sabato 27 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 28. La barbarie dei sacrifici umani


Premessa
Sembra che i sacrifici umani siano di nuovo leciti. Aumentano i contagi e i morti, ma l’economia ha bisogno di queste vittime sacrificali.

Si possono smontare altri pezzi della pietas di Enea. I sacrifici umani e la ferocia del figlio di Venere.
La barbarie di quanti praticavano i sacrifici umani: gli Etruschi, i Tirii, i loro coloni Cartaginesi, gli stessi Romani (la questione appenninica), i Celti, i Galli e i Britanni.

Durante la battaglia successiva alla morte di Pallante, il duce troiano cattura dall'esercito di Turno otto giovani vivi: "viventis rapit inferias quos immolet umbris/captivoque rogi perfundat sanguine flammas"[1], li cattura vivi, per sacrificarli come offerte infernali alle ombre e irrorare le fiamme del rogo con il sangue dei prigionieri. Vero è che a monte si trova il modello omerico[2], ma Achille non è mai stato insignis pietate vir!

Un altro atto del “pio” Enea potrebbe entrare benissimo nella categoria dell'empio e del disumano: dopo avere abbattuto Tàrquito gli taglia la testa che stava supplicandolo, quindi gli dice che la madre non lo seppellirà:"alitibus linquēre feris aut gurgite mersum/unda feret piscesque impasti volnera lambent" (Eneide, X, 559 - 560), sarai abbandonato agli alati rapaci oppure l'onda ti porterà sommerso nel gorgo e i pesci digiuni leccheranno le tue ferite.

 Tito Livio condanna l’uso del sacrificio dei prigionieri da parte degli Etruschi come barbarico e vergognoso: dopo un successo militare contro l'incauto console Fabio, i Tarquiniesi sacrificarono trecentos septem milites romanos, un supplizio brutale che rese ancora più notevole l'onta subita dal popolo romano[3].

Anche Curzio Rufo[4] dà un giudizio negativo sui sacrifici umani quando racconta che i Tirii, assediati da Alessandro Magno nel 332 a. C., pensarono di ripristinare questo uso desueto: “ sacrum quoque, quod equidem dis minime cordi esse crediderim (ut ingenuus puer Saturno immolaretur”, addirittura un atto sacrificale, del quale io sono propenso a credere che non possa essere per niente gradito agli dèi (…) cioè di sacrificare a Saturno un fanciullo nato libero. Sacrilegium, verius quam sacrum (Historiae Alexandri Magni, 4, 3, 23) un sacrilegio più che un sacrificio, di cui si dice che venne praticato a Cartagine usque ad excidium urbis suae , fino alla distruzione della città, avvenuta nel 146 a. C.
 Se non si fossero opposti gli anziani di Tiro “humanitatem dira superstitio vicisset”, una terribile superstizione avrebbe vinto il senso di umanità.
Cartagine dunque, colonia di Tiro, aveva praticato i sacrifici umani “Lo stesso rito repugnante del sacrificio umano rimase in vigore in Cartagine fin nel IV secolo”[5](d. C).
 Mentre Agatocle, tiranno di Siracusa, era in Africa (310 - 307) “fu fatta un’immane ecatombe espiatoria di fanciulli, cinquecento si dice, tra cui duecento delle famiglie più ragguardevoli, deponendoli l’un dopo l’altro, per farli precipitare tra le fiamme, sulle braccia protese della statua colossale d’un nume assetato di sangue che i Greci chiamavano Crono”[6]. (Diodoro, Biblioteca storica, XX, 14).
Tertulliano nell’Apologeticum[7] ritorce contro i pagani le accuse che vengono rivolte ai cristiani scrive: “infantes penes Africam Saturno immolabantur palam usque ad proconsulatum Tiberii” (9, 2), in Africa si sacrificavano pubblicamente dei fanciulli a Saturno, fino al proconsolato di Tiberio. E commenta: si capisce come Saturno che non risparmiò i propri figli, abbia continuato a non risparmiare quelli degli altri.
 Poi questo costume cadde in disuso: “Gli è che l’influsso irresistibile della civiltà greca aveva addolcito a grado a grado i costumi”[8].

Di fatto a Roma i sacrifici umani furono praticati.
 Tito Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario, in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano. E’ una contraddizione con quanto detto sopra sugli Etruschi, ma “i fatti della storia non sono sillogismi”[9]
Mazzarino ne ricava una concezione cisappenninica della vera Italia cui consegue l’idea della exterminatio dei due popoli transappenninici: Galli e Greci.
 Appiano[10] nell’Annibalica (8, 34) introduce il suo racconto della battaglia del Trasimeno e sostiene che la vera Italia è quella tirrenica, mentre quella adriatica e ionica è terra di Galli e di Greci. Nello stesso anno 216 del resto i decemviri sacris faciundis ricavarono dai libri sibillini l’ordine di mandare a Delfi Fabio Pittore. Un’altra contraddizione.
C’era comunque fino a Canne una questione appenninica: gli antichi intuivano il contrasto fra l’economia padana ed economia appenninica.
Cesare spiega con un chiasmo che i sacrifici umani vengono praticati dai Galli poiché pensano che non si possa placare la maestà dei numi immortali “pro vita hominis nisi hominis vita reddatur “(De bello gallico, 6, 16, 2), se per la vita di un uomo non si paga la vita di un uomo.

Tacito ricorda che i Britanni facevano sacrifici umani: quando venne conquistata da Svetonio Paolino[11] l’isola di Mona (vicina al Galles) vennero abbattuti i boschi, sacri alle loro feroci superstizioni: excisique luci saevis superstitionibus sacri: nam cruore captivo adolēre aras et hominum fibris consulere deos fas habebant” (Annales, XIV, 30), infatti i Britanni consideravano cosa santa far fumare gli altari col sangue dei prigionieri e consultare gli dèi con le viscere degli uomini.

giovanni ghiselli

p. s. il blog è arrivato a 996630. Sto partendo per Pesaro dove festeggerò il milione di letture


[1] Eneide, X, 519 - 520.
[2] Iliade, XXI, 26 sgg, poi XXIII, 175 sgg.
[3] Storie, VII, 15. Siamo negli anni del IV secolo a. C. successivi all’invasione gallica, intorno al 364 a. C.
[4] Autore del I sec. d. C. Sotto il regno di Claudio scrisse Historiae Alexandri Magni in dieci libri. Ne sono andati perduti i primi due.
[5] Gaetano De Sanctis, Storia Dei Romani, Vol III parte I, p. 72.
[6] Gaetano De Sanctis, op. e p. citate.
[7] Del 197 d. C.
[8] Gaetano De Sanctis, op. cit., p. 73.
[9] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 1, p. 216.
[10] Vissuto nel secondo secolo d. C. crisse una Storia di Roma in greco. Sono conservati 11 libri con il prologo, la vicenda di Annibale, le guerre civili.
[11] Governatore della Britannia in età neroniana, fino al 61 d. C.

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