venerdì 30 maggio 2025

Ifigenia CXXXIX Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare. Addio a Marisa.


 

Uscito dalla csárda,  pregai  l’eroica luce del sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura.

“Aiutami Elio, a trovare dentro questo lungo travaglio l’idea del Bene di cui tu doni agli occhi mortali l’immagine visibile.

Dammi la lucidità necessaria per trovare nel dolore la comprensione del mio viaggio terreno, della serie di cause che mi hanno condotto qui e mi guideranno fino alla morte di questo povero involucro che tuttavia cerco di tenere bene con il tuo valido aiuto.

Voglio assecondare il mio fato comunque esso sia. In ogni caso non mi sembra meschino. Ho già educato centinaia di giovani. Vorrei diventare maestro di un popolo intero. Questa sofferenza, se me la sono cercata e la coltivo, vuole dire che è dovuta alla mia crescita, al mio progresso di educatore. Sulla fellona che non mi dà risposte, in verità non mi sono mai creato illusioni. Non risponde perché non mi corrisponde: non è del mio stampo. Mi ha potenziato con il piacere che mi ha offerto, ma ora devo cercare di trarre altro potenziamento dalla intelligenza di questo dolore. Dalle sofferenze e dalle ingiustizie subite ho sempre imparato. Aiutami a capire, santa faccia di luce, mente dell’Universo, primo fra tutti gli dèi. Aiutami a non impazzire per tanta pena, anzi a diventarne più saggio”.

Dalle canne della palude verde saettavano schiere di rondini verso sinistra, simili a frecce alate. Ottimo segno: volatus avium dirigit Sol invictus.

“Con il tempo-pensai- ho imparato che i segni del cielo sono tutti buoni se sappiamo volgerli al bene. Anche le sventure possono essere provvide. Sono funzionali all’insieme della vita: alla mia come a quella dell’Universo.

Scio sad conservationem Universi pertinere[1]”.

 

Alle 19, 41 il sole vermiglio spariva nella terra nera. “Dai contrasti bellissima armonia. –pensai ancora-Augurio di più sereno dì al pio educatore. Ma sono pio e sono davvero un educatore? Alcuni lo negano, altri lo giurano: sono segno di contraddizione anche io, come Socrate, come Giovanni Battista, l’onesto Giovanni, come Cristo e altri profeti”.

Ritenni che non aveva più senso rimanere lì fuori.

Rischiavo di compiacermi della solitudine fino a diventare un anacoreta demente.

Volevo rivedere la bambina con la madre per cogliere dei segni vocali da loro. Significavano molto parlando. Tornai seduto dov’era stato un quarto d’ora prima. La bella signora e la signorinella c’erano ancora.

La bambina mi domandò:

 “Dove sei stato Janos?”-

“A pregare, cara Sarolta”

“Chi, Gesù?”

“No; il Sole che è la sua immagine visibile. Pensa che gli antichi credevano chiamavano Natale  il giorno della rinascita del Sole”

“Come mai?”

“Perché nelle giornate più corte pensavano che stesse morendo, poi vedendo che la luce tornava a crescere, vedevano che era guarito poiché tornava ad alzarsi”

“Quale grazia gli hai chiesto pregandolo?”

“Di mettere al mondo una figlia simile a te”

“Perché simile a me? Io non sono tanto buona”

“Lo diventerai se studierai e farai sport. Molto buona e bella assai, come tua mamma”

Ero riuscito a dire queste semplici frasi in ungherese.

La signora mi fece un sorriso e mi ringraziò.

Poi mi domandò se fossi italiano

“Sì, risposi dell’Italia centrale. Come ha fatto a capirlo?’”

“Dalla  cortesia usata a noi due e dall’aspetto. Ho pensato che lei lo è tipicamente”.

“Anche voi siete state carine con me. E siete tipicamente, deliziosamente magiare. Ora vi devo salutare: vi auguro il meglio di tutto. Lo meritate”.

“Grazie. Arrivederci”.

Mi alzai e uscìi pensando: “missione compiuta. Ho raccolto i segni vocali di cui avevo bisogno”.

Dopo i complimenti di quelle due femmine umane beneducate potevo essere soddisfatto di me. Mi aveno fatto capire che meritavo una donna migliore della ragazza fallace, sgarbata che voleva indebolirmi cercando di farmi soffrire.

Sicché tornai in collegio e andai a dormire senza altro dolore.

 

 

p. s.

A proposito di signorinella.

Mi è  venuta in mente Marisa, la signorinella tredicenne di cui ero perdita mente innamorato in terza media. Eravamo entrambi nell’ultima classe della scuola Lucio Accio di Pesaro, io nella sezione B dei maschi, Marisa nella A delle femmine. Eravamo  i più bravi delle rispettive classi e gareggiavamo per chi fosse il più egregio di tutto l’istituto. Alla sorella che mi ha dato la notizia della morte di Marisa che mi ricordava come bravo a scuola, ho detto che non ero più bravo di Marisa.

Oggi l’ho ricordata Marisa  cantando con qualche variazione una canzoncina che sentivo dalla mamma quando ero bambino:

“Signorinella pallida,

amabile rivale delle medie,

la nostra legna è diventata cenera,

tu sei defunta e io sono un vecchio uomo  stanco!”

E non mi saziavo di lacrime.

Però ho studiato egregiamente preparando la prossima conferenza   perché il ricordo di Marisa e dei nostri tredici anni mi dà ancora energia e ni infonde volontà di essere il più egreggio di tutti

Quindi ho cantato ancora:

Negli occhi tuoi passavano

una speranza, un sogno, senza nemmeno una carezza

ma avevi un volto che non si dimentica,

e un nome che luminoso : giovinezza!”

Ho poi ricordato di avere ottanta anni compiuti e che se entrassi in un conclave a gareggiare, i cardinali antagonisti mi direbbero in coro:  Non es papabilis!!”

E io risponderei: “deo gratias!!!!”  

 

 

 

Bologna  30 maggio 2025 ore  11, 12 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. Seneca Ep. A Lucilio, 74, 20.

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