La forza educativa dell'esempio buono e il cattivo esempio di Ate che tutti accieca. L'impulso divino insito nell'educazione.
L' azione educativa della dea culmina nell'esempio: Oreste è riuscito a vendicare il padre, così Telemaco, che è altrettanto grande e bello deve essere valoroso ("a[lkimo"") per acquistare buona fama tra i posteri (Odissea, I, v. 302).
"Il poeta attribuisce evidentemente valore altissimo al motivo dell'esempio...Senza l'esempio concreto l'ammaestramento di Atena mancherebbe dell'elemento normativo convincente sul quale esso possa fondarsi. Appunto nel caso scabroso dell'uso della violenza, il riferimento a un illustre esempio è doppiamente necessario per far impressione al delicato giovinetto.
Già nell'assemblea degli dèi il poeta ha fatto illustrare il problema morale della vendetta dallo stesso Zeus mediante l'esempio di Egisto e Oreste[1]. L'importanza essenziale che assume il motivo dell'esempio nell'educazione di Telemaco alla sua missione fatale, si riaffaccia anche nel sèguito dell'azione, come nel discorso di Nestore a Telemaco[2], dove il venerando vegliardo interrompe a mezzo il suo racconto delle vicende di Agamennone e della sua casa, per proporre Oreste quale modello a Telemaco, e questi gli risponde esclamando:
" A ragione Oreste fece vendetta, e gli Achei diffonderanno la sua fama largamente, oggetto di canto per le generazioni avvenire. Così gli dèi dessero a me pure tal forza, ch'io potessi far vendetta sui Proci della loro obbrobriosa prepotenza".
Lo stesso motivo dell'esempio di Oreste si ripete al termine del racconto di Nestore[3]; esso è dunque impiegato alla fine di ambo le parti principali del suo lungo discorso, con molta insistenza e ogni volta con espresso riferimento a Telemaco"[4].
Anche nell'Iliade c'è un discorso esortativo del maestro all'alunno con l'impiego del paradigma: si tratta di Fenice che nel IX canto prega Achille di accettare i doni di Agamennone, domare il cuore magnanimo (davmason qumo;n meganv, v 496) e smettere l'ira (mh`nin v. 517) facendogli l'esempio (negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la madre Altea che l'aveva maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo supplicavano offrendogli dei doni, se li aiutava contro i Cureti dell’Acarnania i quali assalivano Calidone. Il giovane ostinato intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il talamo (v. 588) dove egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella lo pregò ed egli intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli diedero più i doni preziosi e belli (vv. 598-599).
Anche qui dunque c'è l'uso del paradigma. "In nessun altro luogo dell'Iliade Omero è, in così alto grado come qui, maestro e guida della tragedia, come lo chiama Platone[5]...Dall'esempio di Meleagro si stacca l'idea religiosa dell'Ate, che è di tanto peso per il poeta dell'Iliade quale ci sta dinanzi compiuta. Sullo sfondo dell'allegoria, moralmente commovente, delle litài , delle preghiere, e della pervicacia del cuore umano, quest'idea brilla come un lampo minaccioso da cupe nubi"[6].
Le Preghiere ("Litaiv", Iliade , IX, 502) racconta Fenice, sono figlie di Zeus, zoppe, rugose e losche d'occhi; seguono Ate che è gagliarda, veloce e percorre la terra danneggiando gli uomini; esse pongono riparo se vengono invocate; ma se uno le rifiuta, le Litài chiedono a Zeus che l'Ate lo insegua ed egli paghi il fio. Ate insomma è una smisurata forza irrazionale contro la quale spesso la volontà e l'educazione umana sono impotenti.
Un vero e proprio trofeo di Ate ( "[ Ata" tropai'on", Eschilo, I sette a Tebe , v. 956) si trova sulle porte di Tebe sulle quali urtavano i fratelli figli di Edipo ammazzandosi a vicenda, poi, impadronitosi dei due, il demone cessò ("duoi'n krathvsa" e[lhxe daivmwn", v. 960).
Torniamo però al pimo canto dell’Odissea . Telemaco risponde affettuosamente all'ospite Mente quasi accettandone una specie di paternità vicaria (308) quindi lo invita a restare e ad accettare doni, ma Atena se ne va volando via come un uccello, e ispirando forza e coraggio ("mevno" kai; qavrso"", v. 321, come in Iliade - V 2- a Diomede) al giovane che capisce la presenza divina e torna tra i pretendenti. Così noi comprendiamo" che nell'influenza liberatrice d'ogni vera azione educativa, la quale da un ottuso impaccio scioglie tutte le energie giovanili a lieta attività, è insito un impulso divino, un miracolo naturale. Come Omero, nel fallire del maestro Fenice di fronte all'ultimo e più arduo compito, quello di piegare l'animo d'Achille votato alla fatalità nel nono canto dell’Iliade, riconosce l'opposta influenza del demone; così, nel felice mutarsi di Telemaco da giovinetto irresoluto in vero eroe venera piamente l'opera di una grazia divina"[7]. Achille dunque non dà retta al buon consiglio di Fenice, Telemaco sì a quello di Atena.
Sull’acciecamento sentiamo anche l’Antonio di Shakespeare: “But when we in our viciousness grow hard-O misery on’t-the wise gods seel our eyes;-In our own filth drop our clear judgements; make us-Adore our errors; laugh at’s while we strut-To our confusion” ( Antonio e Cleopatra, III, 13), ma quando ci induriamo nella nostra viziosità, O miseria di ciò! I saggi dèi acciecano I nostri occhi; fanno cadere I nostri chiari giudizi nella nostra stessa sozzura; e ridono mentre camminiamo impettiti verso la nostra sconfitta.
Bologna 5 maggio 2025 ore 16 giovanni ghiselli
p. s.
A proposito di esempi cattivi. Nel quotidiano “la Repubblica” di oggi Concita De Gregorio scrive un articolo intitolato Quei giovani non fanno notizia. In prima pagina c’è anche la foto di un ragazzo con la didascalia: “Rissa tra tifosi di Inter e Atalanta ucciso a 26 anni a coltellate”.
La violenza è talmente di moda che non fa più notizia.
Ci hanno abituati gli ultimi anni di guerra con bombardamenti che uccidono decine di persone inermi ogni giorno. Raramente e difficilmente si levano voci autorevoli contro tale scempio che non risparmia nemmeno i bambini già feriti e ricoverati in ospedale.
Voci autorevoli poche, voci del potere nessuna. Sento il dovere di levare la mia, per quello che conta. Spero solo di risvegliare qualche coscienza e cerco di sentirmi meno complice.
[1] Odissea, I 32-47.
[3] III 306-316.
[4]W. Jaeger, Paideia 1, pp. 81-82.
[5]Platone Repubblica 595c: " e[oike me;n ga;r tw'n kalw'n aJpavntwn touvtwn tw'n tragikw'n prw'to" didavskalov" te kai; hJgemw;n genevsqai", sembra infatti essere il primo maestro e la guida di tutti questi bravi poeti tragici.
[6]Jaeger, Paideia 1, pp. 70-71.
[7]Jaeger, op. cit., p. 77.
Nessun commento:
Posta un commento