martedì 20 maggio 2025

Omero Odissea XIX parte. Terzo canto.


Il terzo canto inizia con versi che presentano il sole, il mare, il  cielo, gli dèi, gli uomini e la terra fertile, una visione cosmica, unitaria e beneaugurate.

 

vv. 1-3 Il sole salì, lasciando il mare bellissimo/verso il cielo di bronzo, per dare la luce agli immortali/e agli uomini mortali sulla terra feconda

oujrano;n poluvcalkon: può alludere alla lucentezza o alla solidità del cielo e l'una non esclude l'altra

"Al di sopra della terra, come una scodella capovolta poggiante sul circuito dell'Oceano, s'innalza il cielo di bronzo. Se il cielo è detto di bronzo, è per esprimere la sua inalterabile solidità"[1].

 Del tutto diversa è l'interpretazione dell'Adriano della Yourcenar:"Uscii sul ponte; il cielo, ancora tutto nero, era come il cielo di bronzo dei poemi di Omero, indifferente alle gioie e alle sofferenze umane"[2].

 

Atena e Telemaco giungono a Pilo sabbiosa e sbarcano mentre Nestore e i suoi facevano un sacrificio di tori sulla spiaggia. Il giovane ha vergogna di parlare, ma la dea lo incoraggia ad avvicinarsi al vecchio re per porgli domande.

Vediamo ora alcuni versi con la ritrosia di Telemaco dove "il poeta descrive con calda simpatia l'intima titubanza del giovane, cresciuto nella sua remota isoletta nella semplicità d'una signoria campagnola, ignaro del gran mondo, quand'egli per la prima volta vi si affaccia ed è ospite d'alti personaggi"[3].

 

Odissea III vv. 21-30.

Telemaco manifesta il suo timore di essere impacciato da timidezza e inesperienza, ma Atena lo spinge ricordandogli la buona natura della sua stirpe  e promettendogli l'aiuto divino . Allora il ragazzo si muove sulle orme della dea .

vv. 2I-24:"A lei allora Telemaco assennato di contro diceva:/

"Mentore, e come devo andarci ora, e come gli porgerò il saluto poi?/io non sono ancora in alcun modo esperto di discorsi muvqoisi- fitti pukinoi`sin :/del resto è vergogna-aijdwv~-  che un giovane interroghi- ejxerevesqai un vecchio".

 

"Il termine mito ci viene dai Greci. Ma per coloro che lo usavano in epoca arcaica esso non aveva il senso che gli diamo attualmente. Mythos  vuol dire "parola", "racconto". All'inizio non si oppone minimamente a logos  il cui senso primo è "parola", "discorso", prima che designi l'intelligenza e la ragione"[4]

-pukinoi'sin=attico puknoi'~.  Nel III canto dell’Iliade, durante la  teicoskopiva, Elena, interrogata da Priamo, identifica Odisseo dicendo che conosce ogni sorta di inganni kai; mhvdea puknav (v. 202) e pensieri fitti. Si ricordi poi che le parole del Laertiade erano simili a fiocchi di neve (III, 222), ossia fitte e fluenti.

aijdwv": la vergogna, ossia la riservatezza e il ritegno contaddistinguono il giovane beneducato dal petulante  sonaglio sfacciato  anche nelle Nuvole  di Aristofane dove il discorso giusto prescrive al ragazzo di essere "th'" aijdou'"...ta[galm j "(v. 995), l'immagine del ritegno.

Ricordo il mito di Prometeo nel Protagora  di Platone (322b): senza aijdw'" e divkh, "virtù altrettanto morali quanto politiche", distribuite a tutti non esisterebbero le città:"Hermes è incaricato di portarle agli uomini; ma, nella distribuzione, deve fare l'opposto di quello che aveva fatto Prometeo: non dare a ciascuno una capacità differente, ma le stesse a tutti egualmente e indistintamente"[5].

ejxerevesqai: nelle Nuvole  di Aristofane  il ragazzo educato all'antica per prima cosa non doveva nemmeno bisbigliare una parola (v. 963). Telemaco verrà rafforzato dagli incontri successivi.

 Il poeta " fa sentire ai propri ascoltatori come le buone usanze e l'educazione non lascino tanto facilmente nell'imbarazzo il giovinetto inesperto, nemmeno in situazioni ardue e nuove, e come il nome del padre gli spiani la via"[6].

Ma la prima spinta, la decisiva, viene da Atena.

 

vv.25-28:" Allora gli disse la dea, Atena  dagli occhi lucenti- glaukw`pi~- :/"Telemaco, qualcosa penserai tu nella tua mente,/altre le suggerirà anche un dio: infatti non credo/, no, che contro la volontà degli dèi tu sia nato e cresciuto".

glaukw'pi": è collegabile con glau'x- civetta-, e significherebbe dall'occhio (w[y) di civetta, "parallelo a bow'pi", epiteto fisso di Era nell'Iliade . Questi epiteti sono stati messi in relazione con una (ipotetica) fase teriomorfica della religione greca. Ma probabilmente il poeta collegava glaukw'pi" con glaukov" (cfr. Il. XVI 34):"dagli occhi brillanti, scintillanti"[7].

