martedì 27 maggio 2025

Ifigenia CXXXI. La gita “scolastica” a Eger. La cantina. Bacchus Pannonius. I disegni di una bambina intelligente.


 

Sabato 4 agosto andammo  tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue di toro di Eger, già noto a chi mi legge, e  l’ Egri leánika,  la fanciulla di Eger, una baccante probabilmente, due splendidi doni di Bacco alla Pannonia.

Dioniso e il toro, Dioniso e le fanciulle menadi invasate da lui.

 Deve esserci stato anche un Bacchus Pannonius oltre quello di Tebe figlio di Semele e quello  di Atene figlio di Kore.

Entrammo in un borozó, una grande cantina,

 Non mi limitai a bere però; dialogai con Silvia, la giovane tedesca bionda e un poco opulenta che sapeva parlare e pure ascoltare. Non mi dispiaceva quella ragazza.

 Quel giorno, facendo attenzione a tutto quanto udivo e vedevo, compresi che la maturità mentale consiste, tra l’altro, nel ridiventare com’eravamo quando si era bambini o bambine, prima delle diverse crisi di identità dell’adolescenza o dei primi vénti anni . L’età tragica della mia vita e di tanti altri umani.

Mentre osservavo e ascoltavo, mi accorsi che da qualche tempo  l’intelligenza, le esperienze e un demone buono mi stavano riconducendo alla mia antica natura infantile qual era prima che venisse contraffatta e aulterata dai luoghi comuni dell’epoca.

Ero diventato deforme in quanto ni ero reso difforme da me stesso per essere accettato da gente stupida, ignorante e cattiva.

 

  Venne seduta  vicino a noi una giovane donna con una bambina di  sei o sette anni che disegnò il disco solare con i raggi e disse: “questa è la testa del fuoco ed è la faccia di Dio”. Mi tornò in mente Platone, il mito della caverna e il sole che mostra nel visibile quello che è  l’idea del Bene,  il massimo oggetto di scienza[1] nell’intellegibile

Quindi  ricordai quanto ha scritto Leopardi a proposito della filosofia che ci ha insegnato  “quello che da fanciulli ci era connaturale,  e che poi avevamo dimenticato e perduto” [2].

A tredici anni ero innamorato di Marisa una ragazzina coetanea senza sapere altro che mi piaceva e che era brava a scuola. E che se mi avesse contraccambiato sarei stato felice. Ci avevo arzigogolato sopra a lungo  senza costrutto, poi per diversi anni sono rimasto turbato da mille pensieri inquieti nei confronti di ogni donna che mi fosse piaciuta, problemi spesso fasulli ma capaci di ostacolare l’intesa, l’amore, perfino il piacere , veri problhvmata.

La bambina  ungherese  seguitava   disegnare. Mostrava   il mare con un pesce enorme, una rete, tanti pesci piccoli, e diceva alla madre: “Questa è la balena che cattura i pesciolini con una ragnatela”.

“Il diritto del più forte-pensai-uccellacci e uccellini. I bambini intelligenti capiscono molte cose. Intuiscono la parentela di tutto con tutto, dell’intera natura con se stessa, siccome hanno dentro qualche cosa di sacro, e lo manifestano fino a quando non temono i giudizi mortificanti degli adulti ebeti, mortificati ”.

Voglio dire che arrivato vicino ai 35 anni, dopo tante esperienze e letture, mi sentivo simile a quella creatura nel senso che avevo recuperato il coraggio infantile di esprimere quanto pensavo e sentivo: non temevo più i giudizi della gente meccanica, formata sui luoghi comuni, imitatrice del linguaggio formulare dei media, della propaganda e della pubblicità. Questa è imitatio diaboli e andrebbe proibita. Elogiai la piccola alla madre, una bella signora bruna, con gli zigomi alti e gli occhi chiari, dal taglio magiaro vicino al finnico-momgolico. Mi disse il suo nome e mi chiese chi fossi. Mi presentai e risposi che ero un uomo contento: facevo un lavoro che mi interessava e impegnava molto, amavo una donna contraccambiato, godevo di una buona salute mentale e fisica, e volevo rendermi utile al prossimo mio, a partire dagli adolescenti che educavo a diventare ciascuno quello che era davvero, possibilmente bello e buono.

