martedì 15 ottobre 2024

Ifigenia. CCI Tira e molla. Un’altra cena sul monte delle formiche. Excursus su Marisa.


 

Appena arrivato a casa, per confermarmi nel proposito buono di

scrivere presto tutta quanta la storia con gli antefatti, sistemai i

pochi appunti dei primi tristi mesi del '78 che poi invece, grazie

all'epifania della fanciulla, sarebbe diventato l'anno più bello della

mia vita, il più ricco di casi . Il primo gennaio, per fame sessuale,

avevo fornicato tistemente con una donnicciola: consumista

incolta e cretina.

 Il nove gennaio, alla nonna Margherita morta,

quasi novantasettenne chiedevo una grazia: "ti prego,

fammi incontrare una giovane bella, bruna, fiorente di voluttà tra

le cosce e ricca di forza mentale."

Il 18 febbraio mentre mi inebriavo dei primi

aromi  della primavera incipiente, al sole che tirava fuori dalla terra il vello verde-oro e tutti  i colori del mondo che si risvegliava, chiedevo di non negarmi il più spirituale e profumato dei fiori: una fanciulla di grande formato.

Insomma alle spalle dell’anno  trionfale che mi aspettava c'erano mesi non

solo di studio ma anche di riti propiziatori, di voti e preghiere volte  alla conquista di una ragazza simile a quella che avrei incontrato davvero.

Mentre leggevo gli appunti presi dopo che la nostra conoscenza si

fu approfondita, mi accorsi che avevano maggior nerbo rispetto a

quelli di prima. Perciò mi dissi che per scrivere con forza la nostra storia dovevo ritrovare il contatto con lei che del resto quel giorno non aveva telefonato.

 

Per altri due giorni rimuginai il passato  cercando in ogni evento la claritas

da fare brillare nel mio romanzo. Speravo che dopo avere

almanaccato a oltranza in solitudine, sarei giunto a una tale nausea

della ruminazione mentale da sentirmi costretto ad agire. Ma non

sapevo nemmeno in quale maniera. Aspettavo dei segni. Intanto

però Ifigenia non si faceva viva.

 

Giovedì 19 marzo finalmente mi avvicinò mentre entravo a scuola.

 Con aria seria, quasi severa, disse:"Gianni, ho

bisogno di parlarti". Sembrava il preludio  di  un addio.

 Ne ebbi paura. Perciò risposi:"Non qui. Devo salire

subito in classe. Dopo, se vuoi, andiamo da qualche parte. Dove

preferisci tu". La portai a casa mia. Parlando a fatica, disse che

aveva di nuovo il problema del maestro di danza.

"L'avevo superato sostanzialmente", precisò usando l'avverbio

che voleva avere un sapore quasi filosofico, "ma la sera che mi facesti quella telefonata orrenda, ho perduto di nuovo la stima per te, e ho

sentito un'altra volta emozione per lui”.

"Questo me l’avevi già detto. Perché torni a ripetermelo?  Non mi hai già lasciato? Non ti senti libera adesso di amare chi vuoi?".

Speravo che mi smentisse.

"No, non è così semplice", rispose. "Io provo ancora sentimenti

forti per te;  per lui sento  un miscuglio di attrazione e ripugnanza:

mi attira in quanto mi insegna a ballare, però mi dà anche la

nausea siccome è un narcisista, e un mezzo ignorante per

giunta".

Smise di parlare. Mi guardava negli occhi, con fissità. Aspettava

una risposta.

"Ho capito", dissi. " E io che cosa posso fare per te?".

Ero seccato: la confessione significava che  mi aveva mentito ancora una volta dicendo che il problema non era più il maestro Gennaro. Mi dava

fastidio anche l'idea che il ballerino potesse essere più bello di me. Infatti,

se era incolto e narcisista, per quale altra ragione poteva piacerle?

Sembra un ragionamento inoppugnabile, ma non lo è: le cause per

le quali ci va una persona non sono tutte di ordine razionale; uno

ci può piacere per quello che evoca, in modo che può non dipendere direttamente  da quello che è.

