Anticipò Oskar Spengler
per il senso caleidoscopico delle origini delle migrazioni e delle cause della
fine della civiltà scomparse. Da Giambattista Vico ereditò lo spirito evolutivo
dei tempi; lo sviluppo dei cicli e la storia civile delle Nazioni come
progresso dalle masse popolari.
1. Note biografiche e vicende formative di pensiero
Nato in una famiglia piccolo borghese di immigrati a Milano di origine bergamasca (1801); nel 1817, dopo studi teologici in seminario, già al Liceo milanese di S. Alessandro, lesse I sepolcri del Foscolo, La fenomenologia dello spirito di Hegel, si appassionò alla Corinne ou L'Italie di Madame de Staël, della quale conobbe anche il saggio Sulla maniera e la utilità delle traduzione, nonché del tedesco Franz Bopp apprezzò il sistema delle coniugazioni del Sanscrito quale base per le lingue greche, latine, persiane e gotiche.
Silvio Pellico per la comparazione dei popoli lo portò a Vico, autore che sarà da lui riletto più volte in chiave contemporanea. Mentre risentì della ascesa imperialista di Napoleone ed ebbe sgomento per la sua caduta. Attendeva con speranza dal Congresso di Vienna (1814-1815) una riforma istituzionale ed economica sul Continente che rifuggisse dal protezionismo francese e si adeguasse al liberoscambismo anglosassone di Smith e Ricardo, che frequentò in lingua originale per il suo giovanile entusiasmo per gli idiomi di origine gotica.
La famiglia però appena diplomato, non poté per indigenza fargli frequentare a Pavia il collegio universitario Ghisleri, dove avevano insegnato Verri e Beccaria, i nobili illuministi più in voga. Dovette ripiegare nelle scuole private di G. D. Romagnosi, che fu la sua fortuna, perché il Maestro riconoscerà il valore del giovane e lo farà nominare docente di Latino nella provincia milanese. Uno stipendio fisso che altri giovani dell'epoca - per esempio, August von Platen, nobile ma squattrinato - agogneranno e che incideranno il loro animo ribelle.
Nel 1821 tre eventi lo arricchiranno in cultura e ideali: La filosofia del diritto di Hegel; Il processo ai Carbonari del Conciliatore, rivista che apprezzava e soprattutto il viaggio in Svizzera, paese che sarà modello di vita fino alla morte, scelto nel 1865 come luogo di fuga già dopo la repressione austriaca nel 1840 (abitò in particolare a Castagnola sul Ticino). Fedele al Romagnosi - e critico rispetto al misticismo Religioso di Manzoni e di De Maistre, di cui Il 5 maggio e Le riflessioni di San Pietroburgo, sono appena uscite nella Milano conservatrice ancora lontana dalle prospettive capitaliste del mondo anglo sassone; in vari articoli sulla stampa locale illustrò con originalità la filosofia giusnaturalista quale rimedio alla prospettiva formalista e statalista hegeliana, riaprendo il discorso di Vico sul “diritto naturale delle genti”.
Fra il 1822 e il 1823 studiò con forti perplessità la Storia conservatrice della Francia di Guizot; plaudì alla rivoluzione della musica classica di Beethoven, dopo aver ascoltato la nona sinfonia, che gli fece anche incontrare Schiller. Del resto, nel decennio 1824-1834, il giovane docente classico di liceo - peraltro ora finalmente laureato a Pavia in giurisprudenza, guarda caso con tesi di laurea su Vico - commentò le varie dottrine politiche protezioniste, non solo europee, legate all'intervento armato della Santa Alleanza fra le Grandi Potenze Continentali, rivolto a soffocare i moti di indipendenza nazionali che per converso guardavano al libero scambismo come economia ancillare alle libertà civili e politiche.
L'intervento militare austriaco in Piemonte e Sicilia (1820 - 1821); quello francese in Spagna e in Sudamerica (1823) e la repressione decabrista in Russia (1825); fecero rafforzare in Cattaneo la convinzione della combinazione lineare fra diritti civili e liberismo economico, senza mai cadere nella contraddizione autoritaria in politica interna e nel Nazionalismo in politica estera, cui già Hegel era precipitato negli anni della Restaurazione. Un aspetto di pensiero che ritrovò nella dottrina Sovranista del Monroe, il famoso presidente americano che nel 1823 aveva da una parte difeso le legittime aspettative di libertà del Sudamerica dal colonialismo britannico e spagnolo e che a esse aveva però sostituito il Protezionismo politico ed economico statunitense ben consapevole che quel primordiale Sovranismo era la chiave per acquisire materie prime per il proprio paese.
Tuttavia, Cattaneo, nella prolifica produzione di articoli storici e scientifici che pubblicava nell'antologia del Vieusseux a Firenze, nonché nella Biblioteca Italiana dove ancora scriveva il Romagnosi; si schierò con entusiasmo a favore della Gran Bretagna, quando nel 1834, venne abolita la schiavitù nelle colonie inglesi. A impressionarlo è però l'opera di Auguste Comte, che nel suo corso di filosofia positiva (1830), riesumò il Vico e ne diede una lettura positiva, realista e metodologicamente scientifica, perché aveva abbandonato ogni retaggio mistico rilevato nell' hegelismo spiritualista dominante. Intanto, la rivoluzione di Luglio 1830 a Parigi lo esaltava e lo rincuorava. La politica liberista di Luigi Filippo che ridava speranza all'ideale concreto liberoscambista e rincuorava i nuovi liberali lombardi. Il circolo letterario di Clara e Andrea Maffei diventava la centrale neoromantica italiana, mai abbandonata dai filoilluministi non solo lombardi. Un simposio di culture diverse fra ragione e sentimento, unite però nella comune volontà politica di liberarsi non solo dal protettorato austro-ungarico, ma anche di acquisire nuovi modelli economici europei rivolti alla istruzione delle masse popolari, alla loro salvaguardia sanitaria e al libero gioco democratico.
