lunedì 8 giugno 2020

Il teatro penalizzato più del calcio

Angelika KauffmannIfigenia in Tauride 
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Riferisco alcune parole di Emma Dante che leggo nel quotidiano che compro ogni giorno anche se non mi sono mentalmente assuefatto ad approvare senza valutare criticamente quello che vi leggo .
Comunque oggi vi trovo delle osservazioni della regista che tutto sommato condivido: “Quanta indifferenza per il teatro (…) Non capisco perché nello sport si possono fare gli allenamenti, superando anche in modo incauto il distanziamento, e gli attori in scena non possono lavorare”.
Per la seconda incomprensione avrei usato il congiuntivo.
Aggiungo che gli sport del resto non vengono trattati tutti nel medesimo modo: il ciclismo che è quello più praticato da tutti in una maniera o in un’altra, viene penalizzato più del calcio.
Ancora alcune parole di Emma Dante: “Avrei dovuto provare una Ifigenia in Tauride di Gluck a Pavia ma per ora è saltata e chissà se si riuscirà a fare”.
Io avrei dovuto presentare l’ Ifigenia fra i Tauri di Euripide a Bivona lo scorso 9 maggio e a Siracusa il prossimo 15 giugno,  ma la pandemia ha stravolto tutti i piani. Avevo preparato un percorso di una cinquantina di pagine per recitarlo, sintetizzando. Avrò sicuramente altre occasioni per farlo. Intanto metto nel blog un decimo circa della conferenza. A chi lo desiderasse, la manderò intera. Gratis ovviamente, non c’è bisogno di dirlo ma è bene prevenire i maliziosi malevoli.  

Euripide, Ifigenia fra i Tauri del 414 o 413-


La scena è collocata in terra barbara, nella regione dei monti Tauri, presso il tempio di Artemide decorato da teschi e ossa umane. Ifigenia ne è la sacerdotessa.
Erodoto (IV, 10, 3) riferisce che i Tauri onoravano una dea cui offrivano sacrifici umani.
La prima parte racconta il riconoscimento tra i fratelli, la seconda la beffa ai danni di Toante, re del Ponto.

Prologo 1-122

Ifigenia si presenta, poi racconta un suo sogno.

Figlia di Agamennone e Clitennestra, nipote di Atreo, bisnipote di Pelope figlio di Tantalo. – (Figlia qugavthr, daughter, Tochter.)-
Pelope figlio di Tantalo giunse a Pisa con le cavalle veloci-qoai'sin i{ppoi" –v.2-e sposò Ippodamia,  figlia di Enomao. Da lei nacque Atreo, da lui Menelao e Agamennone e da Agamennone nacqui io, Ifigenia, figlia della figlia di Tindaro, che il padre, a quanto sembra, sacrificò per Elena ad Artemide e[sfaxen   JElevnh" ou{nec j v. 88- presso i gorghi che l’Euripo- lo stretto tra l’Eubea e la Beozia dove c’è l’Aulide- spesso sconvolge con forti venti mettendo il fosco mare in moto circolare nelle famose insenature di Aulide 9-di fronte a Calcide in Beozia- Là  jAgamevmnwn a[nax radunò la flotta greca-di mille navi-cilivwn naw'n stovlon-  JEllhnikovn-

Tucidide-excursus
razionalizza il mito secondo il quale Agamennone  mobilitò i pretendenti di Elena vincolati dal giuramento fatto a Tindaro , il padre putativo di lei: chiunque fosse stato scelto come marito, sarebbe stato sostenuto, nelle difficoltà, da tutti gli altri[1].
Agamennone invero raccolse la flotta poiché superava in potenza i potenti di allora (tw'n tovte dunavmei prouvcwn La guerra del Peloponneso,
(I,9,1).                                                                                                                                                                                            
Il lidio Pelope infatti aveva portato dall'Asia immense ricchezze   venendo in Grecia tra gente povera (ej" ajnqrwvpou" ajpovrou", I, 9, 2) e proprio per questo si costruì una potenza politica (duvnamin I, 9, 2) e divenne eponimo di quella terra, poi chiamata Peloponneso appunto.

E’  uno tra i luoghi più ameni del mondo invero, e ne consiglio il giro ciclistico: Patrasso, Corinto, Epidauro, Micene, Sparta-Taigeto, Kalamata, Tempio di Apollo Epicurio, Olimpia, Patrasso; otto giorni per chi è già un poco allenato, un paio di settimane per chi ha meno lena.
Più scolasticamente invece invito i giovani alla lettura dell’ Olimpica I  dove Pindaro splendidamente racconta come Pelope si preparò a conquistare l'isola fatata e destinata a lui. 

