giovedì 22 maggio 2025

OmeroXXIV parte. Odissea conclusione del terzo canto.


Egisto, Oreste, Telemaco, Nestore, Atena. Da Pilo a Fere a Sparta. Anche in bicicletta

 

Odissea III vv. 303-308.

Egisto dunque ammazzò il re suo cugino e sottomise il popolo di Micene ricca d'oro, quindi regnò per sette anni. Ma nell'ottavo il figlio di Agamennone, Oreste, tornò da Atene e uccise l'assassino del padre.

vv. 303-305:"Intanto questi atti luttuosi meditò in patria Egisto/e per sette anni regnava su Micene ricca d'oro/ammazzato l'Atride, e il popolo era stato sottomesso da lui". –ejmhvsato 303:  aoristo di mhvdomai. Anche Egisto medita e prepara, come Odisseo, ma il figlio di Tieste escogita lugrav, (303) atti luttuosi (cfr. il latino lugeo , luctus ) e mentre li prepara per altri li apparecchia a se stesso, una morale qui implicita che diviene esplicita in Esiodo: Oi| g j aujtw'/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn" (Opere , v.265), fabbrica i mali per sé chi li fabbrica per un altro.

 Egisto per regnare su Micene (v. 304)  aveva usurpato il potere di Agamennone quale a[nax di Micene.

 Quanto a "Micene ricca d'oro" 304- , non sempre questo elemento metallico è davvero prezioso.  

Nell'Elettra  di Sofocle, per esempio, c'è un oro sporco di sangue poiché il popolo è schiacciato dal tiranno assassino. Oreste è stato salvato a stento patro;" ejk  fonw'n ( v.11), dalle stragi di cui è rimasto vittima il padre. Allora Micene è ricca d'oro (v.9), ma la casa dei Pelopidi è devastata dai delitti (poluvfqorovn te dw'ma, v.11) e pur con la presenza del costoso metallo, essa non brilla né riluce, ma è avvolta in una cupa ombra.

Anche in questo luogo  dell'Odissea  il fulgore dell'oro  è offuscato dal delitto del tiranno dal quale il popolo viene prostrato (v. 305). L'oro dunque può assumere valenze diverse: Pindaro nell' Olimpica  I  (vv.1-2) mette in luce il valore estetico e spirituale, più che economico, quasi antieconomico dell'oro che"come fuoco avvampante brilla nella notte al di sopra di ogni superba ricchezza". Così nella Parodo dell'Edipo re di Sofocle il coro evidenzia il valore estetico e votivo dell'oro delfico:"O voce dolciloquente di Zeus/ quale mai da Pito ricca d'oro (ta'" polucruvsou-Puqw'no")/ sei venuta alla splendida Tebe?" (vv. 151-153).-

La sottomissione del popolo v. 305)  è compiuta quando questo è ridotto al silenzio dalla paura.

Infatti nell'Agamennone  di Eschilo, la scolta, pur esultando per il segnale luminoso che annuncia la caduta di Troia, fa intendere che deve nascondere qualche cosa di cui non può parlare:"ta; d ja[lla sigw': bou'" ejpi; glwvssh/ mevga"-bevbhken"(vv. 36-37), il resto però lo taccio. Un grosso bue mi sta sulla lingua. Parimenti in questa Pasqua (1999) di bombardamenti e deportazioni, gli informatori sono autorizzati a sottolineare e condannare i crimini di una sola parte la quale, se li infligge, li subisce anche, ma di questo non si tiene conto perché i nostri gazzettieri hanno pure  un grosso bue sulla lingua o sulla penna. Ci sentiamo in una situazione simile a quella del protagonista de L'uomo senza qualità :" Come gettando uno sguardo fuori d'una finestra aperta di colpo, egli sentì quello che in realtà lo circondava: i cannoni, i commerci d'Europa" (p. 800). Ora le armi sono ben più micidiali dei cannoni e non è più l'Europa a manovrarle. Ma questo non ci consola poiché le subisce.

 

vv. 306-308:"ma nell'ottavo anno giunse, sciagura per lui, Oreste divino/di ritorno da Atene, e ammazzò l'uccisore del padre,/Egisto ingannatore che il padre glorioso gli uccise

 jOrevsth" 306: : viene ancora nominato quale figlio esemplare.