Erano le narrazioni già nel 1835 del Tocqueville con la sua Democrazia in America, senza contare la revisione storica dell'Ellenismo multiculturale del Mediterraneo centro orientale del terzo secolo a. C., che lo storico positivista Johann Gustav Droysen rappresentava nel 1836 ad Amburgo, correttore della visione pan-classicista e nazionalista della scuola prussiana di Ranke. Lo spirito realistico di Cattaneo ritrovava in Droysen la mediazione fra mondo antico di Pericle, Socrate e Tucidide, con quello occidentale ellenistico di Alessandro, Archimede e Paolo di Tarso, dove l'aspetto idealistico conviveva col metodo scientifico più vicino alla realtà romana dell'epoca. Forte di tali ultime esperienze, ulteriormente integrate dall'economia politica di Stuart Mill intrisa di logica induttiva e da utilitarismo pratico; Cattaneo scrisse il primo saggio socioeconomico, Le interdizioni israelitiche (1835-1836).
E qui ritornava in ballo l'amata Svizzera, il cui federalismo multiculturale gli era piaciuto nel famoso viaggio giovanile che dicemmo. Per la sua prima e più ampia analisi partì da un caso giudiziario. I fratelli Wahl, in particolare, ebrei francesi avevano fatto ricorso alla Corte Suprema di Basilea per mantenere la proprietà di un fondo agricolo acquistato in quel Cantone. I giudici di primo grado avevano annullato l'atto perché erano ebrei e dunque incapaci di acquistare. Neppure una legge francese del 1791 che aveva concesso la cittadinanza locale agli ebrei e la relativa equiparazione ai cittadini svizzeri di lingua francese, era stata sufficiente a superare il divieto assoluto di negoziare con gli Ebrei. L'innovazione antisemita della Grande Rivoluzione non era stata rimossa nel Paese europeo più multiculturale dell'epoca. Carlo insorse a tale ineguaglianza.
Giustizia e utilità sociale erano per lui - e per Stuart Mill, ma anche per Romagnosi, Beccaria e Verri - un binomio inscindibile. Quale beneficio pratico aveva lo Stato svizzero da quel divieto astratto e di fatto incomprensibile? Se la tolleranza religiosa e l'eguaglianza giuridica era la base di ogni legislazione moderna; essa era però derivata da un rigetto medievale a-cristiano perché ne aveva esaltato un'ideologia aprioristicamente infamante di un popolo etichettato senza ragione come sordido, avaro, sprezzante, chiuso e malvisto, solo perché votato all'investimento, figlio del risparmio, ma non della mera usura senza alcun interesse collettivo, condotta invece tipica della classe cattolica sacerdotale. Proprio il diritto di proprietà, magnificato dal Tomismo, aveva dato segnali di ricerca del profitto di per sé senza alcun beneficio sociale.
A tal proposito, Carlo, forte dell'insegnamento di Vico e dell'analisi statistica di Comte, provò con dati tecnici alla mano, che solo l'intraprendenza commerciali cristiana dopo il XV secolo, proprio nella Firenze dei Medici, spinse una nuova classe dirigente impregnata di Umanesimo, a iniziare a disinvestire i propri capitali dalla proprietà agraria, individuando nella città le nuove sedi del Mercato. Era un'indagine finalmente moderna, zeppa di esempi risalenti al Medio Evo, dove il genio lombardo, nel rivedere le leggi di ispirazione cristiana molte proibitive per gli Ebrei in Europa, sul modello del primo Impero Romano; formulava da una parte la tesi storicista della crescita del potere politico cristiano; ma al tempo stesso rilevava la scoperta dell'economia dell'investimento fondata sul prestito di denaro adottata proprio dagli Ebrei. Limite che li escludeva però dalle professioni e li rilegava all'usura illecita e allo scambio in natura. E cita proprio Dante che qualificò i cc.dd. barattieri come una razza infida e peccaminosa.
Invece Cattaneo, ribaltò la interpretazione dominante e conferì a pensatori razionalisti, come Spinoza, la capacità di rovesciare il senso comune e rilesse la cultura usuraia in senso sociale, cioè di apertura al diverso, cosa che concederà loro di arrivare al successo economico e culturale. Dopo i secoli bui medioevali e le guerre di religione fra Cristiani, la cultura occidentale illuminista e positivista, lo sviluppo della economia capitalista e delle scienze e della tecnica, sarebbe diventata loro debitrice, specialmente per la scelta urbanistica. Di qui, il suo invito a superare i preconcetti religiosi e a interpretare realisticamente la situazione sociale, estendendo la loro storia anche alle classi popolari e a quel proletariato industriale che in Gran Bretagna e in Francia aveva aiutato Luigi Filippo alla conquista del potere. Intanto, nel 1838 sposò a Trieste, già città europea multietnica, Ann Pyne Woodcock, nobile irlandese, che gli resterà fedele per tutta la vita.
