Il pomeriggio del 9 agosto andai in piscina con la bella
ragazza serba. Giulia era formosa e venusta in qualunque modo fosse vestita; in
costume da bagno però era una specie di Afrodite slava: alta e snella senza
essere secca né mascolina, con una piccola testa folta di capelli biondi che le
incorniciavano un viso ovale, minuto e illuminato da due grandi occhi cerulei.
Inoltre era giovane molto.
“Eh sì, eh- disse Fulvio una
volta-la donna deve essere giovane!”
Stavamo fantasticando al buio
nello studio tra le 2 camere della stanza numero 4 del secondo collegio.
Quindi l’amico accese un
fiammifero, si illuminò il volto, poi con sguardo ironico e malizioso aggiunse:
“l’uomo no!”.
Ricordarlo me lo fa sentire
ancora vicino. Dentro di me Fulvio è ancora vivo, come le persone più care e
preziose per questa mia vita mortale.
Ora devo mettere una
citazione antica per non cadere nel soggettivo e per ribadire che i classici parlano
di noi, delle nostre esperienze e ce le chiariscono. Al contrario i cattivi
scrittori confondono, complicano, imbrogliano. Perché non capiscono e non amano
la vita. Proprio come le persone cattive.
Ecco dunque la citazione
tratta dall’Oreste di Euripide
tradotto da me parola per parola, con rispetto e con amore. Perché anche gli
autori sui quali ci siamo impegnati, ci diventano cari quanto gli amici.
Euripide e Fulvio, due carissimi
amici.
Il vecchio aedo che sono continuerà a ricordarli,
a citarli, nei suoi canti.
Oreste dunque dice queste
parole riferendosi a Pilade che gli ha offerto il proprio aiuto
“Questo è quel precetto
famoso: procuratevi degli amici, non solo la parentela/,
poiché un uomo che nel
carattere si è fuso insieme, anche se è un estraneo,/
è migliore di diecimila
consanguinei” (804-806).
La fusione delle anime è la
quintessenza dell’amicizia e dell’amore.
Ebbene la Venere di Novi Sad non
aveva ancora compiuto venti anni.
Se ci fosse stato Fulvio mi
avrebbe esortato ad acciuffarla come si deve fare con il kairov", il momento opportuno,
l’occasione che è calva di dietro.
Calvo e bastonato invero
rischiavo di rimanere io continuando a soffrire per una lettera che non
arrivava e pur se fosse arrivata sarebbe stata lordata dalle menzogne.
Ma Fulvio purtroppo non c’era
e io, desolato com’ero e mentalmente suggestionato, incantato da quella Circe,
pensavo che ci fosse il massimo di forza
e di vita nella sua epidermide bruna, nei capelli violacei, negli occhi neri
come prugne, nella bocca rossa, ridente e fresca come i lamponi che coglievo e
succhiavo nei boschi di Moena da bambino.
Di quella giovane donna allora
ricordavo solo i momenti migliori: quando tendeva le braccia verso di me come
una rosa in boccio si stende sul proprio stelo ai soffi fecondatori dell’aria
già tiepida.
Nella bionda lì presente non
trovavo una fonte di vita altrettanto sapida e deliziosa per il mio gusto che
le finlandesi avevano raffinato con i loro sapori forti e delicati.
Poi loro tre sono sparite
fisicamente e Ifigenia dopo Debrecen non mi appariva più come un miracolo, anzi
non mi piaceva più.
Una relazione a casa l’aveva
anche Giulia: lei però non aveva giurato né promesso al suo amante che non
avrebbe fatto l’amore con altri, poiché-diceva-“non si può mai sapere che cosa
succederà mentre camminiamo sulla corda del destino, tesa sopra l’abisso della
morte che nullifica gli impegni, tutti:
quelli presi e pure quelli non presi”.
Il discorso si fece
interessante e lo riferirò poiché riguarda molte persone, se non proprio tutte.
Io intanto pensavo che
Ifigenia, poiché non scriveva, parlava nella stessa maniera a un corteggiatore
sulla spiaggia adriatica o sui viali, per stuzzicarlo e provocarlo per trarne e
dargli piacere, commettendo, allora credevo, un’ingiustizia grave nei miei
confronti. Ora penso che tale diversità di comportamento non era un’
ingiustizia inflitta alla mia persona, anzi era una discrepanza che mi avrebbe
fatto capire come fosse inopportuno e deleterio che io sprecassi la mia
fedeltà, i miei sentimenti e il tempo buono della vita per una donna con la
quale avevo poco in comune. Da allora ho compreso di dover rinunciare al pathos
quando non riceve l’assenso del logos, cioè dei fatti reali perché davvero ciò che
è razionale è reale pur se non tutto il reale è razionale. In ogni caso l’amore
di Ifigenia per me non era reale e il mio per lei non era razionale. Doppia discrepanza
dunque.
E’ andata bene così, come
diceva spesso Fulvio che mi voleva bene contraccambiato
Anche ora che sono vecchio e
ho vissute parecchie altre storie diventando sempre più lucido e disincantato,
ora che ho superato il minimo sindacale
amoroso che mi ero avevo proposto1, credo tuttavia, come allora, che un amante
impegnatosi a mantenere la fedeltà, debba farlo. Niente del resto ci obbliga a
prendere impegni che non siamo sicuri di onorare.
