Mentore dà altri suggerimenti a Telemaco il quale non indugia poiché aveva sentito la voce di un dio ("ejpei; qeou' e[kluen aujdhvn", v. 297). E' di nuovo l'immancabile componente divina dell'educazione.
"Nei canti seguenti, Atena, dalla quale, secondo la credenza omerica, emana sempre l'ispirazione divina all'azione fortunata, si nasconde nella persona di un altro amico anziano, Mentore, che accompagna Telemaco nel suo viaggio a Pilo e a Sparta. Quest'invenzione deriva evidentemente dall'usanza di dare un precettore per compagno a giovani di gran casa, specialmente in viaggio. Mentore accompagna con occhio vigile ogni passo del suo protetto, assistendolo in ogni circostanza coi suoi precetti e consigli. Lo ammaestra nelle forme del buon contegno in società, dove il ragazzo si trova di fronte, con titubanza, a situazioni nuove e difficili. Gl'insegna come debba presentarsi agl'illustri e anziani Nestore e Menelao e come esporre loro la propria istanza, per ottenere buon successo. Il bell'atteggiamento di Telemaco verso Mentore-il cui nome dal Télémaque [1] di Fénelon in poi, è venuto a designare universalmente un amico anziano, educatore, guida e protettore-si fonda sullo sviluppo del motivo dell'educazione, che predomina del resto in tutta la Telemachia e che dobbiamo ora considerare più ampiamente. Appare manifesto che il poeta non ha avuto il solo intento di fare una pittura d'ambiente aulico. Anima di questo racconto umanamente attraente è il problema, che il poeta si è posto consapevolmente, del come il figlio giovinetto di Odisseo divenga un uomo prudente, che agisce ponderatamente e cui arride il successo...Nella costruzione complessiva dell'Odissea costituisce una bella invenzione l'avviare simultaneamente le due parti distinte-Odisseo, che dalla ninfa amorosa è trattenuto lontano nell'isola cinta dal mare, e suo figlio, che attende in patria, inerte e abbandonato, il ritorno del padre-per ricongiungerle dando luogo al ritorno dell'eroe"[2].
La comunione del pasto.
“Il banchetto sacro era in certo modo una comunione, un pasto comune che univa il dio e l’uomo in un vincolo, la cui santità inviolabile si afferma in ogni più antica forma di civiltà”[3].
Telemaco dunque torna al palazzo dove i proci mangiano. Antinoo gli va incontro e lo invita al banchetto ma il giovane non accetta: in mezzo a voi prepotenti, dice, non è possibile banchettare in silenzio e godermela contento ("daivnusqaiv t ajkevonta kai; eujfraivnesqai e{khlon", v. 311). Senza tranquillità pace e contentezza non si può fare quella vera e propria comunione lieta e piacevole che è prendere il cibo insieme, tra persone che stanno bene in compagnia reciproca. Anche Odisseo non sarà disponibile a mangiare con Circe prima che ella gli abbia liberato i compagni (X, vv. 383 e sgg.). Per desinare insieme bisogna fidarsi e volersi bene a vicenda, quasi come per condividere il letto.
Il silenziio ajkhv è raccomandato nella fase del mangiare, mentre il parlare subentra quando si beve.
Nella situazione di totale peccaminosità descritta da Lucrezio con riferimento alle guerre fratricide della fine della repubblica, quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.
"Il banchetto omerico in greco si chiama daiv", il condividere[4]; banchettare è condividere e il modello di quella divisione è la carne sacrificata, poi divisa in parti attribuite ai commensali secondo le delicate regole del savoir-vivre . Perché la parte data a ciascuno indica la stima generale della comunità per quella persona, la stima particolare del padrone di casa e infine l'onore speciale che si vuol rendere all'ospite per quel tal giorno. Dosaggio sottile di gloria sociale e rapporti privati. Piacere del condividere, condivisione del piacere, tutto il banchetto è intessuto di queste due nozioni tevrpein e daivein . Piacere e condivisione creano, fra i re che si saranno offerti reciprocamente una serie di banchetti, un legame fondato sulla circolazione dei doni (ciò che i sociologi definiscono il dono e il contro-dono). Omeria[5] non conosce altre forme di sociabilità fra uomini liberi se non quelle che passano per il banchetto"[6].