Il figlio di Pelope, Atreo, continua Tucidide, ereditò la potenza paterna e la lasciò, accresciuta, ad Agamennone, il quale, divenuto più forte degli altri anche per la flotta, poté guidare la spedizione dopo avere raccolto l'armata non con l'amore più che con la paura:"th;n strateivan ouj cavriti to; plevon h] fovbw/ xunagagw;n"(I, 9, 3).
 Questa tesi viene autorizzata con l'attestazione di Omero e la citazione di un verso dell'Iliade  (II, 1O8):"pollh'/sin nhvsoisi kai;  [Argei panti; ajnavssein", su molte isole e su l'Argolide tutta a regnare[2]. Dunque l'Atride aveva una flotta e da questa spedizione si deve congetturare (eijkavzein de; crhv, I, 9, 4) quanto (meno) grandi siano state le precedenti imprese militari.
Quella guerra del  resto non poté essere tanto grande  quanto l'ultima combattuta dai Greci. Lo stesso Omero che, siccome poeta ingrandisce, racconta di 1200 navi con un carico di uomini non innumerevoli: dai 120 delle imbarcazioni dei Beoti, ai 50 dei vascelli di Filottete. La conclusione del ragionamento è che, per chi considera la media, non sembrano molti quelli andati a Troia, visto che erano stati mandati  da tutta la Grecia in comune:"to; mevson skopou'nti ouj polloi; faivnontai ejlqovnte", wJ" ajpo; pavsh" th'" jEllavdo" koinh'/ pempovmenoi"( Tucidide, I, 10, 5). L’Iliade è letta da Tucidide con un’analisi politica.

H. Strasburger ne deduce una volontà emulativa dello storiografo:"Ciò che indusse Tucidide alla sua opera fu piuttosto, come abbastanza chiaramente egli stesso lascia capire, la speranza di poter superare la guerra di Troia e quella contro i Persiani con la sua guerra , e conseguentemente Omero ed Erodoto con la sua narrazione"[3].
 Ma mentre "il suo rapporto con Erodoto è sorprendentemente riservato e opaco (...) tanto più insistente, viceversa, il suo confrontarsi con Omero: egli tenta di ridimensionarne la sublimità poetica attraverso un'acuta critica di verosimiglianza, ma continua a considerarlo nel complesso (...) un informato cronista del maggior avvenimento dell'età più antica; come storico, egli riconosce in Omero un predecessore[4]"[5].     

Quale fu il motivo  che causò la lunga durata   della guerra troiana? La limitata potenza dei Greci di quei tempi antichi, causa (ai[tion) della quale a sua volta  fu non tanto la mancanza di uomini (hJ ojliganqrwpiva) quanto la scarsità dei mezzi ( hJ ajcrhmativa, I, 11, 1). Durante quei dieci anni i Greci non poterono mettere in campo tutte le loro forze, del resto non enormi, perché dovettero dedicarsi all'agricoltura e alla pirateria per mantenersi: senza queste (a[neu lh/steiva" kai; gewrgiva", I,11, 2) avrebbero conquistato facilmente la città.
Dunque per scarsezza di risorse (di j ajcrhmativan ) furono deboli (ajsqenh', I, 11, 3) queste epoche passate, e anche questi avvenimenti particolarmente celebrati si rivelano di fatto inferiori alla fama (uJpodeevstera o[nta th'~ fhvmh~) e alla rinomanza che si è stabilita per i racconti dei poeti (dia;  tou;~ poihtav~).
Tucidide percorre tutta la storia greca con questo criterio: formazione dei capitali, della flotta, della potenza, la quale  non poteva diventare rilevante finché gli Elleni, anche dopo la guerra di Troia, continuavano a emigrare e a fondare colonie: gli Ateniesi colonizzarono la Ionia e gran parte delle isole; i Peloponnesiaci ampie regioni dell'Italia e della Sicilia:"  [ Iwna" me;n   jAhnai'oi kai; nhsiwtw'n tou;" pollouv" w[kisan,  jItaliva" de; kai; Sikeliva" to; plei'ston Peloponnhvsioi( Tucidide, I, 12, 4).
Fine excursus

Agamennone dunque voleva conquistare per i Greci la bella corona della vittoria kallivnikon stevfanon (Ifigenia fra i Tauri , v. 12) e  perseguire l’oltraggio alle nozze di Elena  facendo un favore a Menelao (14).
Ma il comandante greco incontrando una tremenda impossibilità di navigare e dei  vènti-deinh'"  t j ajploiva" pneumavtwn te tugcavnwn (15)- giunse ai sacrificare sul fuoco -ej" e[mpur j h\lqe (16).

Cfr. Euripide,  Ifigenia in Aulide, v  59: i pretendenti giurano versando libagioni sul fuoco che avrebbero aiutato chi avrebbe ottenuto la mano di Elena kai; di j ejmpuvrwn anche versando libagioni su vittime ardenti.