Poco prima però smise di essere insegnante, sia perché le sue attività aperte alla ricerca sociale e il suo evidente liberismo politico lo escludevano dai circoli conservatori e dalla cultura cattolica dominante, senza contare che il suo nome era sotto controllo della polizia dell'Imperial Regio Governo. E gli fu obbligata la strada della pubblicistica tecnica: attraverso lo studio delle prime ferrovie britanniche e di quelle svizzere - suo è il saggio Ricerche sul progetto di una strada di ferro fra Milano e Venezia (1836) - abbinò le innovazioni tecniche alla politica dei trasporti, le due vie per lo sviluppo capitalista del Paese.
Nel 1838 avverrà un ulteriore salto di qualità: la fondazione di un giornale economico e sociale, di ispirazione sociologica, dedicata proprio agli studi sul basso Medio Evo e sulle affinità linguistiche fra i popoli d'Europa (Il politecnico). Prese spunto anche da una coeva rivista europea, che contemporaneamente e su temi analoghi vide Carlo Tenca e Giacinto Battaglia tentare una via del pari meditata nel salotto Maffei. Da queste analisi - connesse alle migrazioni indoeuropee verso aborigeni meno resistenti, cioè dopo le guerre bibliche e quella di Troia dove i popoli dell'età del bronzo cederanno a quella del ferro - gli Indeuropei prevarranno linguisticamente sulla stirpe inferiore, come avverrà nel Medio Evo con le invasioni barbariche che si fonderanno con le razze latina. Mentre la colonizzazione inglese e francese si manterrà più o meno separata da quelle native. Il fenomeno si riflette sulle lingue: a volte sarà prevalente quella dell'invasore - si pensi alle civiltà Amerinde - altre volte la reazione dei nativi sarà più forte e dunque la lingua sarà il limite della integrazione.
Cattaneo riconosce la violenza del razzismo europeo, ma cita gli Stati Uniti che comunque già tendevano a una società multiculturale, come il Nord di quel Paese che con una guerra civile proseguirà verso quel sistema.
Nondimeno, è del 1844 l'importante saggio sulla La scienza nuova, di Giambattista Vico, opera che risveglierà la considerazione del filosofo in Europa. Nel frattempo, tre autori italiani, un tedesco e un francese, turbano il pensiero di Carlo: Alessandro Manzoni editava I promessi sposi, in via definitiva; il cattolico Vincenzo Gioberti pubblicava Del primato morale e civile degli Italiani; il liberale laico Cesare Balbo, Le speranze d'Italia. Saggi che lo interessavano per la natura federalista del progetto unitario, anche se una radicale differenza persisteva e sarà motivo di rottura dell'alleanza fra gli Stati italiani nella Prima Guerra di Indipendenza, perché l'uno aspirava a una Federazione capeggiata dal Papa, l'altro a una federazione laica guidata da Carlo Alberto Re di Sardegna. Al repubblicano e democratico lombardo il conflitto istituzionale fra le due proposte non andava bene. Inoltre le due pubblicazioni straniere aumentavano in economia le sue perplessità. Se Proudhon in Francia nel 1840 dava alla proprietà privata terriera la qualifica di un furto come diritto del primo occupante e i proprietari erano redditieri rapinatori della forza lavoro agricola; nondimeno Friedrich List, prussiano, riproponeva l'ideologia dello Stato Nazionale chiuso, protezionista e nazionalista a tendenza dominativa.
Sulle colonne del Politecnico invece Cattaneo propose una democrazia rappresentativa in forma istituzionale atta a mediare l'origine tribale collettivista e la coscienza individuale, che gli maturava dopo una vita raminga di esule. Il suo io - dell'uomo primitivo nel gruppo - era conscio di quei barbari onori e di quei barbari poteri, onde concepisce già l'idea di un ordine di cui sente d'essere regola in seno alla sua tribù, e attribuirà un simile ordine anche alla volontà che ritrova nella natura... ma la domanda di ordine genera la coscienza individuale, perché è l'anima dell'individuo che fin dai tempi omerici vediamo levarsi forte e sdegnosa contro Calcante e Agamennone, il tiranno e l'anarchico. E invece Prometeo che confitto alla rupe ragiona contro il Fato e invoca la società civile.