Telemaco non accetta la comunione con i proci e sottolinea il rifiuto strappando la sua mano da quella di Antinoo (v. 321). Uno strappo che significa la fine della remissività del ragazzo. Un distacco che viene accompagnato dalle successive canzonature e maledizioni della plebe dei proci anonimi. Ma Telemaco, senza rispondere, scese nella dispensa dall’alto soffitto[7] del padre (v. 337) dove stava Euriclea cui il ragazzo chiede di preparare vino e farina per il viaggio: andrà a Sparta e a Pilo sabbiosa a cercare notizie di Odisseo (vv. 359-360). Sono ripetute quasi le stesse parole dette a Eurimaco (vv. 214-215). In entrambi i casi Pilo è “sabbiosa”- hjmaqoventa.
"L'epiteto convenzionale è sbiadito nel suo significato, come abbiamo detto, ma ci conserva, incasellati in formule metricamente comode, arcaismi culturali storici geografici, oltre che linguistici. Pilo, Micene, Tirinto, Troia continuano a vivere nell'epica con gli epiteti che i primi aedi avevano voluto per loro scegliere come specifici e descrittivi. Pilo è sabbiosa (Puvlon hjmaqoventa), Micene ricca d'oro (polucruvsoio Mukhvnh"), Tirinto recinta d'alte mura (Tirunqav te teiciovessan), Troia dall'alta rocca ( [Ilio" aijpenhv), Tisbe dalle molte colombe (polutrhvrwnav te Qivsbhn)"[8].
“I tre quarti di Omero sono convenzione; e similmente è di tutti gli artisti greci, che non avevano nessun motivo di abbandonarsi alla moderna smania di originalità. Mancò ad essi ogni paura della convenzione; per mezzo di essa infatti comunicavano con il pubblico. Le convenzioni sono cioè i mezzi artistici conquistati per la comprensione degli ascoltatori, la lingua comune faticosamente appresa, con la quale l’artista può veramente comunicare. Specialmente se egli, come il poeta e il musico greco, vuole subito vincere (…) la prima condizione è che subito venga anche capito: il che tuttavia è possibile soltanto con la convenzione (…) Che cosa indica dunque la moderna smania di originalità?”[9]
“In Omero si può notare una quantità di formule ereditate e di leggi narrative epiche, dentro le quali egli dové danzare: ed egli stesso creò in aggiunta nuove convenzioni per quelli che sarebbero venuti dopo. Fu questa la scuola di educazione dei poeti greci: innanzitutto cioè lasciarsi imporre una molteplice costrizione dai poeti precedenti; poi inventare essi stessi una nuova costrizione, imporsela e vincerla con grazia: in modo che costrizione e vittoria venissero notate e ammirate”[10].
Euriclea cerca di dissuadere il ragazzo per paura del pericolo, ma Telemaco è irremovibile; del resto comprende questa apprensione donnesca poiché chiede alla nutrice di non dire niente alla madre affinché ella non sciupi il suo bel viso piangendo (v. 376).
E' l'eterno motivo della donna che si oppone al "volo d'Icaro" dell'uomo, marito o figlio che sia. Ma l'uomo per trovare la sua identità deve rischiare, e tanti che non hanno saputo dire no a questa pretesa delle donne non hanno messo alla prova le loro capacità.
Bologna 14 maggio 2025 ore 11, 11 giovanni ghiselli
p. s.
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[1]Romanzo educativo del 1695. Il viaggio immaginario di Telemaco alla ricerca del padre Ulisse sotto la guida di Mentore vi crea l'occasione per divagazioni su vari argomenti, ispirate a una moderna idea di tolleranza e a concetti innovatori in campo pedagogico Ndr.
[2]Jaeger, Paideia 1, pp. 74 e 75.
[3] Nilsson, Religiosità greca,, p.15
[4]Odissea , III, v. 65. Daiv~ è il banchetto; daΐzw è “condivido” e daivomai “distribuisco”. Ndr.
[5]La Grecia omerica.
[6]F. Dupont, Omero e Dallas , pp. 14-15.
[7] “Nell’Odissea nasce la religione della casa…Il cuore della casa è la dispensa: una specie di luogo utopico dove si raccoglie il passato, il presente e il futuro della famiglia. Quando Euriclea vi entra, vediamo insieme a lei l’oro e il bronzo, le casse piene di vesti, l’olio odoroso, le giare di vino vecchio e dolcissimo. Tutto è chiuso, perché la famiglia è un luogo chiuso: i tesori sono difesi da porte, saldamente serrate, a doppio battente…E’ quasi l’unico luogo intatto della reggia: qui, nel cuore della casa, i Proci non sono mai penetrati” (P. Citati, La mente colorata, p. 95)
[8]Cantarella-Scarpat, op. cit., p. 155.
[9] Nietzsche, Umano troppo umano, Il viandante e la sua ombra, (122)
[10] Nietzsche, Op. cit., 140.
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