giovedì 22 maggio 2025

Omero XXV parte. Odissea inizio del IV canto. Vari tipi di banchetto.


 

All'inizio del quarto canto, a Sparta troviamo un banchetto.

 Era un pranzo di nozze che Menelao offriva a molti amici poiché si sposavano i figli: Ermione avuta da Elena che si maritava tra i Mirmidoni con il figlio di Achille, mentre Megapente, natogli da una schiava, sposava una spartana. Era questo un festino "retto", ossia non rovesciato: i convitati banchettavano "terpovmenoi"(v. 17), con gioia; tra loro cantava un aedo divino, suonando la cetra ("formivzwn", v. 18) e c'erano anche due danzatori che volteggiavano nel mezzo (" ejdivneuon kata; mevssou"", v. 19). Data l'ortodossia di questo festino dove si banchetta con gioia i due ragazzi Telemaco e Pisistrato appena arrivati vengono accolti ospitalmente.

 

In effetti Menelao non esita ad ospitare i due stranieri, e anzi rimprovera lo scudiero che gli espone il suo dubbio se accoglierli o mandarli da un altro. Il motivo del dovere dell'ospitalità è la gratitudine che nel nobile non deve venire mai meno; una riconoscenza oltretutto generale o umanistica e religiosa: anche noi abbiamo fruito dell'ospitalità e abbiamo confidato in Zeus, ricorda il re di Sparta.

In questi anni di imbarbarimento dei rapporti umani, un'età certo non migliore di quella che Fichte definiva della "compiuta peccaminosità" ovvero della libertà vuota, del feroce conflitto che disgrega ogni ordine, della lotta egocentrica e spietata di tutti contro tutti"[1], noi educatori dovremmo insegnare ai giovani che cosa sia la gratitudine, che cosa la generosità e la compassione, e pure a mettersi un poco nei panni degli altri, invece di guardare soltanto al proprio utile immediato e  di stare sempre dalla parte del più forte.

 

 I due ragazzi antichi dunque sono introdotti nel palazzo di Menelao dove c'era come splendore di sole o di luna (hjelivou ai[glh hje; selhvnh~. 45). Si tratta insomma di una reggia molto più ricca, grande e bella di quella di Itaca."Non mancano...tratti favolosi; la descrizione dello sfarzo regale alla corte di Menelao o nel palazzo del ricco principe dei Feaci, che contrasta con la sobria semplicità paesana nella sede di Odisseo, evidentemente trae ancora alimento da antichi ricordi del fasto e dell'amore dell'arte di grandi sovrani e di possenti regni dell'epoca micenèa, se pure non hanno influito qui modelli orientali contemporanei"[2].

 

Gli ospiti vennero fatti lavare, si rivestirono con abiti puliti e sedettero sui troni, accanto all'Atride (v. 51). Quindi vennero serviti e Menelao li invitò a mangiare prima di dire chi fossero: tanto era evidente che erano razza di re, alunni scettrati di Zeus (vv. 63-64).

 

Jaeger sostiene che "condizioni della cultura aristocratica sono la sedentarietà, la proprietà terriera e la tradizione"[3].

E’ doveroso aggiungere "lo stile" che fa riconoscere il nobile a prima vista. E' soprattutto fatto di generosità e cortesia non disgiunte da schiettezza, lealtà e coraggio. Telemaco veramente compie un atto non correttissimo parlando, quasi in un orecchio, a Pisistrato per esprimergli il suo stupore  davanti a tante ricchezze. Mi sembra più aristocratica la reazione di Solone davanti allo sfarzo di Creso in Erodoto (I libro).

Menelao comunque ode il ragazzo  che aveva assimilato la reggia di Sparta a quella dell'Olimpio e replica signorilmente rifiutando il paragone:"cari figlioli-dice- di certo nessuno dei mortali potrebbe gareggiare con Zeus ("Zhni; brotw'n oujk aj;n ti" ejrivzoi", v. 78) poiché le sue ricchezze e le sue case sono immortali; forse qualcuno degli uomini potrebbe misurarsi con me quanto a ricchezze. La gara contro gli dèi n è una buona e[ri~.

 

Il rito del banchetto. Il festino e l'antifestino. Il 'festino di magnificenza[4] e il damnum  secondo lo spirito contadino e la preoccupazione giuridica dei Romani. I simposi dei maleducati secondo Platone.