 

vv. 29-30:"Così dunque avendo parlato, lo precedette Pallade Atena/rapidamente; egli poi sulle orme della dea camminava.

 

Solean valore e cortesia trovarsi.

 

I due vengono accolti dai Pili che stavano preparando il banchetto. Con cortesia impeccabile gli ospiti li salutavano e li invitavano a prendere posto. Pisistrato, il figlio più giovane di Nestore, si fa incontro ai sopraggiunti, li prese per mano e li fece sedere al banchetto (Odissea, III, v. 37). I segni della buona educazione di questo ragazzo sono gli stessi dati da Telemaco nel pimo libro.

Poi c'è il medesimo susseguirsi di atti gentili. "Qui per la prima volta l'educazione divenne cultura, cioè formazione dell'intera personalità secondo un tipo fisso. L'importanza di quest'ultimo per lo sviluppo della cultura fu sempre presente ai Greci; in ogni cultura aristocratica esso ha una funzione decisiva, sia che pensiamo al kalo;" kajgaqov" dei Greci, sia alla "cortesia" del medioevo cavalleresco, sia alla fisionomia sociale del Settecento, quale ci sorride con volto convenzionale da tutti i ritratti dell'epoca. Misura suprema d'ogni pregio della personalità virile rimane anche nell'Odissea  l'ideale avito del valore guerriero. Ma vi si aggiunge ora l'estimazione dei meriti intellettuali e sociali, che l'Odissea  si compiace di mettere in risalto. L'eroe stesso è l'uomo non mai a corto di saggi consigli, che in ogni situazione sa trovare le parole opportune"[8].

Pisistrato offre la prima coppa d'oro ad Atena-Mentore in quanto più anziano; la dea si compiacque dell'uomo saggio e giusto (pepnumevnw/, v.52, come Telemaco) e rivolse a Poseidone una preghiera in favore del successo degli ospiti e di Telemaco, una richiesta che poi compì ella stessa. Quindi anche il figlio di Ulisse pregò, poi andarono tutti a banchetto.

Solo dopo che ebbero desinato, Nestore pose loro delle domande. "Quando ebbero soddisfatto la sete e la fame". La formula ritorna in continuazione, non soltanto prima di ogni esibizione dell'aedo, ma anche ogni volta che gli eroi si apprestano a intrattenersi e interrogarsi reciprocamente. Per rendersi disponibili alle parole dell'altro gli eroi mangiano e bevono. Così dimenticano i bisogni del corpo, il bisogno di "soddisfare questo ventre odioso, questo ventre miserabile che apporta agli uomini tanti mali"[9].

 

Mangiare, bere, significa far tacere per qualche tempo le grida acerbe della mortalità e della solitudine. Quando un eroe riceve un ospite, gli chiede come si chiama e da dove viene, ma solo dopo averlo accolto e rifocillato. "Se c'è un momento per fare domande agli ospiti, dice il molto saggio Nestore, è dopo che hanno goduto i piaceri della tavola". Ulisse da Alcinoo, Telemaco da Menelao, Ulisse dal porcaro Eumeo e perfino Telemaco quando torna a casa e viene accolto dalla madre Penelope, tutti loro cominciano a mangiare in silenzio, parleranno dopo. Bisogna che l'ospite sia uscito dal tempo del viaggio, che l'abbia "dimenticato" col cuore per poterlo ricordare nelle parole"[10].

 

Nella commedia pastorale As you like it (1599) di Shakespeare il duca in esilio nella foresta di Arden accoglie due nuovi arrivati, il giovane Orlando che porta in braccio il vecchio servo Adamo sfinito e affamato, con queste parole: “Welcome. Set down your venerable burden,-And let him feed…Welcome, fall to. I will not trouble you-as yet to question you about your fortune” (II, 7), benvenuti, posate il vostro venerabile fardello e fatelo mangiare…benvenuti, cominciate. Per ora non voglio disturbarvi  facendovi domande sulle vostre fortune.

 

Nestore dunque domanda agli ospiti chi siano, se commercianti, marinai o predoni (Odissea, III, vv. 71-74). Le medesime domande, con uguali parole farà Polifemo (IX, 252-255) ma non dopo avere dato da mangiare agli ospiti, bensì preparandosi a mangiarli.

 

Leopardi monofavgo~

 

Leopardi  giustifica la propria abitudine di mangiare da solo ricordando che gli antichi parlavano solo dopo avere mangiato

:"Il mangiar soli, to; monofagei'n, era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo monofavgo" , si dava ad alcuno p. vituperio, come quello di toicwruvco" , cioè di ladro…Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi (Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della comessazione[11], ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco cibo p. destare la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell'unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esterni  della favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell'uomo, e la digestione non può essere buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforisma medico), abbia da esser quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro p. qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano, e non fanno altro che imboccare e ingoiare!"[12].


 

La pirateria (Odissea, III, 73).

“ Vedi il Feith, Antiquitates homericae, nel Gronovio, sopra la pirateria ec , lh/steiva, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli stranieri”[13].

