Martedì 22 maggio, ad anno scolastico quasi concluso, subito dopo l’intervallo, il preside entrò rapidamente, ossia senza bussare, nella quarta ginnasio dove facevo lezione. Ci alzammo tutti; io lo salutai e lo invitai a occupare il mio posto. Egli sedette, suonò il campanello e alla sopravvenuta bidella ordinò di portare una sedia per me. Quindi ci mettemmo seduti tutti e la donna uscì.
Non so se si dice ancora bidello ma ai tempi miei usava, e tale funzione aveva la sua importanza anche educativa, il suo valore.
Il preside-anche questo vocabolo è uscito dall’uso al pari di spazzino o di cieco- iniziò l’inquisizione con cui il dirigente, come si dice ora, voleva accertare la mia capacità di insegnare italiano, latino, greco, storia e geografia nel ginnasio dove mi aveva confinato dopo tre anni di insegnamento liceale più che onorevole.
Se avesse indagato sulla geografia, avrebbe potuto giudicarmi non idoneo all’insegnamento di questa materia. Illustravo soltanto quella dell’Ellade sia pure con pathos e competenza vissuta, siccome ne avevo già percorso in bicicletta strade sul mare e tra i monti. Per fortuna nemmeno lui conosceva la geografia. Voleva indagare solo sulle conoscenza mie di grammatiche e manuali. Soltanto queste era importanti per quell’uomo. I colleghi ostili gli avevano detto che le trascuravo.
Sicché domandò: “dove siete arrivati con la grammatica greca?” Il corifeo rispose :”l’abbiamo quasi conclusa: l’anno prossimo vogliamo cominciare a leggere gli autori in lingua. Il professore ce ne ha fatta venire la voglia”.
“Voglia di che?” domandò colui, sospettoso. Già scuoteva lo scarso pelo rossiccio che aveva in testa e arrotava i denti.
Io ero “malfamato” come donnaiolo, stravagante rispetto ai percorsi ordinari, e pesarese per giunta, quasi un meridionale, dunque mezzo mafioso.
Ferrari, uno bravo, rispose: “voglia di leggere una tragedia in greco per imparare, dopo le grammatiche, la lingua attraverso tanti vocaboli e la bellezza di un testo che colpisca la sfera emotiva”.
Il preside lo interruppe.
“Allora tu che hai questa voglia intempestiva dimmi come fa la seconda persona plurale dell’aoristo medio di divdwmi.
doi`sqe rispose pronto il ragazzo.
“Bene, bravo, vedo che tu hai studiato nonostante tutto”, disse il preside togliendo ogni importanza al mio insegnamento per non sbugiardare i colleghi malevoli e calunniatori
Poi continuò: “Vediamo anche il latino. Visto che vi stanno tanto a cuore i vocaboli, voglio sentire come si dice fato in latino”.
Rispose una ragazza studiosa e brava, Elena: “Fatum, ma nel Satyricon si trova fatus per la tendenza del genere neutro a sparire”.
Il preside si allarmò e domandò: “non leggerete mica quel libro inverecondo e licenzioso alla vostra età? Tu sei solo una bambina”.
“Ancora no, ma il professore ce ne ha parlato durante una lezione di storia che lui associa sempre alla letteratura”
“E non vi crea confusione questo?”
“No, tutt’altro. Dà chiarimenti, ci interessa e ci piace. Pure mia madre legge con interesse gli appunti che prendo”
“E’una signora colta, intelligente e carina”, dissi io allora per provocare il piccolo inquisitore, già in difficoltà.
A dire il vero, credo che non gli dispiacesse del tutto il fatto di non potermi censurare. Sapeva di avermi fatto del male e ne era sazio. Magari aveva pure capito che sarei stato più utile alla “sua” scuola leggendo e commentando gli autori nel triennio.
Tentò un’altra prova.
“Adesso voglio vedere se ricordate qualcosa dell’aoristo fortissimo”
Guardò l’elenco degli alunni, quindi rialzò la testa con miglior labbia invero rispetto al momento dell’ingresso inopinato.