Certamente, in Cattaneo albergavano due tendenze, il principio di socialità - che si ritrova nei saggi Della Sardegna antica e moderna e la monografia Notizie naturali e civili sulla Lombardia (1841 e 1844) - e la naturale domanda di libertà, una profonda riflessione sui limiti della individualità umana. Nondimeno, la accettazione di un corso storico e di un ricorso, magari eguale ma contrario al passato; sembrava mostrare un Cattaneo diviso in due, non ancora essendo in lui ancora netto il rapporto politico fra individuo e società, che maturerà solo dopo l'impegno politico nelle vicende del '48. Prima si domandava quale fosse il limite concreto di un’unità plurima? Era forse questa l'origine della democrazia moderna? Quella anglosassone di Tocqueville e Costant? Oppure quella del Falansterio di Fourier, dove un grosso fabbricato di inquilini, ordinato dal Potere con la Forza, gli appariva una riedizione del mondo altomedievale in mano alla classe sacerdotale, che governava all'ombra del tiranno di turno. Sebbene non trascurasse di richiamare i valori etici e morali del Cristianesimo; egli si dedicava a dimostrare la loro involuzione finché un nuovo corso si riapriva, rinforzato però di volta in volta verso un'emancipazione delle classi subalterne. Anzi, citava il Parlamento inglese che abolì la schiavitù, un tornante della Storia analogo a quello già esaminato della fine dall'antisemitismo. La dura Ragione di Stato rinasceva mitigata dai voti della Giustizia e della Umanità, una mano invisibile analoga a quella che l'amato Smith aveva rinvenuto nell'economia di mercato e che ne reggeva comunque le sorti. Frattanto nel periodo successivo alla Rivoluzione di Luglio del 1830 e fino ai moti del 1848, già nel 1831 il ducato di Mantova era affetto da moti liberali, repressi con l'aiuto austriaco prestato al duca di Modena Francesco IV. Ciro Menotti e Vincenzo Borelli pagarono con la vita la rivolta in Emilia-Romagna che aveva creato l'effimero Stato delle Provincie Unite Italiane. Metternich invitò il Papa Gregorio XVI, ultraconservatore, a modernizzare l'amministrazione papalina. Il silenzio del governo romano era assordante. Contro tali immobilismi e per sostituire i mali della Carboneria, si costituirà allora una nuova società segreta diretta dal giovane patriota genovese Giuseppe Mazzini, e cioè la famosa Giovine Italia. Si potrebbero accomunare i tre caratteri della nuova società segreta di nuovo conio, cioè l'unità dell'Italia, la forma repubblicana e la fratellanza universale. Sembravano le teorie del Cattaneo, salvo che il Mazzini, per l'aurea di misticità religiosa che impregnava la sua missione, allontaneranno il Lombardo, ormai principe positivista e ideologo concreto che diffidava da ideali astratti e religiosi. Mentre l'Italia era attraversata da fremiti rivoluzionari contro la Restaurazione ancora ben ancorata alla fonda austriaca; la Francia dell'appena regnante Luigi Filippo era attraversata da una agitazione fra i lavoratori industriali. Infatti a Novembre del 1831 scoppiava a Lione una fortissima rivolta operaia dei cardatori di lana dovuta dal rigetto del padronato di applicare le tariffe concordate fra le parti. Il nuovo primo ministro, il banchiere Laffitte, della destra moderata liberale, ordinerà ai militari di sparare sulla folla inerme che chiedeva solo pane e la rivolta terminò. Un precedente che Fourier e Proudhon, ma anche Marx, prenderanno in considerazione un decennio dopo per riconoscere la forza del proletariato industriale.
E proprio nel 1839 emerse in Inghilterra il c.d. movimento cartista, che dimostrava l'insofferenza popolare per le deboli riforme dei governi liberali in materia di tutela del lavoro. La Carta dei diritti, un programma di riforme nato a Londra dopo la fine del governo Tories, era ora filoreale e liberale, guidato a Lord Palmerston, col favore del nuovo Re Guglielmo IV che tentava di imitare Luigi Filippo. Tuttavia, Palmerston negò di fatto la proposta del suffragio universale e il voto segreto, il presupposto unitario delle classi e addirittura si ritirò dalla promessa di leggi sul lavoro. E come il Galles andrà in fiamme e avvenivano tumulti a Birmingham; così a Parigi il socialista Blanqui cospirava contro il Re francese, ma con esiti repressivi che portarono quel socialista e i suoi accoliti all'esilio per evitare l'ergastolo.
Poi nel 1841, il governo inglese ritorna in mano ai Conservatori di Lord Melbourne che continuavano a resistere alle proposte liberali cartiste, anche se il centrista Gladstone, nuovo ministro del commercio con l'estero, ribassò con forza le tariffe doganali in armonia con le tesi libero scambiste di Mill, Carlo Cattaneo citava queste notizie come una vittoria del libero scambio e delle libertà civili. Ma nello stesso fascicolo criticò aspramente il Governo inglese per avere esasperato la guerra dell'oppio con la Cina, non per lo spirito sanitario meramente pretestuale, ma anche perché sintomatico della politica coloniale sfruttatrice. Proprio il Trattato di Nanchino del 29 agosto vide l'occupazione inglese di numerosi porti dove viene imposta la clausola di nazione più favorita per il commercio navale. Inoltre, dazi fissi vengono previsti per le merci non inglesi importate in quel Paese. Cattaneo criticò tale politica delle Cannoniere e apparve fortemente perplesso per una analoga politica nel Mediterraneo e in Sicilia, dove nel frattempo era scoppiata una polemica fra intellettuali palermitani, capeggiati da Amerigo Amari, e i Napoletani di Filangeri, economista e capo del governo borbonico, interessato ad alzare tassi contro Palermo per lo zolfo, il vino e gli agrumi in Italia e in Europa. Circostanze che mascheravano una guerra commerciale con la Francia già pronta a occupare Algeria e Tunisia per fronteggiare i Britannici a Malta. Mentre le due grandi potenze giocavano alla guerra commerciale, mentre Mazzini e Gioberti si confrontavano sul come raggiungere l'Unità e sul regime repubblicano federale o accentrato a guida papale o laica; improvvisamente nel 1846 ascendeva al trono papale il Cardinale Giovanni Maria Mastai-Ferretti: cioè Pio IX.