 

Breve Excursus su Marisa

Oggi la sorella della ragazzina che adoravo come una dea bambina poi giovinetta quando eravamo scolari al Lucio Accio di Pesaro poi al ginnasio, mi ha mostrato la foto  di Marisa  ventenne. Era davvero tanto bella quanto la ricordavo o anche di più. Poi era bravissima a scuola. Era seria. Dopo il liceo l’ho persa di vista. Lei ha studiato a Urbino e insegnato a Pesaro sempre alle medie siccome non era punto ambiziosa. Io sono andato a Bologna poi a Debrecen, poi a Padova, poi di nuovo a Bologna. Una vita variopinta. Ho fatto un po’ di carriera, neanche tanta. Luci e ombre, opere buone e lazzaronate.  Se ci fossimo frequentati da insegnanti  lei poteva essere la “brava collega” che le zie auspicavano quale moglie per me. Forse c’era questo pensiero dietro il mio innamoramento adolescenziale e l’apoteosi di quella tredicenne deliziosa. Era davvero bellina assai e brava per giunta.  A Carmignano di Brenta non c’era una collega che mi piacesse e interessasse altrettanto. Se ci fosse stata Marisa l’avrei corteggia in ginocchio presentandole fiori nuziali. Non so quali siano a dire il vero ma l’avrei chiesto a lei.

Ma no, il matrimonio non era roba fatta per me.

Il destino del resto ci ha spinto per strade divergenti e diverse. E così sia. Ora sarei vedovo e non allegro. Invece Marisa  è diventata un’amicizia celeste cui offrirò sacrifici e rivolgerò tante preghiere  chiedendole  di aiutarmi, sicuro che lo farà. Era anche buona.

Fine dell’ excursus.

 

 Il 15 giugno successivo, quando oramai Ifigenia era non solo smarrita ma anche perduta, vidi l'ex rivale saltellare per strada, da ballerino eterno  qual era. Ebbene, potei constatare che quell'uomo non era più giovane né più prestante di me.

 

Il 19 marzo intanto dissi a Ifigenia: "Ora devi decidere tu chi preferisci tra me e lui". Anche queste parole, dette sperando in una risposta consolatoria

rispetto a quanto stavo pensando, non sono  razionali, poiché Gennaro poteva non avere alcuna intenzione di amare la  ragazza, per quanto assai appetitosa.

Poteva essere un omosessuale, o innamorato di un'altra, o avere

mille altri motivi per non volere Ifigenia. Ma io la

sopravvalutavo, siccome avevo bisogno di stimoli enormi da lei.

Dovevo credere che fosse in grado di ottenere qualsiasi cosa e

persona potesse servirle o farle piacere. Allora, per essere scelto

da quella ragazza, bisognava mettersi in condizione di offrirle la

cosa di massimo pregio su questa terra: un'opera d'arte, un grande

romanzo capace di educare un popolo intero. Un altro

ragionamento che non filava: Ifigenia non era d'accordo con

me su quale fosse il valore più alto. Oggi credo che per lei fosse il successo e i conseguenti quattrini.

Quel giorno conclusi dicendole:"Deciditi. Io non sono senza

difetti, ma terrò fede alle parole dette. Adesso ti porto

a casa tua, o altrove se preferisci. Non voglio condizionarti, né

influenzarti. Questa storia va avanti da troppo tempo oramai.

Quando avrai deciso, telefonami. Starò a casa".

Rimasto solo, credetti che volesse tornare con me. Altrimenti non

avrebbe chiesto il mio aiuto. Questo pensiero si rivelò razionale e

reale in quanto venne confermato dai fatti.

