NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 31 marzo 2019

Su'l castello di Verona / batte il sole a mezzogiorno

Verona, sabato 30 marzo 2019
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A proposito delle due adunate di Verona. Io risalgo come sempre ai miei auctores greci. Sentite

Nelle Ecclesiazuse di Aristofane (del 392 a. C.) Prassagora che vuole riformare la costituzione di Atene dice: “koinwnei'n ga;r pavnta" fhvsw crh'nai pavntwn metevconta"- /kajk taujtou' zh'n, kai; mh; to;n me;n ploutei'n , to;n d’ a[qlion ei\nai- mhde; gewrgei'n to;n me;n pollh;n, tw'/ d j ei\nai mhde; tafh'nai” (590-592) dirò che è necessario che tutto sia in comune, che tutti ne partecipino e vivano di questo, e non che uno sia ricco e un altro misero, né che uno abbia tanta terra da coltivare e un altro nemmeno quella da esservi sepolto.
Dunque dovrà esserci il comunismo dei beni e la comunanza di uomini, donne, bambini, di tutti, con l’abolizione della proprietà e della famiglia privata.
Prassagora auspica la riduzione della città a un’unica casa (Eccl. 673-674) “ to; ga;r a[stu- mivan oi[khsin fhmi poihvsein, spezzando tutte le barriere in modo che si possa andare l’uno dall’altro.
I figli considereranno propri padri tutti che sono quelli più avanti negli anni (vv. 636-7).
 Un progetto simile si trova nel V libro della Repubblica di Platone, scritta probabilmente non molto dopo il 390.
Aristofane ha voluto mettere in parodia il comunismo di questa opera platonica, e Aristotele nella Politica critica a sua volta la Repubblica di Platone: “ejkei' ga;r oj Swkravth" fhsi; dei'n koina; ta; tevkna kai; ta;" gunai'ka" ei\nai kai; ta;" kthvsei"”(Politica, 1261a, 8-9), là infatti Socrate dice che devono essere comuni i figli e le mogli e le proprietà.
Andiamo a vedere direttamente quanto ha scritto Platone.
I reggitori riceveranno dalla comunità lo stretto necessario per vivere.
I guardiani non devono avere una oujsiva ijdiva, sostanza propria (Repubblica, 416d) se non strettamente necessaria. Alla loro oi[khsiς kai; tamiei'on, abitazione e dispensa, deve potere accedere chiunque voglia. Abbiano il necessario sostentamento: solo quanto abbisogni ad ajqlhtai; polevmou temperanti e coraggiosi (416 e). Devono vivere in comune, frequentando pasti comuni sussivtia. Oro e argento l’hanno nell’anima e non hanno bisogno di quello umano per il quale sono accadute molte empie cose (polla; kai; ajnovsia), mentre il metallo che hanno nell’anima è puro.
 Per i custodi della città dovrà esserci comunione delle donne e dei figli koinwniva gunaikw'n te kai; paivdwn (Platone, Repubblica, 461e)
Il male peggiore della città è quello che la dilacera diaspa'/ , il bene quello che la lega insieme (sundh'/) e ne fa una sola. La comunione del piacere e del dolore lega insieme hJdonh'ς te kai; luvphς koinwniva sundei', mentre ijdivwsiς la particolarizzazione di tali sentimenti dissolve dialuvei (462 b).
Il mio e il non mio deve essere proferito a una sola voce- tov te ejmovn kai; to; oujk ejmovn. Il piacere e il dolore di ogni singolo devono essere condivisi da tutti come un corpo risente del dolore di un dito. Tale è la città ben governata hJ eu[nomoς. In questa polis i capi si devono chiamare reggitori, salvatori e ausiliari. a[rcontaς, swthravς te kai; ejpikourouς (463b)
Questi capi chiameranno gli uomini del popolo misqodovtaς te kai; trofevaς, stipendiatori e alimentatori.
Nelle altre città invece i reggitori chiamano quelli del popolo douvlouς, servi

Che ne dite?
Baci
gianni

Il rischio grosso

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Il poveraccio manipolato
Oggi, mentre facevo la fila in un self service, un anziano malmesso  in coda davanti a me ha dato un'occhiata al giornale che avevo in mano e ha detto: "è giusto ammazzarli, quelli ci odiano". Non ho risposto e ho compatito perché mi ha fatto l'impressione di un poveraccio, un ignorante manipolato, come sono molti oggi purtroppo. L'odio tra i popoli e tra i sessi, anche questo continuamente rinfocolato, serve a imbrigliare e sottomettere la maggioranza priva di strumenti culturali, di lucidità mentale, di capacità critiche.
Baci
gianni

Dedicato a Matteo Salvini e ai suoi seguaci
Sentite cosa dice la Lisistrata di Aristofane: “In primo luogo dobbiamo fare smettere agli uomini di andare in piazza con le armi - xyn oploisin - in stato di grave turbamento - mainoménous: infatti ora tra le pentole e gli ortaggi passeggiano per la piazza come Coribanti (Lisistrata, vv.555-558).