 

Oreste.

 "Oreste è un modello appropriato per il figlio di Odisseo, del tutto indipendentemente dal tema eroico della gloria e dell'onore. Entrambi i giovani affrontano obblighi della stessa specie, cioè quelli che hanno origine nella famiglia: il primo ha l'obbligo di vendicare la morte del padre, l'altro di tutelare l'oikos  paterno", commenta Finley[1], il quale non manca di avvertire, in nota, che "quando Oreste è ricordato nell'Odissea  non viene mai detto esplicitamente che ha ucciso anche la madre Clitennestra. Eppure questo è il motivo centrale della tragedia di Oreste nel dramma greco".

Non poco tormentato è l'Oreste di Eschilo che viene perseguitato dalle Erinni, donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche, e aggrovigliate/di fitti serpenti"( Coefore , vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre"(v.1054) che appaiono soltanto al matricida:"uJmei'" me;n oujc oJra'te tavsd&, ejgw; d&oJrw'", voi non le vedete queste, ma io le vedo"(v.1061).

Ebbene questo Oreste, e ancora più quello dell'Elettra  di Sofocle trovano le ragioni del loro agire e gli occhi non vanno "lì a quello strappo"[2] nel cielo di carta del teatrino.

Insomma questo matricida non diventa Amleto.

 L'Oreste  di Euripide invece è già Amleto e nemmeno lui riesce a rimettere in ordine il tempo uscito fuori di sesto[3]. Questo assassino della madre non trova più ragioni sufficienti per il suo delitto e quando Menelao gli domanda: "che cosa soffri? Quale malattia ti distrugge?, egli risponde:"hJ suvnesi", oJvti suvnoida deivnj eijrgasmevno""( Oreste , v. 396), la mente, poiché ho coscienza di avere commesso atti orribili.

 .

 ajp j(ov) jAqhnavwn 307: nei drammi attici Oreste era stato allevato nella Focide da Strofio, il padre di Pilade che diverrà il suo più grande amico e collaboratore; ad Atene nelle Eumenidi  di Eschilo il matricida si reca per essere giudicato dall'Areopago. Può essere che questa importanza data ad Atene, che del resto in più di una tragedia appare come il rifugio dei perseguitati, sia dovuta all'edizione ateniese fatta curare da Pisistrato.

e[kta308  aoristo III, atematico da kteivnw. Quest'ultimo verso ripete il precedente e[ktane 307 e ribadisce la legge del taglione secondo una ferrea successione di delitto-castigo che viene ancora affermata dal Coro dell'Agamennone di Eschilo: "chi uccide, espia./Rimane stabilito, finché rimane nel trono Zeus,/che chi ha agito subisca: infatti è una legge divina"(vv.1562-1564).  E’ il contrappasso.

 

Pagato il nostro debito a Eschilo, torniamo all'Odissea .

Nestore conclude il discorso consigliando a Telemaco di andare dal "biondo Menelao"(v. 327) e di interrogarlo: non dirà menzogne poiché è molto saggio ("mavla ga;r pepnumevno" ejstivn", v. 328). Questo epiteto viene attribuito a Telemaco in I 367, allo stesso Nestore in un verso uguale a questo (III, 20) poi di nuovo a Telemaco nel successivo (III, 21). Dunque il vecchio re di Pilo consiglia al ragazzo di Itaca di rivolgersi a uno come loro, un saggio, un ispirato, come per un antico "gioco delle perle di vetro".

Questo era praticato dagli asceti della Castalia, secondo H. Hesse, in "tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei quali popoli e partiti, vecchi e giovani, rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine, di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che non fossero più dettati dagli interessi dei grandi né venissero modificati ad ogni piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di superamento del caos. A quel vuoto sul finire di un'epoca violenta e tutta rivolta all'esteriorità, a quell'urgente e implorante desiderio di un nuovo inizio e di un nuovo ordine dobbiamo la nostra Castalia e la nostra esistenza"[4].

In tempi altrettanto "caotici e babilonici" probabilmente fu composta l'Odissea  e Omero raffigura quegli eroi dell'intelligenza, dell'ordine, della buona educazione che scarseggiano nel suo secolo buio, come del resto scarseggiano nel suo poema e ai giorni nostri e sempre. Dal Rinascimento dei classici antichi e moderni potrà venire il salvataggio dell’Occidente dal naufragio.

