Il ruolo del re. La posizione sociale della donna.
“Nell'epica greca arcaica basileuv" copre una serie di significati che vanno da "monarca" a "nobile, persona eminente" e traducendolo dovremmo evitare termini troppo specifici. Risulta chiaro dalla replica di Telemaco che quanto Antinoo intende considerare come patrwvïon per Telemaco è una forma di supremazia tra i nobili di Itaca, simile alla posizione di Alcinoo in rapporto ai dodici basilh'e" feaci ( VIII 390-391...)"[1].
Telemaco risponde che non è per niente un male essere re, ruolo che comporta ricchezza di beni e supremazia nell' onore (vv. 392-393). Mi sembra una definizione abbastanza chiara di questo ruolo che lascia perplessi gli interpreti. Sentiamo ancora Codino:" il termine "re" che siamo costretti ad usare, diciamolo una volta per sempre, va preso con forti riserve: la parola basileus , che designa il re nel greco classico, in Omero ha significati oscillanti, indicando tanto il capo di un esercito composto di forze alleate, o il reggente di una comunità "politica" vera e propria, quanto il capo di una casa o di una gente aristocratica, allorché l'aristocrazia si è già formata in seno alla comunità primitiva. Così nell'Iliade, dove tutti i capi nell'esercito acheo sono anche "re", Agamennone deve essere definito qualche volta "più re" degli altri (basileuvtero~ Iliade, IX 160, 392; cfr. Od. XV 533) o "il più re" di tutti ( basileuvtato~, Iliade IX 69)"[2].
Per commentare l'affermazione di Telemaco ("ouj me;n gavr ti kako;n basileuevmen", Odissea, I, v. 392) se ne può utilizzare una di Isocrate il quale nell'Elena (del 390) dopo avere premesso che Teseo considerava quelli che cercano di dominare con la forza i concittadini non capi ma schiavi e pèsti della città, aggiunge che il re di Atene " ejpevdeixen o{ti rJav/diovn ejstin a{ma turannei'n kai; mhde;n cei'ron diakei'sqai tw'n ejx i[sou politeuomevnwn"(34), dimostrò che è facile essere sovrani e nello stesso tempo non trovarsi peggio di quelli che vivono da cittadini alla pari.
In contrasto con l'apprezzamento del ruolo di re ricordiamo le parole dell' Adelchi di Manzoni al padre sconfitto e detronizzato:"Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è" (atto v).
Ebbene Telemaco spera che la riautorizzazione della sua famiglia possa ripristinare la gentilezza e la cortesia calpestate dai proci tracotanti. Comunque proclama: vinca il migliore, purché io torni ad essere padrone in casa mia.
Gli risponde il numero due dei proci, Eurimaco, che appare più diplomatico e astuto e prima di essere ucciso cercherà di attribuire tutte le colpe ad Antinoo (Odissea, XXII, 48). Per ora dice a Telemaco che nessuno vuole privarlo dei suoi beni, quindi gli pone domande sullo straniero sconosciuto che è fuggito come d'un balzo ("ajnaïvxa"", v. 410). Eurimaco dunque ha notato nell'ospite qualche cosa di inquietante, forse ha pure intuito alcunché di sovrumano. Telemaco aveva sentito con certezza la presenza del dio, ma, pur senza arrivare a mentire, non lo dice. Il figlio dell'astuto Odisseo non può essere schietto come se fosse prole di Achille: quel Neottolemo che nel Filottete di Sofocle è, al pari di suo padre, incapace di simulare e dissimulare (vv. 86 e sgg.).
Da questa riunione di popolo Jaeger deduce che "la comunità d'Itaca è retta, in assenza del Re, da un'assemblea popolare diretta dall'aristocrazia"[3].
Comunque nella reggia di Itaca continua la festa dei proci che si danno alla danza e all’amabile canto (eij~ ojrchstuvn te kai; ijmerrovessan ajoidhvn v. 421) e ci fanno pensare a una società spensierata e godereccia: tipo quella che appare negli affreschi della Creta minoica, a parte la snellezza del Principe dei gigli che tali ghiottoni non potevano avere: essi si divertivano e aspettavano che venisse la sera ("tevrponto, mevnon d j ejpi; e{spero" ejlqei'n", v. 422).