Gli inviti a maggiore liberalità di quel Governo da parte di Metternich sembravano essere accolti. Amnistie per i moti riminesi nel 1843; la Consulta di Stato laica per gli affari di Governo (1847); più diritti per gli ebrei; libertà moderata di stampa (1847); municipio laico di Roma è una lega doganale fra gli Stati preunitari; spinsero Cattaneo a gioire per quelle prime riforme di commercio e agricoltura e addirittura a qualificare quel Papa come liberale. Finalmente, nel 1848 lo si vedrà comandare il consiglio di guerra durante le 5 giornate di Milano. Fu un'entrata in politica non troppo felice come vedremo di seguito e di certo le distanze con Mazzini e con Cavour aumentarono. Un lungo esilio a Parigi dal 1849 lo attenderà. Qui non mancò di avere relazioni positive con l'amico Francesco Ferrara, economista palermitano, anche se il comune credo liberoscambista non impedì che il secondo passasse nel 1850 alla corte di Cavour. Dopo anni di dibattiti accesi negli anni '50 tra protezionisti agrari e liberali industriali, Cattaneo decise di trasferirsi a Castagnola presso Lugano e chiuderà fino al 1859 il Politecnico. Un ritiro dalla politica attiva perché da questa non aveva avuto grandi soddisfazioni. Era tutto concentrato nello studio multietnico, storico e sociologico, pubblicando soltanto lunghi saggi sull'Archivio triennale delle cose d'Italia, edito in Svizzera nel 1850-1855. Una collana di storia di 40 volumi, da lui redatta, a commento di migliaia di documenti più disperati sul modello dell'enciclopedia illuminista francese. Soprattutto, una raccolta di atti e resoconti dall'avvento di Pio IX all'abbandono di Venezia (1846-1849). Per vivere, riprenderà a insegnare filosofia al liceo cantonale di Lugano e riprenderà i contatti con amici e discepoli. Uno era Carlo Tenca, che sul suo nuovo giornale Il crepuscolo, pubblicava in quatto puntate il saggio La città, considerata come Principio Ideale delle Istorie italiane, un’originale analisi dell'urbanesimo anglosassone quale presupposto della società capitalista, partendo dalle quali rileggeva le società romano-barbariche italiane e in Lombardia, sulle origini di Brescia, Cremona e Milano. Una carta geopolitica Nordeuropea e dell'Italia che dovrebbe essere un modello per la storia attuale.
Proprio durante l'avanzata franco-piemontese del 1859 nelle aree lombarde, rientrò a Milano e riaprì appunto Il Politecnico. Un breve ritorno alla politica attiva lo vide addirittura a Napoli nel 1860 chiamato da Garibaldi qualche settimana prima del Volturno e di Teano. L'eroe dei due Mondi e il professore di Milano dialogarono, ma ancora una volta non uscì da loro nulla di diverso: il repubblicano Cattaneo, liberoscambista e multietnico, geopolitico e sociologo, non poteva accettare il progetto politico dell'altro, il cui patriottismo è certo, ma che nascondeva anche un'anima nazionalista e filomonarchica.
Invero, nel 1861, alla proclamazione del Regno d'Italia, il gran lombardo rifiuterà di candidarsi a Milano e Genova nel nuovo Parlamento d'Italia. Il suo favore per la scienza sociologica, che per lui altro che una scienza ancillare alla Storia e alla economia classica, era palese. Burckhardt, Thierry, Darwin e Renan sono gli autori europei che continuava a studiare fino alla fine. Litiga col nuovo Politecnico, ormai filocavouriano, o meglio legato alla destra storica di Minghetti e Sella, il cui protezionismo e interventismo statale nell'economia rese ancora più fragile il meridione, perché di fatto era senza una logica Federalista e tutta al contrario una politica molto centralista, fiscale coi ceti medi e attenta solo a incentivare il Nord industriale, nonché attestata testardamente sul pareggio del bilancio, sulla tassa sul macinato, sul rigetto di qualsiasi sovvenzione alle industrie del sud e soprattutto sul rifiuto di ogni forma di Federalismo. Per Cattaneo erano tutte misure eccessive che avrebbero divaricato il nuovo Paese e accelerato il sorgere della questione meridionale già pronosticata decine d'anni prima nel saggio sulla Sardegna. I saggi critici di De Sanctis (1866), la prima parte del Capitale di Marx, il sottile senso di rassegnazione e di disillusione del Risorgimento del Verdi della Forza del destino, nonché il sillabo di Pio IX (1864), le sconfitte militari della nuova Italia a Custoza e Lissa, fino alla tragedia di Mentana di Garibaldi - in cui vide la fine degli ultimi vagiti repubblicani - nonché l'ultimo tumultuoso incontro/scontro con Mazzini nel gennaio del 1869; gli provocarono un aumento delle sue malattie cardiache e la morte il 6 febbraio dello stesso anno, dopo un decennio di forti critiche rispetto agli esiti dell'Unità Nazionale, da lui mai rinnegata, ma disapprovata per le modalità di effettuazione e per il regime autoritario in cui era precipitata.