Il truce ghiottone che atterrisce la venditrice di fichi
Un'altra pacifista ateniese, Cleonice ha visto uno komhvthn, uno con la zazzera, un comandante di cavalleria che gettava nell’elmo di bronzo il purè di legumi (levkiqon) comprato da una vecchia. Un altro un truce ghiottone Trace che sembrava Tereo (il barbaro re stupratore ndr) brandiva scudo e giavellotto e atterriva la venditrice di fichi - th;n ijscadovpwlin - quindi tracannava quelli molto maturi (Lisistrata, 561-564).

A chi fa pensare questo truce ghiottone armato fino ai denti?

Mentre decresce il benessere, cresce la licenza di uccidere
Perché le nostre deputate che protestano giustamente contro la cancellazione della punibilità dell' odioso reato consistente nella pubblicazione di foto intime, non insorgono anche contro la non meno odiosa licenza di uccidere chiunque entri in casa altrui se la sua vista rende terrorizzato e furioso il padrone armato?. Già chi si arma a parer mio è poco sano di mente. Quindi può bastare una parola storta o un ricciolo fuori posto a fargli premere il grilletto. E già in precedenza costoro molto difficilmente venivano condannati in qualche moodo. Come se non bastasse la licenza di uccidere degli automobilisti, pure loro quasi sempre impuniti.

Le Troiane di Euripide e la licenza di uccidere

Nelle Troiane di Euripide (415 a. C.) che presenterò domani a Bologna, dalle 16, nel Centro Stella di Via Savioli, Astianatte viene ammazzato dalla barbarie dei Greci vincitori, e “il suo sangue esce con rumore di risa dalle ossa spezzate del capo ( e[nqen ejkgela'/-ojstevwn rJagevntwn fovno", vv. 1176-1177)
Mi ha fatto venire in mente l’esultanza di Salvini e dei suoi seguaci quando è stato ammazzato il ladro che, inseguito e raggiunto, si era inginocchiato davanti al suo assassino.
Ecuba vorrebbe che sulla tomba del nipote venisse scritto : “questo bambino lo uccisero un giorno gli Argivi per paura- una iscrizione funebre che sia un disonore per l’Ellade” (vv. 1190-1191)
Credo che la legittima difesa, ossia la licenza di uccidere chiunque ti entri in casa se ne rimani turbato, sia un disonore per l’Italia e un pericolo serio per tutti.
giovanni ghiselli

Il rischio grosso
p.s. Non possiamo più accettare inviti in casa altrui per non correre il rischio di perire nec fato, merita nec morte, sed miseri ante diem subitoque necati furore (cfr. Eneide, IV, 696-697)

venerdì 29 marzo 2019

Contro il diritto di uciidere chiunque si trovi dentro casa nostra

Aristofane
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La licenza di uccidere in casa propria, praticamente chiunque si voglia ammazzare per qualsiasi motivo magari dopo averlo invitato a cena o a letto, prelude alla restaurazione della pena di morte e al ritorno della guerra civile che ha tanto insanguinato l'Italia, da secoli, anzi da millenni, a partire da Romolo e Remo. Chiunque uccida, si trova in stato di grave turbamento e comunque può dire di avere ucciso in tale stato.
Il 6 aprile presenterò la Lisistrata, una commedia pacifista di Aristofane, a Cento.
Ne anticipo qui l'introduzione data da altre due commedie di Aristofane contro la guerra: gli Acarnesi e la Pace
Questo deve valere come monito ai fautori della licenza di uccidere

Aristofane nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco dopo il 385.
Ricaviamo dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425), i Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422), la Pace (421), gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (411), le Rane (405), le Ecclesiazùse (392), il Pluto (388).