 

 Segue una libagione, quindi Telemaco viene invitato da Nestore a dormire nel suo palazzo, mentre Atena, congedatasi con una scusa, se ne andò, simile a un'aquila marina: stupore prese tutti i presenti, e rimaneva stupito pure vecchio Nestore come la vide con i propri occhi (vv. 371-373) e parlò incoraggiando Telemaco, poiché aveva riconosciuto la dea cui promise il sacrificio di una giovenca di larga fronte, di un anno, non ancora domata e con le corna adorne d'oro (vv. 382-384). L'uomo pio riconosce i segni che il divino invia e gli risponde con gratitudine. Il dio a sua volta lo ode (v. 385).

 

Il viaggio da Pilo a Fere e da Fere (l'odierna Calamata) a Sparta. Confronto tra il cocchio tirato da due cavalli e la bicicletta spinta da gambe di donne e di uomini.

 

Concludiamo il terzo canto. Dopo il banchetto, Telemaco e  il figlio di Nestore salirono sul cocchio preparato dai fratelli di Pisistrato e fornito di cibo dalle ancelle. Il principe di Pilo guidava i cavalli  che volavano verso la pianura lasciando l'alta rocca di Pilo sabbiosa. Al tramonto del sole giunsero a Fere, "l'odierna Calamata, posta a circa metà strada tra Pilo e Sparta"[5]. Ho notato questo particolare poiché il percorso Sparta-Calamata e pure Calamata-Sparta l'ho fatto in bicicletta, in meno di una giornata, e in compagnia di altre persone, donne comprese,  anche loro in bicicletta, e passando per il Taigeto. Perciò il velocipede può sostituire degnamente cocchio e cavalli senza allungare i tempi del viaggio e senza togliere niente al contatto con la natura, anzi aggiungendo una bella dose di impiego della fisicità la quale viene potenziata mentre si smaltiscono  banchetti.

A Fere-Calamata i due ragazzi andarono a dormire da un ospite (noi ci dovemmo accontentare di un alberghetto) e ripartirono all'alba. I cavalli di nuovo volavano volentieri e giunsero alla pianura ricca di messi. Omero non dice che ci fosse di mezzo il Taigeto, che, soprattutto da quella parte, è un osso duro anche perché la strada prima sale rapidamente, poi scende precipitosamente, poi sale di nuovo poi scende ancora. Comunque i due ragazzi antichi ci misero più tempo del mio gruppetto di non giovanissimi ciclisti[6]: infatti noi partimmo alle dieci di mattina e giungemmo a metà pomeriggio, in piena luce, mentre Telemaco e Pisistrato, partiti all'alba, arrivarono quando "duvsetov t j hjevlio" skiovwntov te pa'sai ajguiai" (v. 497), il sole si immerse e si oscuravano tutte le vie.

 

Bologna 22 maggio 2025 ore 11, 08 giovanni ghiselli

p. s.

statistiche del blog

Sempre1732702

Oggi88

Ieri294

Questo mese9557

Il mese scorso15712

 

 

 

 



[1]Il mondo di Odisseo , p. 55.

[2]Pirandello, Il fu Mattia Pascal , p. 173.

 [3] Cfr. Amleto , I, 5:"The time is out of joint ".

[4]H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro , pp. 368-369.

[5]S. West, op. cit., p. 333.

6 ll sottoscritto aveva cinquant'anni, Fulvio Molinari che ha commentato le Baccanti, cinquantadue, un'amica di Pesaro quarantatré, e un altro pesarese una quarantina. Nel tragitto inverso, compiuto in un successivo giro del Peloponneso, oltre la solita amica di Pesaro divenuta nel frattempo quarantacinquenne, c'erano due ex allievi di Bologna, una ragazza e un ragazzo sui venticinque anni. 

Da Kalamata alla cima (km 33, 12) lo scalai di nuovo bicicletta nel tempo di 2 ore, 14 minuti e 27 secondi, alla media di 14, 7 Km all’ora quando avevo 62 anni e 8 mesi.

L’estate scorsa l’ho fatto di nuovo a 79 anni e 8 mesi con maggior fatica e senza prendere il tempo. E senza perderlo.              

 

Nessun commento:

Posta un commento