2. Quel che resta di Carlo Cattaneo
E' evidente che un autore di multiforme ingegno e interesse come il Nostro subisse l'influsso ideologico di vicende e pensatori delle epoche successive. Dopo vari decenni di silenzio, spesso dovuti alle relazioni coi governi filomonarchici dall'epoca, sarà Giovanni Gentile, sulla critica del Croce (1908), a entrare di nuovo nell'orbita del Lombardo. Certamente era stato principalmente uno storico, una attività intellettuale che per effetto dell'ideologia positivista andava a espandersi su aree geografiche e sociologiche ampiamente rivisitate fin dalla metà dell'800. Le monografie antropogenetiche sulla Lombardia e sulla Svizzere, nonché l'indagine israelitica, costituirono per Gentile un chiaro interesse storiografico. La Filosofia della Storia, poi con le reminescenze del Vico, erano chiaramente connesse. I Maestri di formazione di chiara matrice umanistica e illuminista non mancavano. Infine, il Saggio sull'insurrezione di Milano e le sue alterne vicende, nonché l'Archivio, indicavano una netta propensione alla analisi politica contemporanea.
Ciò premesso, il filosofo di Castelvetrano, dopo aver tessuto le lodi di Cattaneo, ne sviliva l'opera teorica - se mai vi fu!... - tanto da lanciarsi in un giudizio serrato sul pensiero positivista ivi presente. Era netta la posizione critica sull'assenza determinata di teoria, preferendo le ragioni storiche contingenti. In particolare, Gentile non trovava nel pensiero di Cattaneo alcuna traccia nel metodo storico classico, perché in questa area del sapere l'antitesi cancella interamente l'idea opposta... poi talvolta un’antitesi affatto imprevista assale un'antitesi vittoriosa... talvolta la seconda può diventare punto di scienza, magari un metodo... Dunque, Tesi, antitesi, sintesi, si moventizzavano, si sviluppavano e rimanevano verità momentanee di per sé, un pensiero che pensa, che si raffina, che cresce da se stesso, lo stesso fisso di sempre... Cattaneo cioè sarebbe stato sempre in cerca, come lo scienziato mai fermo sul punto raggiunto, andando in progressione, come Galileo e Newton. Insomma il progresso sarebbe non solo l'opposizione del contrario, ma anche un nuovo orizzonte reale fino all'infinito. Una situazione che usciva dal contesto mentale del pensatore, dunque una realtà positiva sempre in trasformazione. E questo per Gentile sarebbe stata sociologia, non Storia.
Quanto al Croce, va premesso la radicale diversità fra il Napoletano profondamente idealista e il Lombardo legato alla realtà statistica, dove il fatto prevale sulle opinioni astratte. E tuttavia Croce non sottovalutava lo spirito progressista e realista: le reazioni di Cattaneo al neoguelfo Balbo nelle storie fiorentine sulle contese fra guelfi e ghibellini, erano esaminate con rara fedeltà documentale, specialmente quando protendevano contro la proprietà feudale. Poi la Revisione della vita di Dante, soprattutto durante l'esilio, realtà collaudata dal Lombardo quando nelle Notizie naturali e civili della Lombardia narrava con dovizia di fonti il momento della guerra contro l'Impero del Barbarossa che presupponeva già una Repubblica di quel territorio. Infine, il filosofo napoletano appariva consenziente alla teoria evolutiva delle lingue, considerato che da una matrice comune, non solo greco-latina, ma anche gotica, le lingue assumevano un ruolo nazionale senza prevalenza di nessuna sull'altra. Una prospettiva unitaria all'origine, una naturale separazione, ma anche un ideale di ritorno all'ordine naturale.
Un processo che Croce non criticava, ma che anzi lo avvicinava al pensiero di Cattaneo. Quanto alla storiografia marxista, la diffidenza sul Cattaneo era alimenta dal contrasto continuo col Mazzini e Garibaldi di cui si disse e poi diverrà maggiore nel secondo dopoguerra quando Elio Vittorini fonderà nel 1945 il giornale Il politecnico, dove il richiamo alla testata del Cattaneo, era stato adottato per riaprire la pista realistica del pensatore lombardo. Lo scrittore siciliano individuava Carlo come il vero profeta della cultura moderna occidentale e non solo. Uno snodo del pensiero al centro d'Europa, come lo era stato la Lombardia illuminista fra il '700 e'800. Lo scontro con l'ideologia marxista aveva la chiara matrice hegeliana di natura aprioristica, rappresentata dal Togliatti, fatto che produsse rapidamente la chiusura del giornale e Vittorini uscì addirittura dal PCI, malgrado l'adesione senza limiti durante la Resistenza testimoniata nelle sue opere di romanziere. La guerra fredda era alle porte e la rivista ufficiale del PCI, Rinascita, contribuì ad alimentare la presunta “a-storicità” di Cattaneo in nome di una concezione filo-crociana che metteva in secondo piano il metodo scientifico e che però mascherava l'antipatia politica per il dissenso e la tecnica da parte della concezione stalinista del marxismo. Un decennio dopo, non a caso uno storico della Scienza, Ludovico Geymonat, sull'onda delle critiche all'URSS in occasione dell'invasione dell'Ungheria (1956); ricordava nostalgicamente il tacito abbandono del pensiero di Cattaneo e il parallelo disinteresse culturale dal marxismo per le scienze e la tecnica. La filosofia socialista rimaneva legata alla cultura positivista perché i primi marxisti - De Sanctis e Spaventa - avevano monopolizzato la sinistra dell'epoca, partendo dalla concezione riformista di una cauta e graduale acquisizione di un mondo reale valutato oggettivamente. In fondo - proseguirà oggi lo storico Luciano Canfora - la lettura di Gramsci aveva equiparato negativamente lo scientismo americano alle idee positiviste di Cattaneo, definendolo un conservatore moderato solo perché si era limitato a “contemplare” il ruolo eversivo delle masse durante le 4 giornate di Milano. Ed era stato un grave errore, perché aveva emarginato un pensatore fecondo e necessario proprio nel momento risorgimentale. Anzi il suo isolamento dopo il 1848 e il suo plateale e inutile intervento su un Garibaldi ancora incerto prima di Teano, era stato un mero pretesto per evitare la partecipazione al Governo della Sinistra democratica lombarda, che aveva ceduto la primazia politica al Piemonte filofrancese.