 

 Qui a Pilo ogni azione ha  un significato religioso, fin dal momento dello sbarco di Telemaco, quando Nestore e i figli sacrificavano preparando il banchetto, ben diverso da quelli dei proci irreligiosi appunto.

 Secondo K. Kerènyi "il pasto antico-quello dei Greci, degli Etruschi, dei Romani-non è mai puramente materiale e formale: esso è sempre riferito a una presenza divina, a uno o più partecipanti spirituali che lo godono insieme con i banchettanti umani, e appunto perciò esso diventa una festa pienamente realizzata"[5].

 In seguito Nestore guidò i figli, i generi e l'ospite alla sua bella dimora dove libarono ad Atena. Poi andarono a dormire: i figli sposati nelle loro case; Telemaco e il ragazzo Pisistrato rimasero nel palazzo del re, sotto il portico echeggiante (v. 399).

 La mattina successiva Nestore e i figli compirono il voto ad Atena sacrificando la giovenca con le corna rivestite d'oro, poi banchettarono.

Questo mangiare successivo al rito religioso sembra anticipare l'agape cristiana, il banchetto d'amore che segue alla cerimonia. Ne ricavo notizia dalla famosa lettera di Plinio il Giovane che descrive i costumi dei Cristiani in una lettera Traiano:"Quibus peractis morem sibi discendendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen et innoxium " (X, 96, 7) compiute tali cerimonie, avevano l'abitudine di andarsene e di riunirsi un'altra volta per prendere del cibo, comunque ordinario e innocente. Anche il cibus  di Pilo è sostanzialmente promiscuus, innoxius  , e nobilitato dai buoni sentimenti di quanti partecipano a questa comunione. Questo è il banchetto piacevole, legittimo e perfino santo: insomma il banchetto umano; ma esiste anche quello disumano praticato dal Ciclope e dai Lestrigoni. Questi giganti catturano gli stranieri, gli uomini e "se li portano a casa per farne dei "festini privi di gioia" (ajterpeva dai'ta[6]), altrimenti detti antifestini, perché ciò che caratterizza il festino umano è proprio che il condividere, daîta , è inseparabile dal térpein . Invece di accogliere gli stranieri con un dolce festino, i Lestrigoni li mangiano; improvvisamente quei festini mancano di dolcezza, non possono essere il luogo della sociabilità. Tutto ciò rivela una spaventosa coerenza: la vita degli antropofagi è dura. I Lestrigoni ignorano le dolcezze del banchetto e il buon odore della carne cotta"[7].

Cfr. L’VIII episodio dell’Ulisse di Joyce: I Lestrigoni Il pranzo.

 

Leopold Bloom osserva gente che si rimpinza e pensa: “Fuori. Non posso soffrire i porci a tavola”232. Out I hate dirty eaters 151

 

L'atto del mangiare insomma deve avere per lo meno una sua dignità. Ateneo nota che anche la preparazione del cibo non è cosa disdicevole per un eroe: opportunamente Omero, rappresentando gli eroi, li introduceva sempre nell'atto di mangiare le carni e prepararle da sé. Infatti non ha nulla di ridicolo né vergognoso vederli cucinare e cuocere ("ouj ga;r e[cei gevlwta oujdj aijscuvnhn ojyartuvonta" aujtou;" kai; e{yonta" oJra'n" (Deipnosofistaiv, I, 18 b).

Infatti Odisseo afferma di non avere rivali nel destreggiarsi in cucina. Queste parole si trovano nel XV canto, dove Ulisse, travestito da mendicante, dice a Eumeo: non c'è altro mortale che potrebbe gareggiare con me nell'accumulare bene la materia per il fuoco, spaccare la legna secca, fare da scalco, arrostire e versare il vino ("daitreu'saiv te kai; ojpth'sai kai; oijnocoh'sai"(v. 323). Poi veramente il finto mendicante aggiunge che questi sono servizi prestati ai signori dagli umili, ma di fatto l'eroe sapeva compierli.