Tre commedie contro la guerra

Aristofane negli Acarnesi dichiara guerra alla guerra.
 Il protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, fieramente avverso al conflitto, convince il coro che la guerra è un male e lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione degli orrori bellici, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986 - 987).
 Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché la guerra del Peloponneso nella fase archidamica (431 - 421) aveva distrutto ogni anno i raccolti.
 Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito che porta doni e chiede una coppa di pace: "i[na mh; strateouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (kinevw nel senso di “sbatto” - v. 1052), perché non vuole andare in guerra, ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, rilutta ad aiutare il marito ma arriva anche una messaggera con la richiesta della sposa:
" che il pene del marito rimanga a casa" (o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou, 1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del cittadino giusto, il pacifista Diceopoli alter ego di Aristofane:
"perché una donna non merita di soffrire per la guerra"(Acarnesi, 1062).

Nella seconda commedia pacifista (Pace del 421) la festa che segue alla pace odora di frutta, conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[1] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano", v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, insomma Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni.
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, anche questo, come Diceopoli, un contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448). Alla fine costoro riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i panieri di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i campagnoli significava la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595), sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi[2]: Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. La distrazione di massa si dice oggi. Alla pace ritrovata seguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da Festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto: "tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero.
Quindi Trigeo cita due esametri omerici[3]: "è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097 - 1098).
Ogni guerra in fondo è una guerra civile secondo i princìpi dell’umanesimo.

Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira, quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. 
"Un'audacia " ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)"[4].
 Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.

Nella II Parabasi della Pace il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[5] Trigeo gode nel vedere maturare vigne precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Tutto questo succede invece dell’essere arruolati ancor prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce (tou' me;n mevga kai; pacuv - th'" d’hJdu; to; su'kon - 1350 - 1351).

 La terza commedia pacifista è la Lisistrata del 411.


[1] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[2] Che faceva dipendere lo scoppio del conlitto da ratti di prostitute,
[3] Da Iliade 9, 63 - 64.
[4] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42 - 43.
[5] Questa non dà segni ambigui come la rondine.

Le Troiane di Euripide. Parte 2: la guerra e il potere come male. La teoria della classe media

Pelagio Palagi
Le Troiane in atto di incendiare le navi
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Le Troiane di Euripide. Parte 2.  Riveduto e corretto. trovate gli altri capitoli nel mio blog

Il Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627 - 635).

Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[8].

A questa idea della misura è collegabile la teoria della classe media. La troviamo nelle Supplici [9] di Euripide. Qui Teseo[10] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417 - 418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi[11], ma propugna la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti[12].

In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei" - kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244 - 245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.

Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, rimanesse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).

 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni successivi. Nell'Elettra[13] di Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male.

Concludo con l’Oreste (del 408). (p. 191) “Egli[14] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[15] - ricorda da vicino Suppl. 244: "delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[16]. -

Sentiamo ora un pensiero (141) tratto dai Ricordi di Guicciardini " la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita[17]: “spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India".

Rimane il pianto e il canto delle sciagure.

Ecuba dice:
Poesia è anche questa per gli infelici 120
Far risuonare le sciagure prive di danze.

Euripide tende alle situazioni patetiche, grondanti lacrime.

Anche Seneca accentua il pathos. Nelle Troiane del Cordovano Ecuba rivendica l’incendio di Troia a se stessa che ha partorito Paride dopo avere sognato di dovere generare una fiaccola: non è stato Ulisse né il fallax Sinon a incendiare Troia: “meus ignis iste est” (v. 39). E’ il “darsi animo” notato da Eliot (Shakespeare e lo stoicismo di Seneca). 

I versi 190-203 della Medea contengono la poetica di Euripide: la poesia non deve rallegrare i conviti e le feste, già di per sé piacevoli, ma alleviare gli affanni dei mortali. La poesia è una specie di cura omeopatica: racconta casi dolorosi, pieni di lacrime, per consolare le lacrime e gli affanni.
Questi versi possono essere polemici rispetto a a quanto afferma Telemaco nel primo canto dell'Odissea: il cantore deve dilettare ("tevrpein", v. 347) gli uomini che già godono (v. 369) del banchetto, ed essi apprezzano maggiormente il canto che suoni più nuovo a chi ascolta (vv. 351-352).
Nell’Elena, Menelao afferma addirittura che le lacrime sono la sua gioia (v. 125).

Ecuba nomina l’odiosa sposa (stugna;n a[locon, Troiane 132) di Menelao, onta per Castore e ignominia per l’Eurota.
Elena dunque non è Afrodite ma Nemesi.