Sentiamo: Corti Romano. Non Ateniese,vero?” Voleva apparire paterno e spiritoso,
“Dimmi la prima persona del congiuntivo dell’aoristo terzo di baivnw”
“bw`” rispose Corti.
Il dirigente volle mostrasi di nuovo faceto: “Che cosa vuoi dire con questo bó: che non lo sai?”.
“Se vuole, lo scrivo nella lavagna: beta e omega con l’accento circonflesso”.
Lo so, lo so, e vedo che lo sai anche tu. Tu Corti Romano e Greco vedo.
Ma vediamo se conosci anche la storia Romana e meriti il nome che hai: in quale anno Cartagine venne distrutta e da chi?
“Nel 146 da Scipione Emiliano che ne pianse pensando che un giorno tale catastrofe sarebbe toccata anche a Roma, come racconta Polibio”.
Il preside deve avere pensato che quel ragazzo ne sapeva anche troppo, e che poteva metterlo in imbarazzo.
Suonò la campanella dell’intervallo. La parte più importante dell’ispezione era finita. Allora le materie che contavano nel liceo classico erano latino e greco, anzi greco e latino. A me questo non dispiaceva. Dopo tutto, dallo studio dei classici non solo ho imparato a parlare e a scrivere come si deve ma ho anche tratto il fondamento della mia identità.
Comunque non trascuravo la storia greca e romana, né l’italiano. Della nostra letteratura preferivo approfondire quella più legata agli autori greci e latini; inoltre mi stavo preparando anche su alcuni autori europei: soprattutto inglesi, tedeschi e russi per ampliare il mio repertorio e potenziare il mio metodo già allora comparativo.
In quel tempo tale mevqod~, questa via, nella scuola non esisteva: nessun antichista mi aveva mai detto che Shakespeare per alcuni drammi ha utilizzato una traduzione inglese di una traduzione francese di biografie di Plutarco come quelle di Giulio Cesare, di Antonio, e di Coriolano.
All’Università ero stato indirizzato a studiare T. S. Eliot dal professor Carlo Izzo . Leggendo La terra desolata mi ero sentito incoraggiato e autorizzato ad accostare espressioni usati in maniera simile da autori diversi anche molto lontani nel tempo. Lo facevo d’istinto quando ero scolaro e ripresi a farlo insegnando.
Dopo avere studiato l’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, per esempio, ripassavo la Vita di Antonio e quella di Giulio Cesare di Plutarco. Facevo dei confronti e rivedevo la lingua inglese che mi era simpatica poiché me ne ero avvalso per corteggiare le ragazze straniere.
Il preside dunque tornò dopo l’intervallo per esaminare e magari sanzionare il mio insegnamento dell’italiano.
Mi domandò su quali poeti avessi fatto lezione nei mesi precedenti. Sospettava che scegliessi e propagandassi testi eversivi o immorali.
I rumores dei colleghi della cricca maligna facevano girare queste idiozie calunniose nei confronti miei e degli autori che preferivo. Questi erano spesso censurati o messi all’indice dai docenti rimasti alla scuola manualistica e acritica del loro buon tempo antico.
Bastava la parola libido, detta magari spiegando Freud, a metterli in allarme. Tali pettegolezzi venivano riferiti anche alle mamme dei ragazzini. Le madri più intelligenti e colte si scandalizzavano non per la mia parresia nel riferire gli autori ma per il fatto che certi colleghi mi biasimavano siccome non censuravo Freud appunto, o Catullo, o Marziale o Petronio.
Queste mamme non raggirabili mi erano simpatiche e non lo dissimulavo, anzi.
Una volta una di loro mi domandò: “che fa professore, mi corteggia?”
“Io sì- risposi- però, se le dispiace le chiedo scusa”
“Non mi dispiace”, replicò, e quando la figlia non era più mia scolara, mi invitò a vedere Le nozze di Figaro al teatro dell’Opera di Roma. Che sia benedetta con altre donne, con altre mamme siffatte, così ben fatte.
