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Astianatte viene precipitato dalle mura di Troia |
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Le Troiane di Euripide. Parte 1. Riveduto e corretto. trovate gli altri capitoli nel mio blog
Le Troiane di
Euripide (415 a. C.)
Era il terzo dramma della
trilogia Alessandro, Palamede.
Il dramma satiresco forse era Sisifo.
E’ l’ unica trilogia di Euripide a contenuto unitario.
Il motivo predominante è la condanna
della guerra.
Pochi mesi prima della
rappresentazione di questa tragedia c’era stato il massacro e la
schiavizzazione degli abitanti della piccola isola di Melo da parte degli
Ateniesi.
Cruciali sono i versi con i quali
Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j
ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (764 - 765), o Greci inventori della barbarie,
perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? Ammazzare un
bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.
Cfr. Nel De republica di Cicerone, Lelio dice a Scipione
che Romolo secondo i Greci fu re di barbari, ma, commenta, “se tale nome
dobbiamo darlo ai costumi e non alla lingua, non considero i Greci meno barbari
dei Romani “sin id nomen moribus dandum est, non linguis, non Graecos minus
barbaros quam Romanos puto” (I, 58).
Prologo vv. 1 - 151.
Ma partiamo dal prologo dove
Poseidone espone fatti e antefatti.
Da una parte, quella da dove viene
il dio, c’è il mare Egeo con le Nereidi, che come le Muse, figlie di Zeus e
della Memoria danzano guizzando con agili piedi; dall’altra c’è la città di
Troia, distrutta dalla ferocia degli uomini e dal risentimento delle due dèe
ostili ai Troiani: Era e Atena.
Nietzsche sostiene che la morale del
risentimento è quella giudaico - cristiana, che è poi la morale degli schiavi,
mentre nella religione greca prevale il sentimento della gratitudine (cfr.
Saffo).
Invero nella civiltà e nella
religione greca non mancano personaggi né dèi pieni di risentimento.
Il dio del mare saluta e compiange
la città caduta, finché arriva Atena che si appella alle relazioni di parentela
tra loro (suggenei`~ oJmilivai . Poi chiede un favore. Sono
dunque rapporti di interesse, sebbene tra consanguinei.
Cfr. Giasone nella Medea il quale
"dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che
è più utile[1], come
riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo.
Giasone non cambia donna perché ne ha trovata una più buona o più bella, in
quanto egli non è capace di giudicare eticamente o “esteticamente, cioè
disinteressatamente”[2].
“Ora, come esistono persone amorali, esistono delle persone aestetiche”[3].
Nell’Oreste[4],
il figlio di Agamennone, in lode dell'amicizia di Pilade,
consiglia:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel
carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di diecimila
consanguinei (murivwn kreivsswn
oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(miriade
vv. 804 - 806).
Tutt’altra è la posizione di Sofocle, specialmente nell’Antigone.
Atena è volubile e ha capovolto in odio la simpatia per il Greci. Nella
scelta di parte è una specie di saltimbanco (lat. desultor)[5], femminile desultrix.
Poseidone in effetti le domanda: “tiv d j w|de phda`/~ misei`~ te livan kai; filei`~ o]n a[n tuvch/~;” (67) perché salti così da una disposizione
all’altra, e odi eccessivamente e ami chi ti capita?
liavn: l’eccesso, il troppo, è uno dei peccati capitali dei
Greci
Comunque Atena ha un motivo per odiare i Greci i quali non hanno punito
Aiace di Oileo dopo che ha trascinato via Cassandra dal suo tempio .
La pena degli Elleni sarà il loro duvsnosto~
nosto~ (v. 75), ritorno negato.
Non tutti gli Achei magari sono colpevoli, ma Atena vuole la decimazione e
chiede a Poseidone: “ plh`son de; nekrw`n -
plenus, pletora - quantità eccessiva -
inglese plenty e plethora quantità
eccessiva , koi`lon –cavo, concavo - caverna - .Eujboiva~ mucovn”, riempi di cadaveri la cava insenatura dell’Eubea (v. 84).
In fondo gli dèi scatenano le guerre, magari con dei fantasmi, per
alleggerire la terra del peso eccessivo degli uomini (cfr. le tragedie di
Euripide Elena, Elettra, Oreste), e la morte può toccare a tutti.