K. Kerényi fa questa distinzione: "O Nemesi o Afrodite: queste sono le due possibilità della bellezza femminile, di cui ci parl ano le trasformazioni del mito di Nemesi e di Helena. O rimanere la figlia di Nemesi e, dal fondo del senso della colpevolezza, elevarsi a punizione dell'umanità (ed Omero respinge questa soluzione) oppure (e la Helena dell'Iliade è l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente ed indifferente Signora e portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite, quale destino proprio e destino tragico per gli uomini mortali"[18].
"In un colloquio con Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[19]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco-gli anziani esclamano tra di loro: "Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee immortali"[20]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza dal peccato"[21].

Ebbene questo riscatto non è riconosciuto dall'Ecuba delle Troiane che nel III episodio dirà a Menelao: "ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio (mh; s jj e{lh/ povqw/, 891). Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le case ("ejxairei' povlei",-pivmprhsin oi[kou"", vv. 892-893).

Euripide qui probabilmente ricorda " JElevnan ejpei; prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv. 689-691 del II stasimo) di Eschilo.
  

CONTINUA




[8] La nascita della tragedia, p. 37.
[9] Del 422 a. C.
[10] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[11]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , p. 180.
[12] Questa parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza, di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
[13] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[14] Euripide.
[15]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[16]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[17] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana , 2, p. 107
[18] K. Kerényi, La nascita di Helena di Miti e Misteri , pp. 54 e 5
[19] Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di cagna".
[20] 156-158.
[21] K. Kerényi, Miti e misteri , p. 54.

Le Troiane di Euripide. Parte 1: la guerra e il potere come male. La teoria della classe media

Astianatte viene precipitato dalle mura di Troia
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Le Troiane di Euripide. Parte 1. Riveduto e corretto. trovate gli altri capitoli nel mio blog

Le Troiane di Euripide (415 a. C.)

Era il terzo dramma della trilogia Alessandro, Palamede.
Il dramma satiresco forse era Sisifo. E’ l’ unica trilogia di Euripide a contenuto unitario.
Il motivo predominante è la condanna della guerra.
Pochi mesi prima della rappresentazione di questa tragedia c’era stato il massacro e la schiavizzazione degli abitanti della piccola isola di Melo da parte degli Ateniesi.

Cruciali sono i versi con i quali Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (764 - 765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? Ammazzare un bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.

Cfr. Nel De republica di Cicerone, Lelio dice a Scipione che Romolo secondo i Greci fu re di barbari, ma, commenta, “se tale nome dobbiamo darlo ai costumi e non alla lingua, non considero i Greci meno barbari dei Romani “sin id nomen moribus dandum est, non linguis, non Graecos minus barbaros quam Romanos puto” (I, 58).

Prologo vv. 1 - 151.
Ma partiamo dal prologo dove Poseidone espone fatti e antefatti.
Da una parte, quella da dove viene il dio, c’è il mare Egeo con le Nereidi, che come le Muse, figlie di Zeus e della Memoria danzano guizzando con agili piedi; dall’altra c’è la città di Troia, distrutta dalla ferocia degli uomini e dal risentimento delle due dèe ostili ai Troiani: Era e Atena.

Nietzsche sostiene che la morale del risentimento è quella giudaico - cristiana, che è poi la morale degli schiavi, mentre nella religione greca prevale il sentimento della gratitudine (cfr. Saffo).
 Invero nella civiltà e nella religione greca non mancano personaggi né dèi pieni di risentimento.

Il dio del mare saluta e compiange la città caduta, finché arriva Atena che si appella alle relazioni di parentela tra loro (suggenei`~ oJmilivai . Poi chiede un favore. Sono dunque rapporti di interesse, sebbene tra consanguinei.

Cfr. Giasone nella Medea il quale "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile[1], come riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Giasone non cambia donna perché ne ha trovata una più buona o più bella, in quanto egli non è capace di giudicare eticamente o “esteticamente, cioè disinteressatamente”[2]. “Ora, come esistono persone amorali, esistono delle persone aestetiche[3].

Nell’Oreste[4], il figlio di Agamennone, in lode dell'amicizia di Pilade, consiglia:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di diecimila consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(miriade vv. 804 - 806).
Tutt’altra è la posizione di Sofocle, specialmente nell’Antigone.