La delusione del Cattaneo e la tiepida accoglienza a Vittorio Emanuele avevano contenuto la classe borghese lombarda dalla viva azione rivoluzionaria repubblicana. Invece se si fosse riascoltato lo spirito borghese democratico caldeggiato dal Cattaneo, forse si sarebbe prodotta una efficace controtendenza a favore della Repubblica e del Federalismo, con una ricaduta positiva sull'immobilismo agrario meridionale, effetto mancato che Salvemini e Gramsci segnaleranno successivamente in merito alla questione meridionale. Sia come sia, negli anni '60 e '70 la storiografia socialista, con Norberto Bobbio in testa, ritorneranno su Cattaneo, appena ricordato nella scuola fascista, sia svalutato dalla storiografia cattolica (per esempio, Alessandro Levi), ma anche dalle critiche liberali e socialiste (fatte eccezioni di Gobetti e Ginzburg). Bobbio invece, con attenta indagine sulle origini del pensiero di Cattaneo, scoprì un primo saggio organico che spazzava via la contestazione del De Sanctis sulla presunta asistematicità del Lombardo.
Nel Corso di filosofia tenuto nel liceo ticinese, Cattaneo individuò un percorso coerente di riflessioni che non escludeva affatto il profilo spiritualista e idealista, solo punti di partenza da cui far derivare fondate conclusioni. L'analisi prevedeva infatti una Cosmologia, una Psicologia - che svilupperà nel 1859-1866, con il titolo Psicologia delle menti associate - l'ideologia; la logica; il diritto e la morale. Era un progetto arduo e enciclopedico, perché perseguiva il metodo illuminista della filosofia come filo logico delle Scienze. Metodo che guardava alla realtà sociale, in armonia al principio che la comune natura umana era ineluttabilmente incisa dalla Società che modificava la vita quotidiana degli uomini.
Era un'azione conoscitiva preliminare dell'Uomo attraverso l'analisi interiore e la speculazione di un Io assoluto interno, che poteva fare condividere morale personale ed etica sociale. Ne seguiva un'esperienza istituzionale che interpretava diverse epoche che si intersecavano una dentro l'altra, una dopo l'altra. Civiltà rozze e civiltà evolute che si susseguono, sulle orme dunque del Vico. Ma anche nessuna linearità, ma con possibili regressi dietro l'angolo. E poi la individuazione di tanti moduli di lettura del mondo, anche se la tendenza di crescita era tanto comune quanto universale. Anzi - ricordava Bobbio - le situazioni di stallo per le società più povere e al contrario la ricerca della stazionarietà per quelle più ricche. Nondimeno, il filosofo torinese accoglierà il neoilluminismo di Cattaneo e ne svilupperà la figura dello Stato liberale di Diritto verso lo Stato sociale e democratico. Infine, rilevava che le Scienze gli erano lo strumento più opportuno per promuovere il bene pubblico. Onde la politica dei Governi e l'indole degli scienziati doveva essere congiunta e collaborativa.
Bobbio trova nel Lombardo proprio una regola sempre valida: il politico non può fare a meno dell'altro, purché si intenda per scienza solo quella sperimentale. E per politica non già la ragione di Stato o l'arte del governo, ma il promovimento del bene pubblico. Un messaggio che oggi fa ridiscutere l'ultimo pensatore che si è rivolto a Cattaneo per motivare il suo pensiero, cioè Gianfranco Miglio. E' noto infatti che l'ideale federalista in Italia e in Europa nasceva anche in coincidenza con l'istituzione dell'Unione Europea, attraversata da decenni del dopoguerra segnati da grandi aspettative pacifiste - si veda il Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Spinelli, Rossi e Colorni di evidente influsso di Cattaneo - e da aspettative economiche non indifferenti. E tuttavia crescerà nell'opinione pubblica non solo italiana, lungo gli anni '80 e nascerà la convinzione popolare di una riforma istituzionale che sostituisca il modello accuratamente moderato a forma regionale codificato nella Costituzione Italiana del 1948. Una contraddizione emergeva fra fronti politici: mentre agli inizi degli anni '90 si arrivava a una svolta europea politica economica più federativa attraverso la revisione pattizia di Maastricht del mercato comune europeo; l'opinione pubblica italiana, peraltro stravolta dai fatti di Mani pulite, invocava politicamente un ulteriore passo avanti all'interno verso il federalismo regionale. Al burocratico e debole regionalismo di cui si è detto, limitato a poche materie e lasciato dipendere da un forte governo centrale, si richiedevano nuovi Partiti Politici, uno Stato Federale, i cuoi poteri siano ben definiti e concernessero solo la materia dei rapporti esteri; la difesa, la moneta unica e l'ordine pubblico amministrativo e giudiziario. Le nuove regole guardavano al modello svizzero, non a caso quello di Cattaneo e proposto fin dal 1855 nel III volume dell'Archivio Triennale, dove ribadiva che il Federalismo - e non la semplice confederazione fra Stati - era la scelta teorica delle Libertà Civili, l'unica strada possibile verso l'agognata Unità nazionale.