Calcante poi diede il responso sinistro ad Agamennone: “tu non potrai far salpare la flotta da questa terra prima che Artemide abbia preso tua figlia Ifigenia sgozzata-pri;n  a]n kovrhn sh;n   jIfigevneian   [Artemi"-lavbh/ sfagei'san (Ifigenia fra i Tauri , vv. 19-20) infatti facesti voto di sacrificare alla dea che porta le torce- fwsfovrw/ quvsein qea'/  (21) la cosa più bella che l’anno avesse creato.

Ho tradotto dea che porta le torce ricordando la parodo dell’Edipo re quando il coro chiede la protezione degli dèi e invoca in difesa della città anche “ le fiaccole/fiammeggianti di Artemide con le quali/si lancia su per i monti della Licia" ( -tav" te purfovrou"-  jArtemido" ai[gla" , xu;n ai|"- Luvki j o[rea diav/sei- 206-208).

 Clitennestra aveva generato al comandante della spedizione Ifigenia cui Calcante attribuisce to; kallistei'on ( Ifigenia fra i Tauri  23)  la supremazia della cosa più bella. La bellezza dunque ha diverse valenze. In questo caso porta la morte.

Nel prologo dell’Elena di Euripide la donna fatale racconta il giudizio di Paride che fece vincere Cipride ottenendo in cambio toujmo;n de; kavllo~ (27), la mia bellezza; ma poi Elena aggiunge: “eij kalo;n to; dustucev~ (v. 27), se è bella la disgrazia.  
  Ifigenia Racconta che con gli inganni di Odisseo ( j  jOdussevw" tevcnai", 24) la rapirono alla madre   mhtro;~ pareivlont  j (Ifigenia fra i Tauri,  25) per le nozze di Achille.

paraijrevw-prendo, scelgo ai[resi~ scelta, eresia.- ajfaivresi~, sottrazione di una lettera all’inizio della parola, aferesi.

 Nozze mentite. Invece, arrivata in Aulide, sollevata in alto
sulla pira,  venni uccisa con la spada (ejkainovmhn xivfei, 27)`.


Ma Artemide mi sottrasse e[lafon ajntidou`sa , dando in cambio una cerva, e mi collocò in questa terra dei Tauri dove regna su barbari il barbaro Toante che pone il piede veloce come ala-wjku;n povda tiqei;" i[son pteroi'" 32 e giunse a questo nome podwkeiva~ cavrin (33) per la velocità dei piedi. pouv~ e wjkuv~

La ragazza deve consacrare le vittime alla dea secondo le norme della festa (novmoisi eJorth`~, 36|) di cui soltanto il nome è bello ( tou[nom j h|~ kalo;n movnon, 36). Il resto lo taccio per paura della dea-ta; d ja[lla sigw', th;n qeo;n foboumevnh (Ifigenia fra i Tauri, 37).

La paura talora paralizza la lingua

Cfr. i primi versi del Prologo dell’Agamennone di Eschilo
La scena è ad Argo, nel palazzo degli Atridi
Una guardia recita il prologo. Aspetta un segnale luminoso che annunci la vittoria degli Achei. Glielo ha ordinato lo speranzoso cuore dal maschio volere (ajndrovboulon ejlpivzon kevar, 11) di donna, la regina Clitennestra.
Ma, dice il fuvlax,  la notte invece di Sonno mi sta accanto Paura (Fovbo~ ga;r ajnq j   {Ypnou parastatei` (v. 14).
 Il palazzo non è più governato per il meglio come prima.
Finalmente la guardia vede l’atteso segnale luminoso.
 L’uomo esulta e preannuncia danze.
Ma non può dire tutto: “ta; d’ a[lla sigw`: bou`~ ejpi glwvssh/ mevga~-bevbhken” (Agamennone, 36-37)[6].
E continua:
“La casa stessa potrebbe parlare, se prendesse voce”.

   
Ifigenia si limita a dare inizio al rito consacrando le vittime, sfavgia d j a[lloisin mevlei, Ifigenia fra i Tauri, 40  “lo sgozzamento compete ad altri”.  

giovanni ghiselli

p. s. questo blog è arrivato a 980007. Bologna 8 giugno ore 18,30


[1] Il mito come lo leggo nello pseudo- Apollodoro, Biblioteca,  3, 131-132.
[2] Omero fa la storia dello scettro che Agamennone tiene in mano. Era di origine divina e glielo aveva lasciato Tieste da portare come simbolo del potere (“a regnare”, appunto).
 [3] La storia secondo i Greci: due modelli storiografici, in La storiografia greca , p. 18.
[4] Vedi in particolare I 9 sg.
[5] Hermann Strasburger, Op. cit., p. 18.
[6] Cfr. The rest is silence di Amleto V, 2.

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