Domenica 5 agosto fu una giornata piena di meditazioni pullulate da stati d’animo contrastanti tra loro. Alle 11, come al solito, non trovai la posta che aspettavo da Ifigenia. Pensai che non c’era più posto per me nel suo cuore perfido e nel suo corpo dalle insenature infernali, nonostante il telegramma. La promessa dell’espresso non era stata mantenuta. Sicché la maledissi.
“Un’Erinni feroce vaga nell’oscurità della sua mente” pensai.
Tuttavia vivevo ancora nella determinazione sostanziali dell’amore che mi costringeva a pensarla.
Sicché aggiravo nel bosco con l’anima buia e il volto probabilmente deformato dal brutto colore dell’odio, finché, verso le due, anche il cielo si rabbuiò, quindi si mise a piovere forte.
L’acqua cadeva a righe invece che a gocce. Ero tutto bagnato mentre sentivo il dolore della fine di un’epoca di tripudi amorosi. Quella fase era finita.
Invero avrà momenti di ritorno e ripresa molto più tardi. Saranno le notti dell’amore postumo.
Breve salto nel futuro rispetto al giorno che sto raccontando. Le stesse cose ritornano ma ogni volta un poco cambiate.
Era il 31 dicembre di uno degli anni Novanta. Da tempo facevamo entrambi altre vite, vite diverse. Io avevo una relazione con una donna sposata, una collega che per le vacanze di Natale mi aveva ricordato i divieti quasi sempre imposti all’amante da una maritata, pure malmaritata.
Dunque ero solo a Bologna come sempre dopo l’exitus finale dei miei cari di Pesaro. Nel pomeriggio sentìi squillare il telefono. Credetti che fosse la sposa infedele andata nel garage o nel bagno per farmi gli auguri di nascosto, come era successo in altre occasioni. Quel rapporto non era equilibrato dunque: lei poteva cercarmi, io solo risponderle.
Dissi “ciao tesoro, buon anno” chiamandola per nome, invece era Ifigenia.
Mi scusai. Mi chiese se volevo vederla. “ E come no?”, feci io senza esitare. Ero molto meravigliato dalla inopinata proposta e curioso di vedere come era diventata, di sentirne le novità. Andai a prenderla e facemmo un giro sui colli. Ci fermammo sul monte Donato dove salivamo con le biciclette quando eravamo più giovani.
La scrutavo, le facevo domande, la ascoltavo con attenzione. Era parecchio ingrossata nel corpo e indebolita all’interno: parlava con qualche difficoltà, senza chiarezza. Il viso era alquanto afflosciato: le guance apppesantite già un poco cadenti, dagli occhi era sparita l’antica luce , la bocca molto dipinta era tutta slentata. Anche io stavo diventando quasi vecchio. Tuttavia poi si andò a casa mia e si fece il massimo consentito a due povere creature senescenti, mortali e destinate alla putrefazione.
Ma quella notte fu bella.
Ora però torniamo alla tempesta, emotiva e atmosferica, del 5 agosto del 1979. Non avevo compiuto 35 anni ed ero ancora ricco di pathos.
Il vento scuoteva i rami dei salici piegati in basso e tuffati nell’acqua fluttuante del lago agitato dal vento. Si muovevano in modo strano come i remi stregati di un vascello fantasma. L’abito letterario mi fece rammemorare Leopardi: “ dovrei essere pensoso di cessar dentro quell’acque la speme e il dolor mio?”
“Neanche per sogno-mi risposi- e non solo perché quell’acque sono poco profonde e mi farebbero restare asciutto dalla cintola in su. Diverrei ridicolo perfino ai miei occhi”.
Feci un sorriso e mi resi conto che la vita, tolto il dolore irragionevole della lettera mai arrivata, era varia, piena e ricca di ogni bellezza. “Ma sì, mi dicevo-se ne ha trovato un altro, uno del suo stampo, tanto meglio per lei e pure per me. Negli ultimi tempi aveva cercato di ingelosirmi, per sottomettermi. Mezzucci da donnicciole, comari stupide, ignoranti e maligne che non ottengono il risultato sperato con un uomo troppo diverso da loro. Linguacciute e bugiarde . Io merito un amore senza sospetti, pensieri maliziosi, ignobili partite a scacchi, menzogne triviali. Di pulizia e chiarezza ho bisogno”.
Il vento scuoteva le foglie facendomi cadere le gocce di pioggia sulla testa che ne veniva ribattezzata. L’aria era pulita come non la vedevo da tempo. In quell’atmosfera Ifigenia non aveva più posto. I suoi difetti non avevano neppure l’ambiguità estetica irradiata dal suo copo. Quella luce si stava spengendo. Ma era intermittente.
Alcuni ragazzini passavano con le biciclette dentro grandi pozze di acqua sollevando alti spruzzi. A casa avevo la mia Colnago gialla che mi aspettava per altre scalate e per i giri nella campagna autunnale quando il grano in erba emerge rinato e rinnova la vita.
Allora come sempre mi sarei inginocchiato sussurrando con le lacrime agli occhi : “ecco io mi prostro, o benedetti fili verdi, al suolo”.
Un amore vecchio, cattivo e malato per una donna che non mantiene le promesse è un cancro: antiquus amor cancer est[1]. Una orribile relazione: operabile, da operare. Mi mossi verso lo stadio per correre i 5000 metri dovuti alla mia ritrovata salute fisica e spirituale.
La pista di terra rossa era bagnata e pesante: non pensavo di fare un buon tempo. Invece presi subito un ritmo elevato. Al posto delle gambe snelle sentivo di avere delle ali. Schivavo le pozze dove si abbeveravano i cani, saltavo quelle più piccole con vespe, calabroni e farfalle. Talora dovevo allungare il percorso scostandomi dalla corsia più interna, prossima al prato di un verde lucente. Correvo bene: procedevo con pathos e con logos, con tutta la potenza che avevo e sapevo di avere, con gioia. Il terriccio bagnato che ogni tanto mi schizzava addosso, non mi rallentava punto. Un quarto di giro oltretutto lo correvo lottando contro il vento, ma ero così forte e fiducioso in me stesso che avrei assorbito un uragano, come gli uomini dell’avvenire immaginati da József Attila: “essi saranno la mitezza e la forza”[2].
Impiegai 19 minuti e 27 secondi: un buon tempo. Lo dedicai alle donne del mio avvenire. Saranno donne maritate e non separate per evitare rischi di relazioni penose.
Non lo sapevo ma a sessanta anni avrei rischiato con una vergine per imparare dell’altro, però sarebbe andata male anche con questa. Non ho potuto cambiare il mio destino, né l’ho voluto. Sapevo già da bambino che niente è più forte della Necessità. Molto più tardi ho constatato che le vergini non sono fatte per me.
Le due donne più importanti della mia vita: Helena e Päivi erano ragazze madri.
Tutto ci sarà perdonato da un Dio buono perché ci siamo amati molto.
Bologna 28 maggio 2025 oe 10, 14 giovanni ghiselli
p. s.
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