Poseidone conclude il suo discorso con l’accusa di mwriva nei confronti di chi distrugge le città: "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", -
naou;" te tuvmbou" q j, iJera; tw'n kekmhkovtwn, - ejrhmivvva/
dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95 - 97)
E’ stolto tra i mortali chi devasta
le città,
consegnando al deserto templi e
tombe, luoghi sacri
dei morti: egli stesso dopo è già
morto
Cfr. Tucidide V,
90: i Melii dicono agli Ateniesi che bisogna salvare il bene comune e la
giustizia poiché in caso di insuccesso loro diverrebbero un esempio per una
durissima punizione.
Infatti Senofonte in Elleniche II,
2, 3 racconta che gli Ateniesi dopo Egospotami temevano di subire quanto
avevano inflitto ai Melii cui tra l’altro avevano imposto 500 cleruchi. Quindi
Lisandro riportò a Melo gli isolani superstiti II, 2, 9.
Se un uomo sa di essere uomo, come Teseo nell’Edipo a Colono ("e[xoid j ajnh;r
w[n",v.567), sa pure che deve morire e non ammazza
altri uomini, anzi, li aiuta, se può.
Ma torniamo al prologo delle Troiane
Entra in scena Ecuba intonando una monodia in
anapesti (vv. 98 - 152)
e consiglia a se stessa l’accettazione del destino con una metafora
nautica:
“naviga plei` secondo la rotta, naviga
secondo il destino plei` kata; daivmona e non porre la prora della vita contro l’onda, ma naviga secondo le sorti”
(vv. 103 - 105).
E’ una dichiarazione amara di amor fati.
Ecuba constata che
il polu;~ o[gko~ (v. 108), il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che
si è dissolto.
Per Seneca il potere è un nucleo di
male.
Il regno è un bene scivoloso, un potere
claudicante (p. 13)
“ Quisquamne regno gaudet? O
fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis!”(Oedipus, 5 -
6).
Minor in parvis fortuna furit (Fedra, IV coro , 1124).
Precarietà
del successo
Nelle Troiane di Seneca, Agamennone al culmine della sua carriera di a[nax mostra di avere coscienza di questa legge della rovinosa caduta
probabile per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata
durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis
supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium
faventes. Magna momento obrui/ vincendo
didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (vv. 258 - 266), nessuno ha conservato a lungo il potere con
la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la
potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le
varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato
che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi
e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è
caduta.
Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/
fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo
alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e
insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi
della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid
in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte
quietus…" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna
ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le
creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua
sorte.
Anche in Shakespeare il potere si rivela spesso
quale male.
Enrico VI, terza parte: “O God, methink it were a happy life/to be no better
than a homely swain” (II, 5, monologo del re che vorrebbe essere un
semplice pastore ) O
anche Riccardo II
Nel Riccardo II si legge
che la Morte tiene la corte nella corona cava (within the hollow
crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning
at his pomp.
Riccardo II[6] deposto
da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God’sake let us sit upon the round
And tell sad stories of the death of kings:
How some have been deposed, some slain in war,
Some haunted by the ghosts they have deposed,
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d,
All murdered. For within the
hollow crown
That rounds the mortal temples of a king
Keeps death his court; and there the antic sits,
Scoffing his state and grinning at his pomp,
(Riccardo II, III, 2, 155 - 177)
Il senso
della misura e la teoria della classe media
In fondo la differenza tra Caos e
Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci
la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine? E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove
niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli
uomini, p. 9).
La formulazione più chiara e
sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano
re barbaro gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli chiese se conoscesse
qualcuno più felice di lui, nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma
"belli e buoni". Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle domandargli se lo
mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi
rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi,
il dio ha dato di essere misurati (metrivw"
e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare,
non regale né splendida "[7].
Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del “nulla di
troppo”, condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo
dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel
passato avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita
dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611 - 614). Anche il
"sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn
stomavtwn - ajnovmou t& ajfrosuvna" - to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi
nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387 - 389), di bocche senza
freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.
CONTINUA
[1] Vedi la scheda “L’interpretazione
pragmatica delle azioni umane” successiva al v. 368.
[2] P. P. Pasolini, Il
caos, p. 178.
[3] P. P. Pasolini, Le
belle bandiere, p. 113.
[5] Cfr. Ovidio, Amores I,
3, 15: “non mihi mille placent, non sum desultor amoris”, non me ne
piacciono mille, non sono il saltimbanco dell’amore.
I Plantageneti sono assimilabili ai
Pelopidi e ai Labdacidi per gli aspetti tragici di queste famiglie.
[7] Plutarco , Vita di
Solone , 27.