A Silvia, quando mi chiese dei chiarimenti in aggiunta di quanto avevo detto  nel mio povero ungherese, spiegai che stavo riprendendo coscienza dell’ottimismo mio, connaturato eppure smarrito durante la crisi postliceale, siccome in quel tempo sciaguratissimo avevo creduto nei ripetitori dei luoghi comuni più che in me stesso. Avevo passato un biennio di quasi disperazione, senza bicicletta né corsa, con studio fatto male e controvoglia per  riferire  nozioni a umbratici doctores  tutt’altro che educatori stimolanti, privo di amore, di amicizia, di tutto  tranne il cibo che mi deformava, incapace di vivere umanamente; poi   avevo reagito e cominciato a ritrovare quello che ero, a ridiventarlo riveduto e corretto,  e ce l’avevo fatta aiutato  dal  movimento del Sessantotto e dai collegi universitari di Bologna, di Cracovia, di Praga e di Debrecen grazie ai quali ero uscito dall’isolamento.

I dispensatori della grazia salvifica erano stati i miei primi allievi, l’amicizia di Fulvio, l’Elena di Praga e  le tre finlandesi  Helena, Kaisa, Päivi e alla fine dei conti  Ifigenia la bella che mi aspettava senza fornicare, speravo,  in Italia sul lido Adriano dove magari osservava gli innumerevoli sorrisi della distesa marina e pensava a me, come io la pensavo. Se invece avesse peccato di u{bri~, sarebbe intervenuto il mio sdegno, il disgusto, la nevmesi~ mia e avrei ripreso a cercare.

“Forse allora però non mi troverai più” disse, avendo capito che mi preparavo un’uscita di sicurezza.  

 

La cena con Brina.  

La sera a cena venne seduta vicino a me una finlandese dal nome ecologico e confacente alla sua terra: si chiamava Kirsi, che significa “brina” tradusse, poi precisò che il suo nome era un presagio rovesciato. “Brina rovente”  dissi per assecondarla. “Esatto- fece- tu mi capisci al volo”.

“Sì-replicai- sei un ossimoro vivente. Ora  ti vedo volare eterea e candida quale creatura nata da un incontro tra un uccello dalle piume d’argento e una divinità iperborea fecondata sul tappeto profumato dei vostri boschi. Le tue  origini  devono avere una sorgente nel mito e possedere una dignità più che umana.” 

Colei sorrideva probabilmente compiaciuta, ma io, mentre dicevo tali insulsaggini,  avevo la selva dell’anima  occupata dall’ ei[dwlon di Ifigenia.

Intanto sentivo piovere sul tetto del ristorante “Casamatta”, un locale tra il bunker a la cantina. Quando ne uscimmo però le pozzanghere riflettevano le stelle del cielo rasserenato. Durante il ritorno in corriera le finniche esangui cantavano canzoncine dolci e malinconiche con voci di miele. La loro lingua piena di vocali raddoppiate sembra primitiva e infantile. “Bambine con poca coscienza e scarsa innocenza” pensai, malignamente e ingrata mente.

Ero inacidito e incupito dal pensiero  della villeggiante sulla babilonica spiaggia. La gioia del telegramma era già svanita lasciando spazio allo spettro del  tradimento.

Mi ero isolato per rimuginare pensieri cattivi su una donna assente che mi infliggeva angoscia, invece di mescolarmi alle finlandesi, donne che in un tempo meno malsano mi avevano reso del tutto felice.

 

“Il suo messaggio-pensavo- non è ambiguo nelle parole amorose, però non è frutto dell’applicazione seria cui spinge l’amore, come una lettera dove colei avrebbe potuto descrivere i suoi sentimenti e raccontarmi le azioni, gli eventi pubblici e privati. Dice che l’epistola arriverà. Vedremo. Intanto il telegramma pervenuto non vale granché: l’ha composto in pochi minuti e l’ha spedito magari ridendoci sopra con il più becero dei suoi ganzi.

Poi mi dicevo: “So bene che una donna quando e se ama scrive, e colei in due settimane di lontananza , beata in quella bolgia, nemmeno una cartolina illustrata  ha scritto. Chi ama si comporta con chiarezza che toglie ogni dubbio. D’inverno mi cercava a tutte le ore, anche troppo. Quando, annoiata o tormentata dal marito scendeva in garage o si chiudeva in bagno per telefonarmi e quell’energumeno bussava alla porta con mani frenetiche. Ora che quello è chissà dove, lei  ha trovato un altro ganzo per i suoi giocosi capricci estivi.

 Mi ha mandato un telegramma pieno di enfasi erotica perché non si sa mai, però i suoi pensieri buoni o cattivi non me li fa conoscere e tanto meno le sue azioni probabilmente tutt’altro che virtuose.

Le sue membra  sono diritte, luminose,  perfette, ma la sua mente è obliqua, oscura contorta”.  

Bologna 27 maggio 2025 ore 19, 07 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Platone, Repubblica, 505a:"hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".

 

[2]   Zibaldone, 305.

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