martedì 13 maggio 2025

Ifigenia CIII. Il concubito pericoloso. Lepidi moretti.


 

Ci incamminammo lungo la via che costeggia la spiaggia. A un tratto vedemmo un edificio enorme, tetro, cadente, situato tra la strada asfaltata e la riva renosa. Era circondato da una rete metallica tanto fitta di squarci che poteva essere attraversata anche da persone assai meno snelle di noi. Eravamo in costume da bagno. Avevo preso  un lenzuolo per la schiena di Ifigenia o per quella mia se avessi fatto l’amore “beato e resurpino” come era solito Totò Merumeni con la cuoca diciottenne.

Tra la rete e il cupo edificio c’era un prato che sembrava quello della sciagura di Empedocle: pieno di morbi e putredine.

Vi si vedevano carte, lattine, bottiglie, siringhe, stracci sporchi, resti di fuochi e di sciagurati bivacchi. Doveva esserci stato un qualche sabba di streghe presiedute da Ecate o da altre incantatrici malefiche .

La brama amorosa doveva essere immensa per superare lo schifo sparso dovunque. Attraversammo quella landa dell’orrore attenti a non rimanerne insudiciati o feriti, e giungemmo a tre gradini grandi ma sbrecciati che menavano a un corridoio. Li superammo con cautela e apprensione. Sull’andito macerie e sporcizia erano un po’ dappertutto :  si vedevano ovunque segni di caos: pezzi di soffitto caduto, di piancito crollato, di scale precipitate: doveva esserci stato  uno sfacelo non tanto remoto, una catastrofe scatenata dall’ira divina contro i malvagi fruitori di quel luogo ove ogni sorta di nefandezza era stata perpetrata per anni.

A un certo punto però  quei discepoli di Satana non avevano trovato scampo. Da uno di quegli orribili mucchi sbucò una piccola serpe nera che saettò per alcuni metri fino a infilarsi in un altro  cumulo immondo.

Due amanti meno ossessi sarebbero fuggiti via da quel posto infernale. Invece noi provammo a salire due lunghe rampe di scale senza ringhiera.

Omnia vincit amor.

Il piano di sopra presentava un pavimento non meno bucato e  più pericoloso di quello inferiore dato il dislivello, però era meno ingombro di schifezze. Lassù sentivamo con paura maggiore il problema della stabilità ma con minore ripugnanza lo schifo del luridume e il terrore di imbatterci in persone pazze e criminali.

La spinta erotica reciproca era ineluttabile, sicché ci mettemmo a cercare un luogo  appena plausibile finché trovammo uno stanzone deve si trovavano accumulate vasche gigantesche, forate in varie zone ma pur sempre gravose sul pavimento che perciò doveva essere duro. Pensammo che l’esiguo peso dei nostri corpi, non più di centodieci chili in due, non avrebbe aggravato granché quello delle vasche per ghiottoni mai sazi, defunti oramai con il maiale mai digerito nello stomaco avido.

Quindi stesi il lenzuolo da bagno sopra i pochi mattoni sgombri e lo pregai di svolgere la funzione di vello matrimoniale. Per lusingarlo lo chiamai vello d’oro e lo accarezzai.

In tale talamo facemmo l’amore diverse volte nonostante sentissimo rumoreggiare qualcuno o qualcosa e potessimo essere colti durante il concubito periglioso da qualche drogato o alcolizzato o delinquente pazzo pronto a spezzarci la schiena, il ventre, le gambe, insomma la vita.

 

Bologna  13 maggio 2025 ore 18, 01 giovanni ghiselli

 

p. s. Lepidi moretti

Ho visto di nuovo il film Gandhi con Ben Kinglsey. Mi commosse quando lo vidi nel 1983. Oggi mi commuove il ricordo che allora Ifigenia,  oramai trentenne, volle fare l’amore con me due anni dopo il discidium. Disse che le ricordavo quell’attore, un altro lepido moretto all’epoca.

Magari con una parrucca nella prima parte della storia.

Anche il nuovo Papa alcuni decenni fa era un lepido moretto. Senza parrucca. Noto che continua a tenersi in forma. Troppa pompa però rispetto all’imitatore del poverello a sua volta Imitator Christi.   

 

Statistiche del blog

Sempre1729575

Oggi550

Ieri486

Questo mese6430

Il mese scorso15712

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento