lunedì 22 dicembre 2025

Didone- Enea. Undicesima parte.


Dopo avere parlato, l'immagine onirica del dio Mercurio tornò nell'oscuro e ribollente crogiolo dell'inconscio, ovvero, con le parole di Virgilio:"sic fatus nocti se immiscuit atrae " (v. 570), dopo avere detto così, si mescolò alla notte oscura. Il sogno però non si era mascherato abbastanza bene, sicché Enea si svegliò terrorizzato:"Tum vero Aeneas subitis exterritus umbris/corripit e somno corpus sociosque fatigat " (vv. 571-572), allora sì che Enea, spaventato dall'apparizione improvvisa, strappa il corpo dal sonno e incalza i compagni.

Angoscioso è stato il sogno di Enea il quale in ogni caso obbedisce subito a quell'ombra onirica, senza nemmeno chiedersi da dove venga: se dal cielo, da se stesso, o dall'inferno:"Sequimur te, sancte deorum, /quisquis es, imperioque iterum paremus ovantes " (vv. 576-577), seguiamo te, santo tra gli dèi, chiunque tu sia, e obbediamo di nuovo al tuo comando, festanti. La formula liturgica sancte deorum , completata da  quisquis es  (v. 577) derivato dai tragici[1] e rivolto agli dèi, lascia spazio all'unica interpretazione della provenienza divina dell'ordine cui dunque bisogna obbedire.

Quanto al participio ovantes , si può accostare a Georgiche  I, 423 (ovantes gutture  corvi,  i corvi che festeggiano a squarciagola il ritorno del sole) e inferirne che Didone era diventata noiosa, e che quindi lasciare tale amante per Enea era  una festa. Per quale altro motivo infatti realisticamente e umanamente si lascia un'amante (e pure un amante)?

 

Omero senza tante impalcature moralistiche e menzogne imperiali  dice che Odisseo desiderava lasciare Calipso, la quale lo trovò mentre piangeva, semplicemente poiché questa femmina, umana o divina che fosse, non gli piaceva più :" e lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (Odissea , V, vv.151-153).

E' una spiegazione più reale e convicente. La storia virgiliana di Didone tuttavia, secondo Auerbach, è più vicina al gusto moderno:"Nel grande evento mondiale egli intrecciò, non sempre felicemente nei particolari, ma in complesso in modo indimenticabile e costitutivo per l'Europa, il primo grande romanzo d'amore spirituale nella forma fino ad oggi valida: Didone soffre un dolore più profondo che Calipso, e la sua storia è l'unico brano di grande poesia sentimentale che il medioevo abbia conosciuto"[2].

Properzio si distingue dal pio Enea. Alcibiade è il modello di tutti gli esteti

 

Enea viene giustificato da gran parte della critica; bisogna almeno dire che non è necessario essere come lui: Properzio antepone dignitosamente l'amore di Cinzia ai vantaggi che potrebbe ricavare dalla navigazione, e, al contrario dell'eroe virgiliano, non sale sulla nave:"Ah pereat, si quis lentus amare potest!/An mihi sit tanti doctas cognoscere Athenas,/atque Asiae veteres cernere divitias,/ut mihi deducta faciat convicia puppi/Cynthia et insanis ora notet manibus,/osculaque opposito dicat sibi debita vento/et nihil infido durius esse viro? " (I, 6, 12-18) ah muoia chiunque può essere insensibile nell'amore! Vale davvero la pena per me conoscere Atene la dotta, e vedere gli antichi tesori dell'Asia, posto che Cinzia mi lanci invettive salpata la nave, e segni le gote con mani furenti, e dica al vento nemico che i baci sono dovuti a lei e che nulla è più duro di un maschio infedele?

Il poeta umbro non si cura della gloria, né dell'impero né delle armi: egli, semmai, milita nella schiera di Amore:"Non ego sum laudi, non natus idoneus armis:/hanc me militiam fata subire volunt " (I, 6, 29-30), io non sono nato per la gloria, non sono adatto alle armi: i fati vogliono che mi sottoponga a questa milizia.

La navigazione che allontana gli amanti viene di nuovo esecrata da Properzio in una elegia successiva: “A pereat quicumque ratis et vela paravit-primus et invito gurgite fecit iter” (I, 17, 13-14). Chi si allontana dall’amata va contro corrente 

 

Invece Enea corre a fondare l'impero e fugge a tutto spiano lontano dalla donna: estrae dal fodero la spada fulminea (vaginaque eripit ensem /fulmineum , vv. 579-580) e taglia le gomene. Tale ardore che sostituisce quello amoroso prende contemporaneamente tutti i Troiani i quali danno di piglio ai remi e fuggono a precipizio"idem omnis [3] simul ardor habet, rapiuntque ruuntque " (v. 581).

 

 La spada e il fulmine dovrebbero essere simboli erotici se non addirittura fallici: il grande seduttore Alcibiade si era fatto incidere sullo scudo Eros fulminatore[4] invece degli stemmi gentilizi.

 

Bologna 22 dicembre 2025 ore 18, 58 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Eschilo, Agamennone 160; Euripide, Troiane , 885. Eracle 1263.

Sentiamo Ecuba nelle Troiane di Euripide (884-888)

O sostegno della terra e che sulla terra hai sede,

chiunque mai tu sia-o{sti" pot j ei\ suv-, difficile a conoscersi, 885

Zeus, sia necessità di natura- ajnavgkh fuvsew"-, sia mente dei mortali- nou`" brotw`n- 886

a te ho rivolto una preghiera:  infatti procedendo

per un cammino silenzioso, tutte le cose mortali guidi secondo giustizia

 

 

[2] E. Auerbach, Studi su Dante, p.12.

[3] =omnes.

[4] Plutarco (50 ca-125 ca d. C.),  Vita di Alcibiade , 16.


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