 

Si ricorderà[14] di Tucidide il quale ( I, 5) afferma che nei tempi antichi la pirateria veniva esercitata senza vergogna. Anzi questa comportava una certa gloria. 

Lo stesso sostiene  Cesare a proposito della reputazione del brigantaggio tra i Germani :"Latrocinia nullam habent infamiam, quae extra fines cuiusque civitatis fiunt, atque ea iuventutis exercendae ac desidiae minuendae causa fieri praedicant "[15], il brigantaggio non porta alcun disonore se viene fatto fuori dai confini della tribù, anzi affermano che si fa per esercitare i giovani e combattere la pigrizia.

Nell'Odissea  tuttavia c'è  anche una condanna dei predatori.

  Eumeo sostiene che questi hanno una forte paura della punizione  (XIV, 88.).

 

Comunque Telemaco non si adonta della domanda, anzi fattosi coraggio, afferrato quello ("qarshvsa"...qavrso"", v. 76), che Atena gli pose  nell'animo, cominciò a parlare. Si noti che il ragazzo per prendere la parola e fare domande sul padre ha bisogno dello qavrso" che serve a Diomede (Iliade  V, 2) per compiere la sua impresa bellica e conquistare nobile fama. In questa fase più avanzata della civiltà la gloria si ottiene già attraverso l'uso appropriato ed efficace della parola. Ebbene Telemaco si presenta e chiede notizie del padre, del luminoso, paziente, valente Odisseo, in nome delle promesse da lui fatte e mantenute nella terra dei Teucri.

 Nestore risponde commosso ricordando i morti di Troia: Aiace, Achille, Patroclo e suo figlio Antiloco, velocissimo a correre e prode guerriero (v. 112).

 

Pindaro nella  Pitica  VI racconta come " oJ qei'o" ajnh;r-privato me;n qanavtoio komida;n patrov""(vv. 38-39) l'uomo divino/comprò con la sua morte la salvezza del padre Nestore. Era accorso in suo aiuto e aveva dato la vita salvandolo da Mèmnone, il capo degli Etiopi.

 Un eroismo filiale che l'omuncolo Admeto ribalterà nell'Alcesti  di Euripide avendo l'impudenza di chiedere al padre e alla madre di morire al posto suo.

 

Ci furono tante sofferenze, continua Nestore, e tanti eroi, ma nessuno poteva  misurarsi con Odisseo nell'ingegno ("mh'tin", Odissea, III,  v. 120) dove egli era troppo superiore a tutti in ogni sorta di espedienti.


 

L’intelligenza di Ulisse.

 Ulisse è prima di tutto l'eroe dell'intelligenza:"Sua gloria è la sua astuzia, il senno inventivo e pratico che, nella lotta per la vita e per il rimpatrio, finisce per trionfare sempre su nemici possenti e su insidiosi pericoli.

L'intelligenza è la parte migliore dell'uomo valente:"E' questo il nuovo ideale dell'uomo il cui elogio è cantato nell'Odissea. La nobiltà ha cambiato la sua concezione del mondo. Si è allentata la durezza, l'immediato ricorso alle armi, l'esasperato senso dell'onore, l'eccessiva coerenza. Chi è ricco d'ingegno come Odisseo ha la protezione degli dèi. Gli dèi non amano più tanto un braccio forte quanto una mente assennata"[16].

 

Tuttavia Ulisse non è inetto alle armi: Stazio, nel catalogo degli eroi greci in partenza per Troia ricorda come “consiliisque armisque vigil contendat Ulixes ” (Achilleide, I, 472), Ulisse gareggi vigile con il senno e le armi. Il senno viene prima.   

Già nell’Iliade alla nobiltà dell'azione  doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[17], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere. L’abilità nella parola viene prima.

Bologna 20 maggio 2025 ore 12, 40 giovanni ghiselli

p. s.

Terrò la conferenza sull’Odissea il 9 giugno dalle 17 nella biblioteca Ginzburg di Biologna. Pubblicherò il link per seguire da lontano quando mi verrà dato. Saluti gianni

 

 

 

 

 



[1]J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci , p. 204.

[2]Memorie di Adriano , p. 192.

[3]Jaeger, Paideia 1, p. 79.

[4]J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco , p. 9.

[5]J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci , p. 299.

[6]Jaeger, Paideia  1, p. 80.

[7]S. West, op. cit., p. 194.

[8]Jaeger, op. cit., p. 60.

[9]Odissea, XVII, v. 473.

[10]F. Dupont, Omero e Dallas , p. 19.

[11] Latinismo: comissatio  significa propriamente "baldoria dopo il banchetto".

[12] G. Leopardi, Zibaldone, 4183-4184.

[13] Leopardi, Zibaldone, 2253.

[14] Giovanni Ghiselli, Storiografi Greci ,  Loffredo,  Napoli, 2000, pp. 136-137.

[15]De Bello Gallico , VI, 23.

[16]Latacz, Omero , p. 148.

[17]Iliade , IX, 443.

Nessun commento:

Posta un commento