martedì 23 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 20. Il matricidio visto come problema

Jocaste (Bibliothèque nationale de France)
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Topoi gestuali. Ostensione del ventre. Giocasta nell’Oedipus e nelle Phoenissae di Seneca. Il matricidio: l’Agrippina di Tacito e quella dell’Octavia pseudosenecana.
Excursus sul matricidio visto in modo problematico. L’orrore dell’uccisione della madre viene attenuato da Apollo e da Atena nelle Eumenidi. La difesa del matricida davanti al nonno Tindaro nell’Oreste di Euripide.
Nerone nei teatri recitava la parte di Oreste, il matricida giustificato. L’assoluzione di Oreste viene interpretato quale vittoria del patriarcato e, da Freud, come “progresso di civiltà”. Proust considerava l’assassinio dei genitori un delitto di dignità mitologica.
Altro topos gestuale: quello della Messalina di Giovenale.

E' possibile indicare pure dei tovpoi gestuali come quello dell'ostensione del ventre da parte di madri sciagurate, o svergognate.
Nell'Oedipus di Seneca Giocasta invita prima il figlio, quindi la propria mano, a colpire il ventre:" Eligere nescis vulnus: hunc, dextra, hunc pete/uterum capacem, qui virum gnatum tulit " (vv. 1038 - 1039), non sai scegliere il colpo: colpisci destra questo ventre qui, così capace che ha accolto il figlio come marito!
Nelle Phoenissae la regina di Tebe cerca di impedire la guerra fratricida gridando:" civis atque hostis simul/hunc petite ventrem, qui dedit fratres viro! " (vv. 446 - 447), cittadini e nemici insieme, colpite questo ventre che diede fratelli al marito.

L'ostensione del ventre è il gesto estremo di Agrippina: la mamma di Nerone, già ferita alla testa da una bastonata di uno dei sicari mandato dal figlio, si volse all'altro, un centurione della flotta che stringeva un pugnale, e "protendens uterum ‘ventrem feri’ exclamavit multisque vulneribus confecta est" (Annales, XIV, 8), mettendo davanti il ventre materno gridò 'colpisci qui', e fu finita con molti colpi[1].
Cassio Dione, “il degno erede della storiografia senatoria latina”[2], racconta che Agrippina, come vide il sicario mandato dal figlio, si alzò dal letto , si strappò la veste “ kai; th;n gastevra ajpogumnwvsasa - pai'e - e[fh - tau'thn, jAnivkhte, pai'e, o{ti Nevrwna e[teken” e, denudato il ventre, “colpisci - disse - questo, Aniceto, colpisci, poiché ha partorito Nerone (61, 13).

Nell'Octavia pseudosenecana Agrippina prega il sicario :"utero dirum condat ut ensem:/'hic est, hic est fodiendus', ait,/ 'ferro, monstrum qui tale tulit'./Post hanc vocem cum supremo/mixtam gemitu/animam tandem per fera tristem/vulnera reddit" (vv. 359 - 365), affinché affondi la spada crudele nell'utero. "Questo, dice, va scavato con il ferro questo che portò un mostro del genere". Dopo questa frase finalmente rese l'anima triste mescolata con un gemito attraverso le ferite atroci.

Perfino il matricidio può essere visto in modo problematico. L’orrore dell'assassino della madre, evidenziato in questi passi, viene invece attenuato da Apollo e Atena nelle Eumenidi di Eschilo. Nell'ultima parte dell'Orestea (del 458 a. C.) prevale la tesi di Apollo il quale, spalleggiato da Atena, la dea nata senza madre, per minimizzare il crimine di Oreste, risponde alle Erinni infuriate contro l’assassino della madre, con una affermazione di patriarcato e di antifemminismo estremo.
Vale la pena riferirla per quanto è fuori moda adesso:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera il maschio che la monta; quella come un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per coloro ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"( Eumenidi, vv. 658 - 661). La madre non è indispensabile continua Febo: "ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio, la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero, ma è come un virgulto (e[rno~) che nessuna dea avrebbe potuto partorire"(vv.664 - 666).
Un argomento difensivo che verrà ripreso dallo stesso matricida quando parla con Tindaro, il padre di sua madre che lo accusa nell’Oreste di Euripide. Sentiamo dunque cosa dice il nipote al nonno cercando di giustificarsi:

Oreste
O vecchio, ho timore di rivolgerti la parola,
poiché sto per affliggere il tuo animo.
Io sono empio avendo ucciso la madre,
ma pio è l’altro nome che mi spetta quale vendicatore del padre.
Vada fuori dai nostri discorsi
La vecchiaia tua che mi impedisce di parlare,
io procederò per la mia strada: ma continuo a temere la tua chioma.
Che cosa avrei dovuto fare? metti infatti due argomenti contro altri due:
il padre mi ha generato, tua figlia invece mi partoriva,
è un campo che ha preso il seme da un altro:
senza un padre un figlio non ci sarebbe mai.
Ho valutato dunque che è più importante soccorrere
l’autore della stirpe che la fornitrice di cibo (vv. 544 - 556).

L’assoluzione di Oreste porterà il matricida Nerone a recitarne la parte sulle scene tra le acclamazioni del pubblico.
Per Nerone la chiave del mito di Oreste non era che egli fosse un matricida, ma un matricida giustificato (…) Oreste aveva ucciso la madre non solo perché la morte di suo padre e il comando di Apollo chiedevano vendetta, ma perché Clitennestra lo aveva privato della sua eredità e il popolo di Micene soffriva sotto la tirannia di una donna”[3].
Freud considera la sconfitta del matriarcato una vittoria della spiritualità e un progresso di civiltà: “accadde che all’ordinamento sociale del matriarcato subentrò quello del patriarcato, al che naturalmente andò congiunto il sovvertimento dei precedenti rapporti giuridici. A quanto si crede, l’eco di questa rivoluzione si avverte ancora nell’Orestea di Eschilo. Ma questo volgersi dalla madre al padre segna oltracciò una vittoria della spiritualità sulla sensibilità, cioè un progresso di civiltà, giacché la maternità è provata dall’attestazione dei sensi, mentre la paternità è ipotetica, costruita su una deduzione e una premessa. Schierarsi dalla parte del processo di pensiero piuttosto che della percezione sensoriale, si dimostra un passo gravido di conseguenze”[4].
Proust, pensando all’assassinio di Clitennestra e a quello di Laio, giunse a considerare l’uccisione dei genitori un delitto di dignità mitologica : “Furono i tragici Greci e Dostoevkij[5] a fargli intendere la grande infelicità del peccatore, la sua immensa solitudine. In un passo che non si trova nelle sue opere, perché soppresso, in quanto i contemporanei temettero di leggervi l’apologia del matricidio, Proust ricordava che nessun altare fu considerato dagli antichi più sacro, circondato da più profonda venerazione e superstizione quanto le tombe d’Edipo a Colono e di Oreste a Sparta”[6].

Ma torniamo ai topoi gestuali. Giovenale[7] presenta Messalina l'altra moglie di Claudio[8], attraverso un ritratto espressionistico, deformante verso lo squallore: ogni volta che si accorgeva che l'imperatore dormiva, la meretrix Augusta (VI, 119) lo lasciava, indossato un cappuccio notturno, e accompagnata da una sola ancella. Poi, nascondendo il nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca bionda, entrava nel lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta di stracci cuciti insieme ("veteri centone [9] ", v. 121). Lì aveva una cella riservata: "tunc nuda papillis/prostitit auratis titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem! " (vv. 122 - 124), allora si metteva in vendita nuda con i capezzoli dorati, facendo passare per suo il cartello di Licisca[10], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile Britannico![11].



[1] Nel 59 d. C.
[2] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 40.
[3] E. Champlin, Nerone p. 125.
[4] S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, , terzo saggio (del 1938) p. 432. E’ l’ultimo libro di Freud, insieme con il Compendio di psicoanalisi , anche questo uscito nel 1938, del resto incompiuto.
[5] “Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere, tra quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore” (P. P. Pasolini, Scritti corsari, p. 64) ndr.
[6] Giovanni Macchia, L’angelo della notte, p. 166.
[7] 55 ca - 140 ca d. C.
[8] Che a sua volta può impersonare aspetti topici dell'eterno marito dostoevschiano. Fu imperatore dal 41 al 54 d. C.
[9] Il cento e il titulus del v. 123 si trovano nel bordello del Satyricon (7, 2 e 4).
[10] . Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che mettevano un cartello con il nome e il prezzo.

[11] Britannico era il figlio di Claudio e Messalina. Fu fatto uccidere da Nerone nel 55 d. C.

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