Atena è volubile e ha capovolto in odio la simpatia per il Greci. Nella scelta di parte è una specie di saltimbanco (lat. desultor)[5], femminile desultrix.
Poseidone in effetti le domanda: “tiv d j w|de phda`/~ misei`~ te livan kai; filei`~ o]n a[n tuvch/~;” (67) perché salti così da una disposizione all’altra, e odi eccessivamente e ami chi ti capita?
liavn: l’eccesso, il troppo, è uno dei peccati capitali dei Greci
Comunque Atena ha un motivo per odiare i Greci i quali non hanno punito Aiace di Oileo dopo che ha trascinato via Cassandra dal suo tempio .
La pena degli Elleni sarà il loro duvsnosto~ nosto~ (v. 75), ritorno negato.
Non tutti gli Achei magari sono colpevoli, ma Atena vuole la decimazione e chiede a Poseidone: “ plh`son de; nekrw`n -
plenus, pletora - quantità eccessiva - inglese plenty e plethora quantità eccessiva , koi`lon –cavo, concavo - caverna - .Eujboiva~ mucovn”, riempi di cadaveri la cava insenatura dell’Eubea (v. 84).

In fondo gli dèi scatenano le guerre, magari con dei fantasmi, per alleggerire la terra del peso eccessivo degli uomini (cfr. le tragedie di Euripide Elena, Elettra, Oreste), e la morte può toccare a tutti.
Poseidone conclude il suo discorso con l’accusa di mwriva nei confronti di chi distrugge le città: "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", - naou;" te tuvmbou" q j, iJera; tw'n kekmhkovtwn, - ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95 - 97)
E’ stolto tra i mortali chi devasta le città,
consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri
dei morti: egli stesso dopo è già morto

Cfr. Tucidide V, 90: i Melii dicono agli Ateniesi che bisogna salvare il bene comune e la giustizia poiché in caso di insuccesso loro diverrebbero un esempio per una durissima punizione.

Infatti Senofonte in Elleniche II, 2, 3 racconta che gli Ateniesi dopo Egospotami temevano di subire quanto avevano inflitto ai Melii cui tra l’altro avevano imposto 500 cleruchi. Quindi Lisandro riportò a Melo gli isolani superstiti II, 2, 9.

Se un uomo sa di essere uomo, come Teseo nell’Edipo a Colono ("e[xoid j ajnh;r w[n",v.567), sa pure che deve morire e non ammazza altri uomini, anzi, li aiuta, se può.

Ma torniamo al prologo delle Troiane
Entra in scena Ecuba intonando una monodia in anapesti (vv. 98 - 152)
 e consiglia a se stessa l’accettazione del destino con una metafora nautica:
“naviga plei` secondo la rotta, naviga secondo il destino plei` kata; daivmona e non porre la prora della vita contro l’onda, ma naviga secondo le sorti” (vv. 103 - 105).
E’ una dichiarazione amara di amor fati.

Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ (v. 108), il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.

Per Seneca il potere è un nucleo di male.
Il regno è un bene scivoloso, un potere claudicante (p. 13)
“ Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis!”(Oedipus, 5 - 6).
Minor in parvis fortuna furit (Fedra, IV coro , 1124).

Precarietà del successo
Nelle Troiane di Seneca, Agamennone al culmine della sua carriera di a[nax mostra di avere coscienza di questa legge della rovinosa caduta probabile per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (vv. 258 - 266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta. 
Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.
Anche in Shakespeare il potere si rivela spesso quale male.
Enrico VI, terza parte: “O God, methink it were a happy life/to be no better than a homely swain” (II, 5, monologo del re che vorrebbe essere un semplice pastore ) O anche Riccardo II

Nel Riccardo II si legge che la Morte tiene la corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning at his pomp.

Riccardo II[6] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God’sake let us sit upon the round
And tell sad stories of the death of kings:
How some have been deposed, some slain in war,
Some haunted by the ghosts they have deposed,
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d,
All murdered. For within the hollow crown
That rounds the mortal temples of a king
Keeps death his court; and there the antic sits,
Scoffing his state and grinning at his pomp,
 (Riccardo II, III, 2, 155 - 177)

Il senso della misura e la teoria della classe media
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine? E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).

La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui, nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni". Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[7]. Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del “nulla di troppo”, condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611 - 614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn - ajnovmou t& ajfrosuvna" - to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387 - 389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.


CONTINUA



[1] Vedi la scheda “L’interpretazione pragmatica delle azioni umane” successiva al v. 368.
[2] P. P. Pasolini, Il caos, p. 178.
[3] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 113.
[4] Del 408 a. C.
[5] Cfr. Ovidio, Amores I, 3, 15: “non mihi mille placent, non sum desultor amoris”, non me ne piacciono mille, non sono il saltimbanco dell’amore.
[6] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367 – Pontefract14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
I Plantageneti sono assimilabili ai Pelopidi e ai Labdacidi per gli aspetti tragici di queste famiglie.
[7] Plutarco , Vita di Solone , 27.