mercoledì 14 maggio 2025

Ifigenia CV Contatto di epidermidi senza trasfusione delle anime. Allegoria e simbolo: Elena nell’estate del 1971.

 

Il 10 luglio amoreggiammo a qualche chilometro dalla spiaggia di Pesaro.

Eravamo stesi in un moscone che scintillava sull’acqua. C’era la grande luce del cielo sfavillante sopra di noi e moltiplicata in sorrisi innumerevoli dal tremolare dall’acqua marina, mentre i raggi santi del primo tra tutti gli dèi che accarezzavano e perfezionavano l’incarnato dei nostri corpi più sani e snelli che mai e due farfalle bianche ci svolazzavano intorno festose.

Ifigenia aveva un aspetto così bello che le mie parole scritte sarebbero meschine in confronto alle sue forme.

Ma l’amore era prossimo a terminare. Era quasi trascorso il tempo concesso dal fato. Dopo nove mesi non stava nascendo l’amore come intesa profonda, anzi la stessa passione dava già segni di decadenza.

Nessuno dei due aveva mai preso in considerazione l’altro quale persona intera.

Eravamo rimasti associati soltanto nel letto. Un Eros per giunta non privo di Eris.

 .

La ragazza insicura del proprio ruolo vedeva in me l’uomo che poteva aiutarla finché ce ne sarebbe stato bisogno; io ero interessato soltanto alla bellezza delle sue membra e al piacere che potevo trarne. Del resto non ammiravo il suo stile, piuttosto lo biasimavo spesso e nemmeno il suo sguardo mi piaceva del tutto. “Si nescis, oculi sunt in amore duces " [1]

 

Insomma non c’è mai stata tra noi la reciproca trasfusione delle anime che eleva il contatto delle epidermidi a  intesa profonda.

 

Oggi mi chiedo per quale ragione un mese di Elena mi ha dato più felicità che tutti gli anni passati con decine di altre. La storia di Elena vissuta quando le mie amanti non arrivavano a nemmeno a dieci, è stata la più bella  di sempre tutti i sensi. Ora so perché.

Una persona e, anche una cosa o un paesaggio,  si riempie di significati fino a diventare opera d’arte quando la sua visione diventa allegorica: a[llo ajgoreuvei, rivela altro al di là di se stessa.

 

  Elena non solo era bella ma incarnava l’umanesimo ancora vigente nel 1971. Quando la conobbi, le domandai che cosa significasse l’amore per lei, una domanda subdola da parte mia: volevo indagare la sua disponibilità a fare l’amore con me.

Ebbene  la bella donna rispose che il suo amore era umanistico e umano: amava tutta l’umanità e amava la vita.

Allora dentro di me ghignai di soddisfazione pensando che, se riuscivo a sembrarle umano, quella femmina della mia specie poteva diventare la decima amante della lista e  con il volgersi delle stagioni avrei potuto almeno quintuplicare quel numero come avevo giurato quando ero un ventenne  che scendeva sempre più in basso nella china della disgrazia.

  Quaranta anni dopo Elena, nel 2011,  tornai a Debrecen in bicicletta da Bologna e recatomi di notte sotto la finestra del collegio dove l’amabile donna  mi aspettava una sera di  quell’estate remota, compresi tutto il valore di quella persona che divenne un simbolo, suvmbolon cui potevo associare-sumbavllein- tutti i significati belli che nel frattempo avevo  molto cercato e poco trovato in altre conoscenze: bellezza, finezza d’animo, intelligenza, sincerità, schiettezza, luminosità e tutto quanto mi era piaciuto in quasi settanta anni di vita.

Oggi ne ho ottanta e sei mesi e non sono pentito di niente,

 

Bologna  14 maggio  2025 - ore 11, 43 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Properzio, II, 15, 12.

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