Quando tornai da Debrecen,
nell’agosto del 1974, arrivato in Italia dissi a una brava ragazza triestina
con la quale avevo intrecciato una relazione nel precedente maggio odoroso, che
mi ero innamorato di un’altra, cioè di Päivi una finlandese che era pure rimasta incinta.
La giovane donna italiana mi
disse: “tu non sei un uomo, sei una prostituta”, con tutto che non le avevo
giurato né promesso la mia fedeltà.
Dopo qualche mese di
amicizia, ci perdemmo di vista. Diversi anni più tardi tuttavia la madre mi
telefonò dicendo che la ragazza era
morta. Temevo di venire apostrofato con ira. Invece la signora mi chiese di
andare a pregare sulla tomba di Gianna, si chiamava così, siccome le aveva
detto che ero stato io l’unico uomo per bene che avesse incontrato in vita sua.
Difatti non le avevo mentito. Non lo faccio, siccome non lo ritengo degno di
me.
Ma torniamo al 9 agosto del
1979. Dissi a Giulia che le emozioni vane vengono cercate dall’orrore del vuoto di chi non è soddisfatto di sé e del
compagno. La bella ragazza mi
rivolse uno sguardo irritato: credo che
le avesse dato fastidio non ricevere una corteggiamento che magari avrebbe
respinto, però non riceverlo dopo avermi dato l’occasione di provarci, aveva
disturbato il suo narcisismo.
Tanto che disse: “La tua è
una visione meschina e obsoleta dei rapporti amorosi”
“Sì è
arretrata-risposi-risale almeno a Platone”
“Risalirà a Platone-replicò
con disprezzo appena dissimulato-ma io non la condivido. E’ debole e falsa. Anzi,
credo che nemmeno tu ne sia intimamente
convinto e che la usi per puntellare la tua fiacchezza attuale: tu giri intorno
all’argomento con tante parole, ma il fatto è che hai il terrore di venire
tradito e magari lasciato da una sulla quale hai basato la tua identità. Tu ne
aborrisci il terremoto e la rovina. Sei anche falso: santo come vuoi apparire, non ti sei mai
concesso delle avventure?”
“Sì, certo, anzi parecchie,
qui a Debrecen, in Italia e altrove. Ho folleggiato nel piacere anche io. Ma
quando non mi ero vincolato con alcuna promessa. Recentemente l’ho fatta
siccome ho prefeito l’amore con una donna sola a diversi rapporti con varie
amanti più o meno gradite.
La monogamia con una di raro
valore mi dà più della poligamia. L’ho praticata anche per fare numero: per
vanità”.
“La poligamia o la poliandria può essere
vissuta con molti amanti di raro valore”, rispose spiritosamente e non illogicamente
la bella.
“La monogamia-replicai-
chiede maggiore attenzione, rispetto,
riguardo, e la crescita avviene solo attraverso relazioni impegnative. Con i rapporti
superficiali cresce poco l’ esperienza, “small
experience grows”, per dirla con Petruccio di Shakespeare. La Poligamia è facile, come
la poliandria: richiedono troppo poco per essere accrescitive. La monogamia ti
dà più in quanto chiede di più. Come uno studio serio magari con traduzione e
commento rispetto a una lettura distratta”.
Giulia mostrava di sdegnare
tale posizione secondo lei arretrata, e, siccome significava anche “io non
voglio avere un’avventura con te”, smentiva la sua certezza di poter incantare
qualsiasi uomo, sicché questa Circe serba mi chiese di riaccompagnarla in
collegio usando un tono carico di antipatia.
Giunti nell’altrio, guardammo
se c’era posta: ebbene la mia fedeltà, teorizzata e praticata con devozione
ieratica, non ricevette alcuna mercede, mentre il lassismo almeno teorico di
quella ragazza fu ricompensato da una lettera. Giulia aveva saputo da Alfredo
che io aspettavo da diversi giorni con ansia
un espresso dalla mia compagna lontana, sicché mi salutò sbandierando la
sua busta bicolore e dicendo: “Ciao gianni, buona fortuna! Ti auguro di
ricevere posta da domani ogni giorno e di essere felice con la tua amata per
tutta la vita, Felice e contento fino a
cento e più anni!
Dopo sarai infinitamente beato nel paradiso dove andrai di sicuro,
fedele, puro e santo come sei stato qui sulla terra!”
Non le risposi. Ero nauseato.
Non di lei ma di Ifigenia e di me stesso che avevo creduto di vivere con questa
amante l’amore “che è palpito dell’universo intero”, mentre la prova della
lontananza di un mese aveva testificato la falsità di lei e rivelato la mia illusione,
rendendo ridicolo il rigore promesso e impiegato nel rispettare gli impegni che
mi ero sobbarcato tutti da solo.
“Le mie virtù devo offrirle e
consacrarle a Dio, chiunque egli sia”, pensavo.
Salìi in camera pieno di rancore
per la svolazzante fringuella, che poco prima avevo celebrato come un’eroina e
quale dea degna di venerazione
Bologna 2 maggio 2024 ore 11,
23, giovanni ghiselli
p. s.
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Nota 1
[1] Mi viene in mente un amico, un donnaiolo di Pesaro: quando lo incontro e gli chiedo “come stai,
stai bene?”, mi risponde sempre dicendomi quanto è salito il numero delle sue
amanti. Gli rispondo dichiarando il mio. Sono numeri simili ma lui ha quattro
anni meno di me, dunque è in vantaggio. Vorrei rifarmi ma è una gara dura.