Telefonò alle sette. Chiese se la portavo a cena sul monte delle

formiche. Durante il tragitto ragionammo di scuola e di esami. Poi

parlammo di noi e litigammo. Ifigenia sosteneva che la lunga

relazione con me le aveva fatto perdere spontaneità e naturalezza:

troppi libri, troppo cervello, troppi arzigogoli. Ribattevo che il mio

vivere, tutt'al contrario, tendeva all'equilibrio tra l'attività corporea


e quella mentale, all'armonia della ragione egemone con l'istinto

che va potenziato ma anche imbrigliato e diretto nella direzione

decisa dal lovgo"1 l’ auriga  che regge le briglie

Il mio studiare e pensare non sono eccessivi, spiegavo a lei e a me stesso, né

mortificanti poiché non ostacolano l'accrescimento

dell'intera persona, ma lo regolano, lo fanno procedere

con metodo, cioé  sulla strada- oJdw`/- dell'ordine e dell'efficienza.

Praticavo abbastanza esercizio corporeo per non sentirmi e non

apparire una  talpa di biblioteca, un pedante mezz’orbo; anzi, se lei avesse avuto la forza e la voglia di partecipare alla mia ascesi somatica, avrei

incrementato ancora tale cosmesi davvero efficiente e l’avrei  praticata con gioia sempre maggiore. Studiavo con un’ apertura e una dirittura mentale  che non mi lasciava ingobbire sul telaio del sapere avulso dalla sapienza che potenzia la vita. Non era da me  intisichirmi lo spirito

ripetendo  una congerie di nozioni stantie.

Rispose che non mi accusava di sedentarismo fisico o intellettuale,

ma di inibirle la naturalezza con il mio essere rigido, unilaterale e

intollerante. Le chiesi di essere meno generica:"In sostanza che

cosa ti impedisco di fare?"

“Di andare a letto con quello” - pensavo.

Rispose: "Tu non mi sopporti, o per lo meno mi biasimi, quando

sono agitata da sentimenti diversi, neanche necessariamente

contraddittòri".

– “Ci siamo”, pensai.

"Adesso per esempio, mi stuzzica l'idea di un'avventura con

Gennaro".

– “Hai visto?” , mi dissi.

"Però io amo te", continuò", e tu purtroppo vuoi impormi un aut

aut che..."

"Certo", la interruppi, "che cosa pretendi? Di essere la compagna

mia e l'amante di un altro? Di avere tutti i diritti su me e nessun

dovere nei miei confronti, nemmeno quello basilare della fedeltà

che anzi dovrebbe essere un dono gratuito, come l'amore? Tu vuoi

che ti metta a disposizione tutte le mie energie mentali e corporee,

mentre quanto di ottimo hai, la tua vitalità amorosa, dovrei

dividerla con quel tanghero? Del resto, al di là del nostro

caso particolare, io penso che una persona, se vuole combinare

qualcosa di buono, debba fare delle scelte: individuare gli scopi

più o meno  importanti tra quelli per i quali non è sprovvisto di

mezzi, quindi volere coglierli con determinazione assoluta,

evitando qualsiasi ostacolo possa impedirne il conseguimento. Per

esempio, se decido di essere snello e forte, non mangio più del

necessario, e mi tengo in esercizio; se voglio acculturarmi devo

leggere libri buoni per anni; se mi preme essere lucido, non bevo

superalcolici, se voglio respirare a pieni polmoni, non fumo. E così via.

Tornando a noi, come puoi credere che se andrai a letto con un

secondo uomo, non distruggerai il nostro rapporto, qualunque esso

sia, e il rispetto che l'uno ha ancora per l'altro?"

"Ma con Gennaro  sarebbe solo uno sfizio", replicò.

Allora dissi:"Ascolta Ifigenia: la tua avventura per me invece

sarebbe un brutto dolore siccome io per mia disgrazia sono

innamorato di te".

“Invero per qualche mia aberrazione-pensai- e perché ho bisogno di vivere

questa tragedia per raccontarla,  ma tu, come hanno detto giustamente diversi ex alunni, non vali il mio amore, non vali niente o nient'altro che la

bella materia di cui sei fatta: 53 chili ben messi”.

"Adesso", ripresi a parlare,"siamo completamente sfasati. Non

capisco per quale ragione tu continui a cercarmi".

Non rispose. Durante il silenzio mi domandai:" Per non essere

troppo geloso e inelegante2 dovrei sopportare i capricci della

mia  invereconda ragazza, se sono istantanei e sporadici?  Devo accontentarmi che usi il preservativo con gli altri e poi si lavi ben bene prima di tornare da me?" Mi risposi di no.

