sabato 20 giugno 2020

Su Alex Zanardi


Dispiace anche a me la sofferenza di Zanardi, un uomo che ammiro per la risposta da  vir fortis cum fortuna mala compositus[1], da eroe vero, al brutto colpo infertogli dal destino che gli portò via tutte e due le gambe anni fa. Condivido dunque il dolore e la simpatia di molti per lui. Mi astengo però dalle geremiadi, le lunghe lamentazioni[2] contrappuntate da elogi di cui sono pieni i giornali.
Prendo un titolo dalla prima pagina del solito quotidiano: “Ci ha insegnato che si può riparare anche il destino” (“la Repubblica” 20 luglio 2020).
Sono parole di sintesi affiancate a un pezzo di Emanuela Audisio.
Non lo leggo perché credo che l’incidente occorso ieri a Zanardi ci abbia insegnato esattamente il contrario: che al fato non si sfugge, nemmeno se ci dà dei preavvisi, dei segni premonitori pur forti e duri.
L’ho provato in questa mia vita mortale e l’ho ritrovato nella sintesi potente di Tacito: "quae fato manent , quamvis significata, non vitantur "[3], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato, non si evita.

Molto azzeccato invece il commento di Roberto Vecchioni che infatti ha insegnato greco e latino nel classico Beccaria di Milano: “L’ho conosciuto dopo aver scritto una canzone per lui con Guccini. La sua storia ricorda Samarcanda” (ancora “la Repubblica” di oggi, p. 5). E’ una bella canzone che mi segnalarono i miei studenti del liceo Minghetti intorno al 1977. Mi piacque assai e la cantavo spesso. Poi, siccome tutto è collegato con tutto, nell’82 e nell’89 andai a esaminare i maturandi del Beccaria e mi capitarono gli allievi di Vecchioni, ben preparati e molto sensibilizzati da lui. Samarcanda racconta di un uomo che se ne va molto lontano cercando di evitare il destino, ma questo lo aspetta proprio là dove il predestinato andava a cercare rifugio.
E’ quello che avviene anche all’Islandese delle Operette morali di Leopardi il poeta che seppe “sollevar gli occhi mortali incontra al comun fato nulla al ver detraendo”[4]
Nel Dialogo della Natura e di un Islandese il primo personaggio “ era una forma smisurata di donna (…) non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi, la quale guardavalo fissamente”.
 Quindi domandò all’ Islandese:“ Chi sei? Che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?”
 “Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita, per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa”.
Allora la Natura ribatte: “Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi”.
infine la smisurata forma di donna conclude: “Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo: il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro , verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento”.
Sono certo che se Zanardi potrà leggere queste parole non mie ne trarrà conforto più che dalle lacrime alternate con laudationes.
Io spero che Alex Zanardi se la cavi e torni a sorridere.
Chiudo con un pensiero di Seneca che a suo tempo mi aiutò e credo  che possa essere di aiuto a tutti quanti lo leggono: Nihil indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad  conservationem universi pertinere (…) placeat homini quid quid deo placuit (Ep. 74, 20)
Queste parole insegnano a guardare in faccia il destino, ad accettarlo con forza a renderlo funzionale al nostro progresso.
Non le traduco perché vorrei che andaste a leggervi tutta la lettera, poi magari l’opera intera di Seneca

giovanni ghiselli detto gianni





[1] Seneca  De Providentia, 2, 9
[2] Cfr. Tacito: "Feminis lugere honestum est, viris meminisse " Germania  (27, 1), per le donne è bello piangere, per gli uomini ricordare. Questa distinzione di genere ovviamente non c’entra, ma credo che ricordare e riflettere sia più utile che piangere. Tanto per gli uomini quanto per le donne.
[3]Historiae , I, 18.
[4] Cfr. La ginestra, vv. 112-114.

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