Questo fu un caso speciale, ma nessun genitore degli allievi del Minghetti condivise le critiche del preside e della sua cricca cui non piacevo ed era a sua volta spiacente a me e agli amici miei.
Alla domanda del microinquisitore risposi “Foscolo, Leopardi e Pascoli”.
Del poeta romagnolo l’improvvisato critico disse che era morboso, che era stato perfino in galera e certe sue poesie non erano adatte a studenti quindicenni.
Comunque se ai genitori io andavo bene, lui non poteva fare niente per impedirmi di impartire una pseudoeducazione che rasentava la corruzione dei giovani, mi disse una volta allargando le braccia.
Gli risposi che le sue accuse mi onoravano perché le medesime imputazioni aveva ricevuto Socrate.
“Lei sa com’è andato a finire, vero?”, provò a spaventarmi dando anche a vedere che conosceva la fine di Socrate e che era un uomo di spirito.
Stavo per risponde con ironia quasi offensiva: “No, me lo dica lei egregio preside che scopre e sa mille cose rimaste celate a questo semplice professore di ginnasio!”.
Invece mi trattenni e risposi citando Nietzsche: “Sì è stato giustiziato dalle Menadi del tribunale ateniese” [1]. “Quali menadi?” borbottò e uscì avendo forse fiutato che dietro tale risposta c’era un autore di peso.
Troppo pesante Nietzsche per quel pover’uomo.
Sono contento di avere messo alla berlina un dirigente maldisposto nei confronti dei docenti che avevano uno stile diverso dal suo, cioè più bello e più fine. Riconosco che non era un uomo del tutto cattivo, ma sono certo che con un preside come i due precedenti -Davide Ciotti del Rambaldi e Piero Cazzani del Minghetti -avrei lavorato meglio nella scuola e i miei allievi avrebbero avuto un educatore assai più sereno.
Ifigenia avrebbe avuto un amante più contento.
Torno dunque alla storia d’amore che sto raccontando. Ora comprendo che se l’autunno seguente la relazione con questa ragazza si affloscerà un poco alla volta in maniera irreversibile, il decadimento sarà dovuto anche al mio impegno strenuo ed estenuante volto a colmare diverse lacune di letteratura moderna.
Allora indirizzavo quasi tutta la mia libido sullo studio. Dovevo leggere le opere degli autori a casa, riassumerle, poi imparare le mie sintesi commentate per raccontarle guardando gli allievi.
Affrontavo con l’intento di capirli e averne una visione d’insieme autori grandiosi come Shakespeare, Goethe, Tolstoj, Dostoevskij, Proust, Thomas Mann, Musil, Hesse, Kafka, Ibsen, e pure autori italiani che non conoscevo abbastanza come Svevo e Pirandello. Volevo presentare ricerche ottime, per interessare sempre i ragazzi e farli venire a scuola da me volentieri.
Tutti, non uno di meno. Passai altri due anni così. Quindi anche Ifigenia passò come tante altre. Dal mio vivere ma non dal mio pensare.
Avvertenza:
Questo è il link per accedere ondine all’incontro del 19 maggio 2025 nella Biblioteca Ginzburg di Bologna.
Presenterò l’Ulisse di Joyce confontato con quello di Omero
https://meet.google.com/sjy-euew-hxx?authuser=0&hs=122&ijlm=1744810639363
Successivamente, il 9 giugno presenterò l’Odisseo di Omero.
Pubblicherò anche il link di questa seconda conferenza appena me lo manderanno. La biblioteca ha due copie del mio romanzo pubblicato Tre amori a Debrecen con l’antefatto di questa storia.
Sono in prestito per chi le chiede. E’ tutto gratis alla Ginzburg telefono O51- 466307. Non pubblicizzo niente che comporti un profitto diverso da quello mentale e dalla crescita morale.
Bologna primo maggio 2025 ore 16, 18 giovanni ghiselli
p. s.
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