Quindi cambiammo argomento. Poco dopo terminammo la cena.

Uscimmo dal locale nella notte fredda, quasi ancora invernale. La

luna illuminava un mare di nebbia che fluttuava contro i fianchi

scoscesi del monte, quaranta metri sotto di noi. Sembrava di stare su

un'isola alta in mezzo alle onde del mare canuto.

 

Tornammo a Bologna senza parlare. Pensavo:" Non mi ama. Se

può essere indecisa tra me e un'avventura, se parla tanto

cinicamente, vuol dire che nel nostro rapporto trova soltanto un

appoggio, un aiuto per l'esame di recitazione, e, tutt'al più, un sostegno

di cui pure ha bisogno per concludere senza gravi insuccessi

questa fase della sua vita. Mi usa. Ora la porto a casa, poi non

voglio vederla più". Ero così addolorato da dimenticare il mio

romanzo e che tutta la pena proveniente da quella ragazza doveva

giustificarsi contribuendo a formarlo. Di questo però si occupava

il destino. Infatti, come fummo nei pressi di casa mia, mentre

ero intenzionato a procedere verso la sua, Ifigenia mi

accarezzò e mi chiese se la facevo salire.

"Va bene", risposi. Appena entrati, mi abbracciò e mi strinse a sé,

senza dire parola."Tutto istinto", pensai.

Facemmo l'amore sul divano dello studio, in fretta e furia, senza

spogliarci, quasi senza baciarci, siccome era tardi e anche perché

c'era del marcio tra noi.

Subito dopo l'orgasmo semi strozzato, proposi:"Ricominciamo

tutto da capo!". Non rispose. Sentiva che non mi amava, ma

pensava di dovermi utilizzare ancora . Io credevo

di amarla, e soffrivo di non essere contraccambiato, però mi era

venuto in mente che avevo bisogno di soffrire altre pene per

raccontare meglio la nostra storia, emblematica di un'epoca guasta.

Eravamo degni l'uno dell'altra. "Pure in primavera, la pianura

padana è in mezzo alla nebbia buia che copre anche noi", pensai

mentre la accompagnavo

a casa. Quando fummo arrivati disse:"Telefonami domani durante l'intervallo".

"Va bene" risposi, e la salutai senza cordialità.

Ce l'avevo con lei poiché aveva osato posporre il  nostro amore più che biennale a un'avventura, o peggio a uno "sfizio" di cui bearsi  in un letto con il ballerino Gennaro.

Speravo di trovare presto la forza necessaria per non amarla più,

per non sentirne il bisogno. Ifigenia infatti mi

teneva in pugno, e non aveva intenzioni buone, anche se durante la

cena aveva detto che a cinquant'anni sarei stato un grand'uomo.

“Peccato -aveva aggiunto- che allora io non sarò più tanto

giovane quanto le amanti che piacciono a te”. Un contentino da poco.

 

Note

 

1

Il lovgo~ è il pensiero che informa la parola; la facoltà distintiva dell'uomo dai bruti,

"quae natura prona atque ventri oboedientia finxit", che la natura foggiò chini a

terra e schiavi del ventre, come scrive Sallustio all'inizio della monografia su

Catilina.

2

Cfr. Ovidio: “Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx” (Amores, III,

4, 37), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende.


 

 

 

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Ifigenia CC. Il metodo comparativo in una storia di amore, di scuola, di educazione.


 

Passai per l'aia dove nel giugno del 1979 facemmo l'amore. Ifigenia aveva

le mestruazioni con le quali arrossò le sue cosce e il mio volto adorante.

L'aria bruciava, il cielo sembrava un oceano di luce, la terra era

bionda di grano, ingemmata da sanguigni papaveri. La ragazza mi

rese partecipe di tanto fervore di vita che finallora avevo sempre

osservato con desiderio, da fuori. Se fossi riuscito a raccontarlo

nel mio romanzo, avrei scandalizzato i bigotti, i “normali”  malevoli verso le

donne e la vita, i frustrati vari, ma avrei composto un inno in lode delle

femmine umane e dell'artista divino che le ha create così come

sono.

