domenica 25 maggio 2025

Ifigenia CXXIV Pensieri concilianti.


 

Questi pensieri provocavano nuove emozioni dalle quali nascevano riflessioni nuove. E così via per tutto quel pomeriggio remoto con il volgere delle ore. Non smettevo di pensare e soffrie cercando di capire: fin da bambino avevo costruito la mia identità attraverso i dubbi, il dolore e la conoscenza con qualche sussulto anche di gioia,

 

Se Ifigenia era tanto pericolante, e io ero davvero convinto che un rapporto di fedeltà fosse una cosa buona, non potevo aiutarla? Non dovevo indurla a correggere i giri viziosi della sua testa  secondo le belle circolazioni del cielo?

In fondo non si era rivolta a me perché dirozzassi la sua natura tellurica, fatta di terra vulcanica e sismica per giunta?

Ma come potevo aiutarla se mi faceva soffrire?

Se, inebetito dal dolore, mi fermavo a fissare il suo abisso, potevo caderci anche io. Lucido dovevo essere, come nelle tante altre battaglie combattute per tutta la vita.

Mi venivano ancora in mente i dolori provati fin da bambino quando non mi sentivo amato dalla madre mia, non tanto quanto pensavo di meritarmi.

“Eppure mia madre mi ha fatto il più grande dei doni- pensavo quel pomeriggio di luglio- mi ha dato la vita senza la quale non avrei sofferto molto ma nemmeno goduto e gioito, e l’anno scorso in autunno questa giovane donna che ora taccio di infamia, mi ha ricaricato di vita in una fase difficile del mio lavoro, maltrattato com’ero da un preside tanghero e ostile.

Mi hanno aiutato gli allievi di una terza liceo, persino con manifestazioni pubbliche, ma soprattutto mi ha risollevato lei, la bella supplente che, appena arrivata, si schierò coraggiosamente con i rari docenti che mi sostenevano sfidando l’ira del burocrate che non mi voleva bene. Anche Ifigenia, con l’offerta del suo amore, mi ha arricchito di vita. Senza tali due donne benedette non ci sarebbe stato niente per me: né male, né bene, né dolore né piacere, perché non ci sarebbe stata la vita. Non posso farne a meno”.

Pensavo con simpatia alla vita in generale, a come si era manifestata in me, a quanto l’avevano potenziata le mie donne, e sorridevo pensando alla vita della madre terra che nutre noi, gli animali, le piante, o a quella del mare il quale ci fa capire, con il moto ondoso, che respira anche lui, aspirando, espirando come gli uomini e gli animali.

“Tutto il mare Adriatico da Pesaro a Gallipoli costeggerò in bicicletta” giurai. E non divenne uno spergiuro. Due volte l’avrei fatto beandomi della vista del mare sulla mia sinistra all’andata, sulla destra al ritorno.

L’angoscia mi stava passando. I sentimenti cattivi scaturiti dalla telefonata, venivano redenti in amore per la vita e in gratitudine per chi me l’aveva donata e accresciuta via via. Molta riconoscenza dovevo alla madre mia,  e non poca alle mie amanti: dalle due Elene. la pulzella di Praga e l’Augusta  signora di Yväskyä, alle studiose Kaisa, a Päivi,  a Faina ciuvassa, alla simpatica simpatizzante gallica Jousiane, alla germanica ragazzona Damaris, grande come una casa, perfino alle bollognesi Esculapia e Pinuccia di cui ho già raccontato, e ultimamente a Ifigenia pur se mi stava tradendo. Camminavo nel bosco fitto di alberi antichi come dentro me stesso; li ascoltavo mentre  sussurravano  al vento con fronde vocali come quelle della sacra Dodona, e osservavo l’acqua del laghetto che sorrideva immillando i raggi del sole con le sue increspature. Queste non sono metafore  scritte per rendere peregrino il linguaggio: le fronde sussurravano davvero e l’acqua mi sorrideva proprio come una carissima femmina umana.

  Contraccambiavo sussurri e sorrisi  pensando alle donne, al solco del loro corpo dal quale spuntiamo, in luminis oras, come fa il grano dai solchi arati della terra e tutti gli anni come lo vedo spuntare mi inginocchio , bacio la grande madre e la bagno di lacrime piene di gratitudine,  poi pensavo agli amici a partire da Fulvio e  ringraziavo di tutto l’artista creatore di questo mondo vivo,  bello e variopinto. Volevo contribuire alla stabilità, se possibile all’accrescimento di tanta bellezza e non dovevo rabbuiarmi spandendo tenebra e malumore a causa della  sceneggiata che avevo immaginato nella casuccia di Misano. Dovevo prenderla appunto come una farsa messa in scena per divertirmi e farmi pensare, magari creare.

Un rimedio già trovato per salvarmi dagli attacchi, dalle calunnie di certi colleghi maligni e ridicoli. Avevo imparato a riderci sopra quando mi accorsi che non avevano la forza di gettarmi sul lastrico con tanto di cappello in mano. Dovevo fare lega con le persone buone che mi hanno sempre aiutato in quanto simili a me e capaci di capire la mia umanità.

Vedevo una relazione di simpatia tra tutte le parti del mondo e io non dovevo “nelle fata dar di cozzo”[1], andare contro l’ordine dell’universo , se non volevo innescare  l’esplosione che mi avrebbe fatto precipitare nell’inferno del caos. Capire dovevo, redimere il dolore, trasformarlo in comprensione e bellezza. Comprendere quello che ci voleva per la conservazione e l’accrescimento della vita. Ero naturalmente connesso con il cosmo e non dovevo recidere questo legame, anzi lo avrei consolidato.

Pensai“Molti dolori ho sofferto nell’animo mio- polla;  e[paqon a[lgea ejmo;n kata; qumovn- [2] per capire sempre di più, molto ho studiato per trovare parole espressive dei miei sentimenti e diverse gioie ho trovato mentre cercavo via via di salvarmi la vita”.

 

Compiuto questo riconoscimento di me stesso, volli premiarmi con un caffé.

 

Bologna 25 maggio 2025 ore 10, 10 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr, Dante, Inferno, IX, 97

[2] Cfr. Omero, Odissea, I, 5. Ut pateat imitatio.

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