Antonio Gramsci sullo studio del greco e del latino.
Nel Quaderno 12, Antonio Gramsci mostra, con buoni argomenti, quanto sia formativo e irrinunciabile lo studio delle lingue morte, proprio perché tali.
Si studia il greco o il latino - scrive Gramsci - non certo «per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali», bensì per «conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente».
Lo studio delle lingue classiche ha inoltre - agli occhi di Gramsci - un altro pregio: è uno studio duro, che serve a «far contrarre abitudini di esattezza, di diligenza, di compostezza anche fisica, di concentrazione psichica su determinati soggetti che non si possono acquistare senza una ripetizione meccanica di atti disciplinati e metodici». E soggiunge che un adulto sarà capace di stare a tavolino «sedici ore di seguito» solo se «da bambino avrà assunto le abitudini appropriate, coattivamente, per coercizione meccanica». «Occorre premere su tutta l' area scolastica per riuscire a far emergere quelle migliaia o centinaia, e anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo». Lo studio del latino gli appare fondamentale per la nostra scuola perché «l' italiano è latino moderno». Conclude con uno sguardo sul futuro: «Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa, e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità».
Vediamo oggi quanto è decaduta culturalmente e degradata umanamente la classe dirigente che fino al 1970 si formava sul liceo classico.
Bologna 20 novembre 2024 ore 18, 27 giovanni ghiselli
p. s
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