Perché la libertà è repubblica; e repubblica è pluralità, ossia Federazione. Su tale inequivocabile considerazione, Gianfranco Miglio, politologo e senatore d'Italia, proponeva la trasformazione dello Stato italiano in senso Federale. Ideologo eletto per la Lega Lombarda, con il capo di tale partito, Umberto Bossi, fondava il Partito Federalista. Allievo di costituzionalisti liberali come Passerin d'Entrèves e Balladore Pallieri, fu docente all'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e preside della Facoltà di Scienze Politiche dal 1959 al 1989. In particolare, nel suo lungo corso di giurista e politologo, Miglio nel secondo dopoguerra esaminerà negativamente non solo la fase costruttiva dell'Italia realizzata dai Savoia, Garibaldi e Cavour, ma riesumava vigorosamente l'idea di Cattaneo di Repubblica Federale scartata a suo dire proditoriamente dai padri Costituenti nel 1948. Respingeva le dottrine centraliste, spesso deboli come quelle del Balbo, oppure troppo legate alla Chiesa temporale come il progetto federalista del Gioberti. Di più: Miglio voleva inserire nella nuova Costituzione addirittura il diritto a conservare e sviluppare l'identità locale nel quadro di sistemi economico-politici non dominati dai principi dell'unità e dell'omogeneità, vale a dire una tendenza che però fuoriusciva dal solco di Cattaneo, dove l'accordo politico federativo esondava verso un modello di autonomia locale chiusa, mentre la posizione del Lombardo era aperta al dialogo fra le comunità federate. Lo spirito federalista svizzero e americano, del resto era stata la fonte dei padri fondatori di Ventotene per l'Europa Unita.
Aveva ragione allora Ernesto Sestan, il maggiore studioso di Cattaneo, quando si oppose alla critica dominante per lo più negativa, e legata a crederlo soltanto un esponente tardo illuminista o protopositivista, un semplice profeta del futuro o un nostalgico del passato. Piuttosto, Sestan gli attribuiva una qualifica di utilitarista, l'essere intrecciato alla vita pratica, sciolto dalle pastoie metafisiche, interessato ai fatti del giorno, un giornalista moderno, un usufruitore della statistica, un cultore assoluto delle scienze applicate. Naturalmente un dissidente razionale, un multietnico, un geopolitico e un patriota.
A prova di ciò lo storico citerà un articolo del 1839, dove Cattaneo diceva che l'Italia debba tenersi soprattutto all'unisono con l'Europa e non accarezzare altro sentimento nazionale che quello di ricoprire un nobile posto nell'associazione scientifica e del mondo... I popoli debbono dialogare fra loro, perché gli interessi della Civiltà sono solidali e comuni; perché la scienza è una, l'arte è una, l'economia è una... le Nazioni sono di Omero, di Dante, di Bacone, di Galileo, di Volta e di Linneo … è la Nazione delle intelligenze che abita tutti e che parla tutte le lingue.. Ogni idea vera e buona, di qualunque Paese, è nostra e immediata, la quale, senza la seducente alleanza del canto, parrebbe quasi morta, e sarebbe oblata da quei popoli che camminano col secolo e col secolo sono invece intraprendenti e poderosi. Un discorso oggi difficile a causa delle prese di posizione del Presidente americano Trump e della sua ormai notoria politica di Potenza e protezionismo economico, evidentemente agli antipodi del lungimirante pensiero del cosmopolita lombardo.
Giuseppe Moscatt
Bibliografia
· Un'ottima biografia e rassegna di opere commentate su Carlo, Cattaneo è L'uomo e la storia, di CARLO CATTANEO, a cura di Ferruccio Focher, ed. Mursia, Milano, 1973. Quì è possibile ritrovare le interpretazioni di Gentile, Croce e Bobbio, di cui nel testo.
· Sulla polemica Vittorini e Togliatti legata alla nuova edizione del Politecnico, vd. PERLUIGI BATTISTA, Il partito degli intellettuali, Laterza, Bari, 200.
· Per quanto riguarda la posizione critica alle direttive di Togliatti, cfr. LUDOVICO GEYMONAT, Troppo idealismo, in Il Contemporaneo, 7.4.1956; e LUCIANO CAFAGNA, in Antologia di critica storica, a cura di Armando Saitta, vol. III, Bari, 1962, pagg. 232 e ss.
· Sul pensiero critico di Gentile, Croce, Bobbio e Sestan, vd. Cattaneo, l'uomo e la storia, op. cit. pagg. 299 e ss.
· Per l'interpretazione identitaria e particolarista di Gianfranco Miglio, vd. il suo Modello di Costituzione Federale per gli Italiani, Milano, 1995.
· Infine meritano le osservazioni alle nozioni di Federalismo ed Autonomia connesse al Manifesto di Ventotene, raccolte nel florilegio (Breviario) edito da Rusconi, a cura di FRANCESCA POZZOLI, Milano, 1997.
· Quanto all'impegno politico di Cattaneo, vd. NATALINO SAPEGNO, Ritratto di Manzoni e altri saggi, Laterza, 1972, dove si trova un saggio al riguardo.
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Di Ernesto Sestan, filocattaneano, vd. Dizionario Biografico degli
Italiani, vol. 22 (1979), a cura della Treccani.it.
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