 

Il banchetto può significare anche spesa e addirittura danno. Queste accezioni vengono considerate e spiegata da Emile  Benveniste (1902-1976)  che parte dal latino daps  "banchetto", appunto. "Questa parola fa parte di un insieme etimologico ben caratterizzato dalla sua forma, ma con significazioni divergenti. Al di fuori del latino, la radice si ritrova in greco in davptw con un senso più generale, 'divorare', ma anche in forma nominale che si associa strettamente a daps  malgrado la differenza apparente: dapavnh, "spesa"...vi si ricongiunge anche il lat. damnum <*dap-nom...Daps  è un termine del vocabolario religioso...Anticamente, in epoca storica, daps  ha il senso di 'banchetto offerto agli dei, festino di cibarie'. La daps  è descritta in Catone, De agricultura , con un'espressione caratteristica del vecchio vocabolario religioso del latino: dapem pollucere  'offrire un banchetto sacro'; questo termine arcaico pollucere  si usa per i festini molto costosi offerti agli dei: polluctum . D'altronde, diverse testimonianze insegnano che daps  è associato a nozioni di abbondanza, di grandi spese, di offerte generose. Soprattutto, l'aggettivo dapaticus , l'avverbio dapatice , forme obsolete raccolte e citate da Festo[8]: dapatice se acceptos dicebant antiqui, significantes magnifice, et dapaticum negotium amplum ac magnificum  ' gli antichi dicevano che erano stati ricevuti dapatice , che voleva dire sontuosamente'...In greco dapana'n significa 'spendere', dapavnh è una 'spesa fastosa'; in Erodoto, il termine si applica a spese magnifiche. Gli aggettivi gr. dayilhv", lat. dapsĭlis  (calco sul greco) si applicano a ciò che è abbondante, fastoso...Si ritrova così in indoeuropeo una manifestazione sociale che nel linguaggio degli etnografi si chiama il potlach : esibizione e distruzione di ricchezze in occasione di una festa. Bisogna mostrarsi prodighi dei propri beni per provare in quanto poco conto li si tenga, per umiliare i propri rivali con lo spreco istantaneo di ricchezze accumulate. Un uomo conquista e mantiene il suo rango se supera i suoi rivali in questa spesa sfrenata...Ma si tratta di nozioni e di termini arcaici, che ormai si cancellano. In epoca storica sussiste solo damnum  col senso derivato da 'danno subìto, ciò che viene tolto con la forza da quello che uno possiede'. E' la spesa alla quale si è condannati dalle circostanze o da certe condizioni di diritto. Lo spirito contadino e la preoccupazione giuridica dei Romani hanno trasformato la nozione antica; la spesa di fasto è vista ormai come spesa in pura perdita, e questo costituisce un danno. Damnare  è provocare un damnum  a qualcuno, operare un prelievo sulle sue risorse; è da qui che viene la nozione giuridica di damnare  'condannare'."[9].   

Concludo riferendo Platone a proposito dei simposi della

gente maleducata che rumoreggia a tavola (come fanno i proci), o comunque gradisce quanto ostacola la conversazione. Il personaggio Socrate nel Protagora di Platone afferma che le persone mediocri e volgari, per incapacità di parlare tra loro durante i simposi a causa della loro mancanza di educazione, si intrattengono tra loro attraverso la voce dei flauti; invece quando i convitati sono gente educata e per bene, non puoi vedere né suonatrici di flauto, né danzatrici, né citariste, ma essi soli che sono capaci di conversare tra loro senza queste sciocchezze e questi giochi (" ajlla; aujtou;" auJtoi'" iJkanou;" o[nta" sunei'nai a[neu tw'n lhvrwn te kai; paidiw'n touvtwn", 347d)  e parlano e si ascoltano a turno ordinatamente, anche se bevono molto vino.  

 

Bologna 22 maggio 2025 ore 13, 36 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]In Claudio Magris, L'anello di Clarisse , p. 17.

[2]Jaeger, Paideia  1, p. 56.

[3]Paideia  1, p. 59.

[4]E. Benveniste op. cit., p. 56.

[5]Miti e misteri , p. 185.

[6]Odissea , X, 124.

[7]F. Dupont, Omero e Dallas , p. 59.

[8]Il quale nel III secolo d. C. fece un riassunto del De verborum significatu , un glossario alfabetico di parole desuete, composto da Valerio Flacco, il maggior grammatico del tempo di Augusto, precettore dei nipoti dell'imperatore Lucio e Gaio.

[9]E. Benveniste, op. cit., pp. 55-56.

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