NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 22 dicembre 2024

Ovidio poeta "contrastivo".

42. 1. Un poeta “contrastivo”: Ovidio e la polemica libertina con i poeti augustèi ortodossi. L’adulterio e le leggi di Augusto: “corruptissima republica plurimae leges”.

 

  Ovidio ingaggia una garbata  polemica con Virgilio il quale aveva santificato il suo pio eroe: abbiamo visto (16, 3) che il poeta peligno nell'Ars amatoria (III 39-40) menziona Enea tra gli amanti infedeli.

 Il Sulmonese in effetti opera un rovesciamento nei confronti di alcune parti dell'etica propugnata dai poeti augustei ortodossi .

Si possono indicare alcuni aspetti della polemica libertina  di Ovidio con gli autori che organizzavano il consenso alla volontà moralizzatrice di Augusto: si pensi al Carmen saeculare [1] di Orazionel quale il poeta di Venosa celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[2], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.

Tali beni derivano dalle preghiere e dalle vittorie di Augusto, discendente del “castus Aeneas” (Carmen saeculare, v. 42), “clarus Anchisae Venerisque sanguis” (v. 50) puro sangue di Anchise e di Venere, “bellante prior, iacentem/lenis in hostem"(vv. 51-52), vincente sul nemico in armi, mite con il nemico caduto.

Questo eroe senza machia e senza paura nelle intenzioni degli autori dovrebbe prefigurare Augusto.

Ebbene, secondo Ovidio Enea non è castuspius[3], e Roma non è la città del Pudore bensì dell’amore libero. 

 “Negli Amores  è la stessa impostazione di giuoco sofistico[4] che toglie aggressività all'irrisione della rusticitas: cito, per esempio, un passo di III 4 (37 sgg.), l'elegia dove si vuole dimostrare che è meglio lasciare le puellae  senza sorveglianza: Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " [5], e' davvero rozzo quello che una moglie adultera offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.

 Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un ignorante integrale.

"Per Ovidio Roma non è la regina delle città che detta legge al genere umano: è invece principalmente la città dell'amore. Tutto invita ad amare: strade, piazze, portici offrono mille bellezze giunte dai quattro punti cardinali per conquistare i loro vincitori…Persino l'antico Foro diventa luogo di appuntamenti e tende trappole ai giureconsulti:"et fora conveniunt-quis credere possit-amori"[6],  (Ars amatoria, I, 79.), anche i fori si confanno all'amore, chi potrebbe crederlo?

Sappiamo che Ovidio con questo, o con un altro carmen, e con un altrettanto imprecisato error irritò Augusto, il quale tentava di porre un freno alla licentia a suon di  leggi. Il poeta pagò a caro prezzo la sua eterodossia rispetto alla volontà del principe e al coro dei poeti organici al regime.  

Per quanto riguarda la libertà e il servilismo, sentiamo Leopardi : “Se  non altro non si potè più né lodare né insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la libertà non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al moderno. Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di Velleio, e Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e sieno celebrati i sensi generosi di Tacito, ec. ma neppur egli troverebbe che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in persona propria.

Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatori degli antichi repubblicani. Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).

 

Ovidio, prima di adulare Augusto cercando di impetrare di venire perdonato e richiamato dall’esilio di Tomi, invero lo ha provocato cantando e celebrando il libertinaggio.

 

Nel romanzo La montagna incantata di T. Mann il personaggio Naphta, cattolico quasi gesuita, comunista e reazionario disprezzaVirgilio e la poesia latina. Sostiene che Virgilio era un laureato di corte e il leccapiedi della stirpe Giulia (p. 769) un letterato metropolitano, un retore pomposo senza nessuna scintilla di creatività, non era un poeta ma un francese con parrucca a boccoli dell’epoca augustea.

 

 

Vediamo le numerose e vane leggi dell’imperatore: “corruptissima republica plurimae leges” ( Tacito, Annales, 3, 27).

La lex Iulia de adulteriis coercendis fu approvata nel 18 a. C. 

Un’altra legge volta a frenare, o per lo meno a regolarizzare e ordinare l’amore, fu la lex Iulia de maritandis ordinibus, sempre del 18 a. C.  Questa multava i celibi e premiava gli ammogliati fecondi.

Cassio Dione[7] racconta che Augusto sottopose a punizioni fiscali le categorie dei celibi e delle nubili, mentre istituì dei premi per il matrimonio e la procreazione (54, 16).

Della lex Iulia, che mirava a combattere la licenza sessuale e la diminuzione della natalità, si trova un’eco in una delle strofe saffiche del Carmen Saeculare di Orazio: “Diva, producas subolem patrumque / prosperes decreta super iugandis / feminis prolisque novae feraci / lege marita” (vv. 17-20), Dea[8] fa crescere la prole e da’ successo ai decreti del senato sulle donne da unire in matrimonio e sulla legge nuziale feconda di nuova prole.

La lex Iulia de maritandis ordinibus poi venne ribadita e inasprita dalla lex Papia Poppaea (del 9 d. C.) che, tra l’altro, concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum).