Più che criminali questi pretendenti sembrano vitelloni perdigiorno, degli oziosi dalle vite inutili e vuote. Scesa la sera, andarono a dormire nelle loro case e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato quando era giovanissima per venti buoi, e pertanto doveva essere stata anche bellissima, e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto, ed evitava la gelosia della moglie:"eujnh'/ d j ou[ pot j e[mikto, covlon d j ajleveine gunaikov"" (Odissea, I, v.433).
Euriclea, sebbene schiava, viene trattata con rispetto e affetto: “Omero, anche se naturalmente non pensa neppure alla possibilità di fare a meno degli schiavi, parla sempre di essi con tenerezza mista a imbarazzo. La schiavitù è per lui qualcosa di terribile che può capitare a chiunque[4] e può ‘portar via ad un uomo metà della sua umanità’.
Gli eroi sono gentili con gli schiavi Eumeo e Euriclea, come con i loro pari”[5].
La posizione sociale della donna.
Ho citato il verso 433 poiché ci dice qualche cosa sulla condizione della donna nell'Odissea . Queste parole si possono confrontare con il consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: di chiedere aiuto non al re Alcinoo ma alla regina Arete se vuole vedere il dì del ritorno (vv. 310-311). Alta dunque è la considerazione e la situazione della donna nei poemi omerici: anche nell'Iliade , Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare caro il tradimento della sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.)
"La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[6]. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la preghiera[7]. Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[8]. I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[9], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[10]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione. Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea , che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[11].
Eva Cantarella non condivide questa visione e riporta dei versi che contraddicono quelli citati sopra.
“La donna omerica non è solo subalterna, ma è anche vittima di un’ideologia inesorabilmente misogina. Sotto il paravento di un affetto paternalistico, peraltro assai fragile, l’eroe omerico diffida della donna, foss’anche la più devota e sottomessa. Ulisse, tornato a Itaca, aspetta di aver ucciso i Proci. Prima di rivelarsi alla moglie, egli si rivela a Telemaco, a Euriclea, a Eumeo: a Penelope, invece, solo dopo che la vendetta è stata compiuta. E non a caso
…con la donna non essere mai dolce,
non confidare ogni parola che sai,
ma dì una cosa, e lascia un’altra nascosta
gli aveva consigliato l’ombra di Agamennone nell’Ade[12].
Agamennone (ucciso dalla moglie Clitennestra), aveva, questo è vero, i suoi buoni motivi per pensarla così. Ma dalla sua esperienza personale aveva tratto una generalizzazione:
Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore:
nascosta, non palese, alla terra dei padri
fa approdare la nave: è un essere infido la donna[13].
-ejpei; oujkevti pista; gunaixivn-
Neanche Penelope, dunque (che, pure, Agamennone loda per la sua fedeltà), è al riparo dal sospetto”[14].
Telemaco dunque va a letto assistito da Euriclea, e il primo canto si chiude con il giovane che pensa al viaggio ispirato da Atena.
Bologna 9 maggio 2025 ore 16, 29 giovanni ghiselli
p. s.
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[1]S. West, op. cit., p. 245.
[2]Introduzione a Omero , p. 21.
[3]Paideia 1, p. 57.
[4] Cfr Euripide:" oujk e[sti qnhtw'n o{sti" e[st' ejleuvqero"-h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch""( Ecuba, vv. 864-865), non c'è tra i mortali chi sia libero: infatti siamo schiavi delle ricchezze oppure della sorte. (Ndr.)
[5] G. Murray, Le origini dell’Epica Greca, p. 29.
[6] Odissea, VI, 71-74.
[7]Per il suggerimento di Nausicaa, Odissea, VI 310-315. Cfr. VII 142 sgg. Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: VII, 66-70.
[8] Odissea, I, 330 ss.; XVI, 409-451; XVIII 158; XXI, 63 ss.
[9]La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612).
[10]Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.
[11]Jaeger, Paideia 1, pp. 63-64.
[12] Od., 11, vv. 441-443.
[13] Od., 11, vv. 454-456.
[14] Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, p. 46.
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