Il 29 giugno andai a Carmignano di Brenta senza curarmi dei
santi del giorno: il Pescatore e Polo , dato che venero l’onesto Giovanni
non quale immagine già impressa nel fiorino di Firenza, città di cui era ed è
tuttora patrono, bensì quale profeta che
malediceva il potere tanto che fu tratto al martirio.
Tornavo nel paese della
scuola media dove avevo insegnato per cinque anni: dal 1969 al 1974. Anni
contrassegnati dai termini estremi del
male: la strage di Milano e di quella di Brescia.
Per me tuttavia non fu un
periodo di regresso.
A Carmignano di Brenta
conobbi due belle persone Luciana e Antonia, una figlia spirituale e una mamma
vicaria. Con entrambe c’è stato un rapporto di affetto, di intelligenza, di
bontà durato decenni. Insomma ci siamo voluti
bene e aiutati a vicenda.
Quando iniziai a insegnare
quasi 10 anni prima della giornata che
sto per raccontare io avevo 25 anni ancora da compiere, Luciana era una scolara
di prima media, la più intelligente della classe, una bambina di 11 anni già
capace di pensare in modo originale. In novembre compresi il suo genio quando
scrisse non banalmente un tema dal titolo banale: “Tue impressioni
sull’autunno”. La piccola allieva seppe trovare mito e poesia nella stagione
che per me è sempre stata la più dolente. Descriveva la caduta di alcuni
chicchi di uva nel fango di una pozzanghera dove imputridivano, come ogni cosa
se non viene impiegata per il bene dell’uomo. Non ricordo le sue parole una per
una, ma formavano un quadro che raffigurava una visione, un’ ijdeva. Provai ammirazione per l’alunna geniale. Ora la vedo
con gli altri bambini di quella mia classe più antica e cara in una fotografia
del giugno 1970: era l’ultimo giorno di scuola e noi siamo allineati davanti al
grande tempio cristiano nella lunga piazza assolata. Luciana è una biondina
chiara di pelle come molti da quelle parti, tanto che mi chiamavano affettuosamente
“ marochin” per il mio essere niger
tamquam corvus nei capelli, nei baffi e nella pelle molto abbronzata. L’allieva
molto dotata di mente si trova accanto a me alla mia sinistra per chi guarda la
foto. Io sono vestito di lino bianco, snello, in ottima forma. L’estate mi
potenzia e in questa stagione, la meno dolente, sono me stesso più che nelle
altre. Guardo la macchina fotografica, sorrido cosa che faccio di rado davanti
al fotografo, e sono piacente se non proprio bello, un lepido moretto mi piace
definire il mio aspetto prima dell’incanutimento del resto iniziato dopo il
traguardo dei Settanta anni e non ancora
compiuto grazie all’eredità genetica della stirpe etrusca del nonno Carlino
Martelli da Borgo Sansepolcro.
Mi rivedo in mezzo agli
allievi, grato a quei bambini di avermi fatto imparare più di quanto avevo
insegnato. Disco dum doceo. Nella
piazza piena di sole a mezzo il giorno dalle ombre minime, sono contento. Ho la
coscienza giovanilmente fiera di avere insegnato la dignità dell’uomo, la
bellezza della letteratura e della vita, il dovere della nobile lealtà, della
chiara onestà, della cara gratitudine, del generoso impegno in favore del
prossimo, il rispetto dovuto a ogni creatura, e di avere imparato da loro che
l’amicizia affettuosa è il valore supremo della nostra esistenza, che
l’ignoranza e l’egoismo sono nemici dell’umanità.
Un giorno pensavo quel 10 giugno, un giorno
non lontano, una donna geniale mi amerà ricambiata e insieme faremo qualcosa di
bello, di nobile e grande per il genere umano. Allora avevo già conosciuto una
ragazza ventenne di buon formato, un’Elena studentessa di Praga dove ero andato nel
maggio meraviglioso del 1968 grazie uno scambio di collegi universitari.
Noi giovani in quella
primavera fatata avevamo fiducia nel futuro.
Avevo dunque già amato
un’Elena . Ma il tempo e la distanza me la tolsero. Altre donne del mio stampo
però contavo di incontrare. Tale presentimento non era vano. Infatti due anni
più tardi incontrai un’altra Helena, finnica questa e più matura. Eravamo
coetanei: tra i 26 e i 27 anni. Il tempo e la distanza mi avrebbero tolto anche
questa Helena Augusta. Poi altre due finlandesi, Kaisa e Päivi, come sa chi mi
legge. Poi diverse altre. Italiane queste.
Luciana con il tempo sarebbe diventato
un’amica benvoluta e stimata.
Nel giugno del 1969 dunque - aveva 21 anni-
andai a trovarla e le parlai della mia relazione problematica, instabile,
spesso angosciosa con la bella collega di Bologna. Disse che non sarebbe durata.
“Perché?” domandai. Non era una domanda
retorica. “Perché non ha l’intelligenza né la sensibilità, né l’educazione che
tu cerchi, hai sempre cercato nella tua donna, anzi in ogni femmina umana”.
“E tu come stai?” le chiesi.
Sapevo che studiava architettura a Venezia ed era brava. Mi disse che faceva di
tutto per conseguire la bellezza e la bontà che proponevo alla classe quando era bambina.
“Anche io non dimenticherò
mai quanto ho imparato da te” promisi.
Siamo sempre rimasti in un contatto di vera amicizia da allora. La bella copertina del mio libro Tre amori a Debrecen è sua, di Luciana.
Quindi andai a trovare
un’altra carissima amica: Antonia.
Era ancora la vicepreside
della scuola media dove mi aveva aiutato e protetto dalla malevolenza del
preside. Per fortuna il factotum della scuola era lei. Ma non fu solo per
questo che diventammo amici. Sebbene fosse una donna di una generazione
precedente la mia, e fosse sempre vissuta in quella Vandea che era allora il
Veneto profondo, e nonostante discordasse dalle mie idèe politiche, aveva un’intelligenza e una
sensibilità tali che le consentivano di capire e apprezzare le mie qualità ancora solo
abbozzate, quindi mi aiutò a
svilupparle, mentre con i suoi consigli appropriati
poneva un freno al mio esibizionismo alle mie intemperanze giovanili. Nei primi
tempi mi ribellavo, poi la ascoltai. Questa amica mi ha fatto del bene più di
tante amanti.
Su Ifigenia però quel giorno
fece un errore. Disse che non dovevo sciupare quell’amore pur difficile con
un’avventura estiva di poche settimane a Debrecen perché l’inverno a Bologna
sarebbe stato triste e desolato senza il
luminoso calore della ragazza che aveva potenziato il mio tono vitale e
migliorato il mio aspetto. Dico che Antonia questa volta sbagliava perché la
mia fedeltà mantenuta a Debrecen nel mese di agosto in qualche modo non venne
contraccambiata, e l’inverno successivo a Bologna sarebbe stato cupo e desolato
proprio per l’assidua presenza al mio fianco di quella giovane donna non più
radiosa e ridente come era stata nei momenti migliori, bensì triste, spenta,
noiosa e deprimente. Tanto che mi sarei innamorato di un’altra
Bologna 11 maggio 2025 ore
10, 37 giovanni ghiselli.
p. s.
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