Tacito ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio (senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[9] incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales 3, 25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.

Non per questo, continua lo storico, i matrimoni e le nascite dei figli divenivano più frequenti, praevalida orbitate, tanto si era affermato il costume di non avere famiglia. Questa legge del resto favorì la delazione e suscitò il terrore: “Acriora ex eo vincla, inditi custodes et lege Papia Poppaea praemiis inducti ut, si a privilegiis parentum cessaretur, velut parens omnium populus vacantia teneret” (Annales III, 28), più aspri da quel momento divennero i vincoli, furono imposti custodi, e con i premi promessi dalla legge Papia Poppea furono incoraggiati a che il popolo, come padre comune, occupasse i beni rimasti liberi, se qualcuno rinunciava ai privilegi di padre di famiglia.

 Lo storiografo continua denunciando l’invadenza degli inquisitori nella vita privata dei cittadini terrorizzati.

Cassio Dione afferma che Augusto nel 18 a. C. sottopose a punizioni fiscali le categorie dei celibi e delle nubili, mentre pose dei premi (a\qla e[qhken) per il matrimonio e la procreazione (54, 16). E siccome nella nobiltà c’erano più maschi che femmine, consentì a chi lo desiderava, tranne che ai senatori, di sposare delle liberte con nozze legittime.

 

Bologna 22 dicembre 2024 ore 20, 44 giovanni ghiselli

 

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[1] Del 17 a. C.

[2] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

[3] Cfr. Ars amatoria, III, vv. 39-40 e Virgilio, Eneide I, vv. 8-11, già citati in 16. 3. Cfr. anche Ars amatoria I, vv. 605-606 citati in 17. 2.

[4] “Giuoco sofistico”  significa non riconoscere alcun valore oltre il successo e utilizzare ogni mezzo, a partire dalla parola, per conseguirlo in ogni modo: in questo caso chiamare in causa gli dèi per avallare  licenza e trasgressione sessuale. E' quello che fa il Discorso Ingiusto nelle Nuvole di Aristofane quando consiglia a Fidippide: se ti sorprendono in adulterio, rispondi al marito che non hai fatto niente di male,  poi fai ricadere  l'accusa su Zeus, di’ che anche lui è più debole di amore e delle donne ( "kajkei'no" wJ"  h{ttwn e[rwtov" ejsti kai; gunaikw'n", v.1081). Il riferimento è ai tanti adultèri di Zeus che possono coonestare quelli del giovane allievo istruito dall' a[diko" lovgo". "La sofistica ne approfitta, raccogliendo dal mito gli esempi sfruttabili nel senso della dissoluzione e relativizzazione naturalistica ch'essa fa di tutte le norme vigenti. Se la difesa in giudizio tendeva in passato a provare che il caso era conforme alle leggi, ora si attacca la legge e il costume stesso, cercando di dimostrarli manchevoli" (W. Jaeger, Paideia  1,  p. 630). 

Nella poesia erotica greca e latina chi ama, si appella topicamente agli amori di Zeus. Faccio qualche esempio. Nell’VIII idillio di Teocrito il bovaro Dafni canta: “w\ pavter w\  Zeu', ouj movno" hjravsqhn: kai; tu; gunaikofivla"” (vv. 59-60), o padre Zeus, non mi sono innamorato solo io: anche tu sei amante delle donne.

 Nel poema di Apollonio Rodio Era chiede a Teti di salvare gli Argonauti da Scilla-Cariddi e dalle Plancte, e le ricorda l’affetto che ha provato per lei da quando rifiutò le profferte amorose di Zeus: “a quello infatti interessa sempre questa attività: passare la notte con donne, mortali o immortali” (Argonautiche, 4, 794-795) .

Catullo ricorda i plurima furta Iovis per combattere la propria gelosia e accettare le scappatelle di Clodia: “Quae tamen etsi uno non est contenta Catullo,/rara verecundae furta feremus erae,/ne nimium simus stultorum more molesti. /Saepe etiam Iuno, maxima caelicolum,/coniugis in culpa flagrantem cohibuit iram,/noscens omnivoli plurima furta Iovis” (68 A, vv. 135-140), se Clodia però non si accontenta del solo Catullo, sopporterò i tradimenti rari della riservata signora, per non essere troppo fastidioso, come sono gli stolti. Spesso anche Giunone, la più grande tra le dèe del cielo, frenò l’ira che bruciava davanti alla colpa del marito, ammettendo i moltissimi adultèri del marito che vuole tutto.

 

 

[5] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 186.

[6] P. Grimal, L'amore a Roma, trad. it. Aldo Martello, Milano, 1964, p. 140.

[7] Vissuto tra il II e il III sec. d. C. , scrisse una Storia Romana in greco. Constava di ottanta libri che andavano dalle origini al 229 d. C. Ne restano 25 (dal 36 al 60) oltre alle epitomi di età bizantina.

[8] Ilitìa, identificata con Lucina, la dea romana dei parti. 

 

[9] De maritandis ordinibus e De adulteriis coërcendis del 18 a. C.