Quando si vivono esperienze mirabili che suscitano meraviglia in chi ne ascolta o ne legge il racconto anche i fatti incredibili possono essere non del tutto privi di fede.

 

Arrivai vicino alla bianca Volkswagen. Mi fermai a fissare la parte

occidentale del cielo nel punto da dove avevo osservato il sole al

tramonto in un pomeriggio remoto dell’ottobre o novembre del 1978, mentre Ifigenia si toglieva la tuta per indossare una camicia e una gonna. Il sole al tramonto la illuminava.

Nuvole oscure invece nel marzo del 1981 coprivano tutto. Pregavo il dio di farsi vedere dandomi un nuovo segno di assenso al desiderio di avere un'altra possibilità con la splendidissima giovane donna.

Nel tempo più antico della nostra storia , mentre guardavo il santo

volto di luce 5 che tramontava ed ella si stava cambiando alle mie spalle, le avevo domandato:"Qual è signorina, secondo te, la parte più bella del tuo

corpo fiorente?"

"Il seno", aveva risposto.

Forse perché era sbocciato da pochi anni e stava fiorendo ancora.

Mentre osservavo quel tramonto remoto, mi sembrò di vedere il petto

della radiosa fanciulla specchiarsi nella fiamma che nutre la vita 6

 facendola brillare di nuovo fulgore, tanto che il tenue cielo del

pomeriggio autunnale ne trasse colore e vigore.

Il 16 marzo fissavo le nuvole dell'occidente invocando la luce che annunciasse salvezza: a lungo la pregai, finché un raggio uscì dallo

squarcio nelle invide nubi, come un bisturi lacera un corpo per

togliere un male curabile. Non riuscii a vedere l’intero volto del primo fra tutti gli dei che calava tra le colline, ma trassi comunque ottimi auspici dalla visione santa dell’emisfero che vinceva le tenebre del paesaggio e le mie.

Tornai a Bologna pensando che in quel tempo lontano non avevo compreso il

valore prezioso dell'incontro pur tanto desiderato, e preparato con

tre anni di studio feroce, nonostante avessi visto il

seno della creatura che mi si affidava specchiato nel sole.

Non le avevo chiesto quali fossero i sentimenti suoi, i pensieri, le

attese di giovane donna.

Con questa omissione delinquenziale e demente, oltretutto mi ero comportato da perfetto imbecille:avevo perso l'occasione di imparare dal vivo più di quanto avrei potuto apprendere da mille volumi. Infatti

c'è più vita e sapienza nel petto di una ragazza che in tutti i saperi

del mondo.

Mi ero domandato soltanto se quel corpo fiorente valeva il rischio

che avrei corso portandolo nel grande letto di casa mia per godermelo

là, da solo con lei.

Soltanto molto più tardi avevo compreso che l'amore offerto dalla

ragazza, bella bruna e vivace, era la ricompensa terrena, eppure

mandata da Dio, del grande lavoro invece penalizzato dal piccolo branco- boskhvmata7- dei colleghi malevoli, invidiosi  che avevano fatto pressione sul nuovo  preside succeduto al gentiluomo Cazzani perché mi togliesse due terzi dei miei allievi confinandomi  in una quarta  ginnasio. Avevo

 sofferto di quella sottrazione culturale e politica più che goduto

dell'assenso divino concretizzatosi nella fanciulla. Me ne dolevo e

pentivo, siccome avevo capito, e forse non era già troppo tardi.

Infatti raccontando poeticamente la varia vicenda del nostro

rapporto tormentato, probabilmente avrei raggiunto il duplice

scopo di creare un'opera educativa per milioni di persone e di riconquistare Ifigenia.

 

Note

5

Cfr. Sofocle, Antigone, vv. 879-880.

6

Cfr. Sofocle, Edipo re, v. 1475.

7Cfr. Euripide, Baccanti, 677-678,  e  A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, trad. it. Adelphi, 1981, p. 178,

Tomo I.

 

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