. Cioè quel poco di spirito autocritico rimasto nelle opinioni pubbliche democratiche”[3].

Per quanto riguarda gli abbracci di donne nella tragedia, vediamo le Troiane di Euripide, per esempio, dove Andromaca abbraccia il figlio che a sua volta si rifugia tra le ali della mamma come un uccellino:"neosso;" wJsei; ptevruga" ejspivtnwn ejmav"", v.751.
Per le chiome scarmigliate, o scagliate[4] c'è il ricordo delle Baccanti :"truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"(v. 150) scagliando nell'aria i riccioli molli, un ricordo che ho ravvisato anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage (Parigi, museo Picasso).
Per quanto riguarda il rapporto tra storiografia e dramma, riferisco alcune parole di Mazzarino: "nell'età ellenistico - romana, concetti di "teatralità" o simili, formulati a proposito di opere di storia, implicavano per lo più un giudizio critico negativo su quelle opere, in due sensi; si impugnava la validità di racconti storici, i quali applicassero forme letterarie proprie della tragedia, atte a sollecitare commozione nei lettori, e comunque tali da togliere veridicità al racconto; e in genere si negava "verità" a racconti storici i quali (sotto qualunque forma letteraria, ricercata od invece semplicissima e primitiva) avessero un contenuto di favole largamente irrazionale". Vengono fatti alcuni esempi in seguito ai quali Mazzarino conclude che "generalmente...il richiamo al motivo "spettacolare" nell'opera storica indica un giudizio del tutto negativo."[5]
Del resto atteggiamenti teatrali vengono presi dagli stessi personaggi di cui ci parlano le opere degli storiografi: Plutarco racconta che in Demetrio Poliorcete c’era davvero una grande teatralità (tragw/diva megavlh) quando si avvolgeva nella porpora ornata d’oro e teneva in testa il cappello a larghe tese con doppia mitra (Vita di Demetrio, 41, 6).
Nella Vita di Antonio, accoppiata con quella di Demetrio, Plutarco cita due versi dell’Edipo re (il quarto leggermente modificato e il quinto senza ritocchi) per significare la dissolutezza pestifera di Antonio: quando il triumviro si recò in Oriente, l’Asia intera, come quella famosa città di Sofocle (Tebe) era piena di fumi di incenso, e insieme di peani e di gemiti (24, 3).
Subito dopo Plutarco racconta che Antonio entrò in Efeso preceduto da donne vestite come le Baccanti e da uomini e fanciulli abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di edera, tirsi, zampogne e flauti e la gente acclamava Antonio come Dioniso che dà gioia e amabile. Per alcuni sarà stato tale, ma per i più era
j Wmhsth;~ kai; jAgriwvnio~ (24, 4 - 5), Dioniso Crudivoro e Selvaggio.
Quando Cleopatra si recò da lui risalendo il fiume Cidno, con teatralità ancora più vistosa[6], si diffuse dappertutto la voce che Afrodite con il suo corteo andava da Dioniso per il bene dell’Asia (wJ~ hJ jAfrodivth kwmavzoi pro;~ to;n Diovnuson ejp j ajgaqw`/ th`~ jAsiva~, 26, 5). Quindi Plutarco racconta alcune buffonate che i due amanti compivano divertendo gli Alessandrini i quali dicevano che Antonio con i Romani usava la maschera tragica e con loro quella comica ( levgonte~ wJ~ tw`/ tragikw`/ pro;~ tou;~ JRomaivou~ crh`tai proswvpw/, tw`/ de; kwmikw/` pro;~ aujtouv~, 29, 4).
Concludo con due citazioni una da Nietzsche, l’altra da Thomas Mann
Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno dell’ignoranza e dell’impotenza, può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[7]
“Cultura è l’aristocrazia della vita”[8]

giovanni ghiselli






[1] nato a Naucrati ma vissuto ad Atene, nel III secoloa. C. , autore di Storie in 28 libri che andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il re di Sparta ben visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale dichiara di seguire le Memorie di Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione della guerra cleomenica che oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni.
Filarco, ci informa Mazzarino, "ha capito il genio di Cleomene III e la necessità della rivolta sociale, in mezzo al tramonto della gloriosa libertà greca. Michele Rostozev (Die hellenistische Welt , trad. ted., I, 146) ha detto benissimo:"la Grecia era dalla parte di Filarco, e non da quella di Arato e degli Achei difesi da Polibio" (Il Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 126). Arato potenziò la lega achea, operò e scrisse in favore degli abbienti, mentre Filarco era favorevole a Cleomene III di Sparta. Questo re riformatore fu sconfitto a Sellasia, nel 222, da Antigono Dosone di Macedonia e dallo stratego acheo Filopemene, e per tale ragione gli scrittori suoi partigiani possono essere accusati di menzogna dallo storico partigiano dei vincitori nei quali si è incarnata la verità.
[2] Polibio, Storie, II, 56, 7.
[3] M. Travaglio, La scomparsa dei fatti, p. 124.
[4] dierrimmevna" è participio perfetto medio passivo di diarrivptw, scaglio.
[5]Il Pensiero Storico Classico , I vol., p. 181.
[6] Ella risaliva il fiume su un battello dalla poppa d’oro, con le vele di porpora spiegate, mentre i rematori remavano con remi d’argento al suono del flauto accompagnato da zampogne e cetre. La regina stava sdraiata sotto un padiglione ricamato d’oro, ornata come Afrodite, con ragazzi simili ad amorini che le facevano vento e le ancelle più belle, abbigliate da Nereidi e Grazie, stavano al timone e alle funi. Meravigliosi profumi provenienti da aromi bruciati invadevano le sponde (Plutarco, Vita di Antonio, 26, 1 - 3). Lo ricorda Shakespeare che leggeva Plutarco nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella francese (del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)[6]. “The barge she sat in, like a burnish’ d throne/Burn’d on the water: the poop was beaten gold;/Purple the sails, and so perfumed that/ The winds were love - sick with them; the oars were silver,/Which to the tune of the flutes kept stroke…” (Antonio e Cleopatra, III, 2), la barca dove sedeva, come un trono brunito, splendeva sull’acqua: la poppa era di oro battuto; di porpora le vele, e così profumate che i venti languivano d’amore per esse; i remi erano d’argento, e tenevano il tempo al suono dei flauti.
[7] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II, p. 125.
[8] T. Mann, La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito, p. 813.

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