L’articolo 33 della COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA inizia con queste parole: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
In questi giorni nelle nostre scuole italiane si è agito malamente contro la
libertà di insegnamento. Un caso riguarda Francesca Albanese. Questa donna pregevole sostiene da tempo che ammazzare persone inermi compresi i bambini e le donne non è un’opera buona. Chi ha ripetuto a lungo che uccidere persone inermi nella striscia di Gaza non era un genocidio ma un atto di guerra, il giusto contrappasso da infliggere dopo un atto di terrorismo compiuto da uomini armati di Hamas, se la prende con questa giurista esperta di diritto internazionale e relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
Contrappasso significa “chi ha fatto del male, poi lo subisca”[1]; ebbene non sono stati i bambini uccisi, né le donne, né gli uomini inermi ammazzati per mesi a compiere l’orrendo crimine del 7 ottobre.
Leggo su “la Repubblica” di oggi che il ministro Valditara “ha inviato gli ispettori tramite l’ufficio scolastico” nella scuola Mattei di San Lazzaro. Studenti e docenti di questo istituto scolastico, dove una docente ha collegato una classe a un seminario on-line tenuto da Francesca Albanese, si sono mobilitati in favore della libertà di insegnamento. Attestati di solidarietà con l’iniziativa della collega del Mattei sono arrivati dai professori del Minghetti, del Copernico, delle Aldini Valeriani, scuole di Bologna.
Qualche giorno fa il preside delle Aldini Valeriani aveva annullato un incontro già fissato con due militari israeliani obiettori. Altra negazione della libertà di insegnamento.
Aggiungo con questo mio post la simpatia professionale e umana a quanti docenti intervengono politicamente su ciò che di problematico si legge nei testi e si nota nei fatti, in modo da motivare i ragazzi a fare collegamenti, a pensare e criticare.
Questo tentativo di intimidazione e volontà di repressione è un fatto politico del quale fa bene a preoccuparsi chi sta nella scuola.
Concludo, come è mio costume, con un paio di citazioni sulla parrhsiva, la libertà di parola che è il fondamento di ogni altra libertà, compresa quella di insegnamento.
Nello Ione di Euripide il ragazzo eponimo della tragedia dice che vorrebbe essere figlio di madre oltre che di padre ateniese perché in tal caso gli spetterebbe la parrhsiva (672) in quanto, spiega, lo straniero che piomba in quella città pura- kaqara;n ej" povlin- riguardi al gevno" (673) , anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[2] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Chiarisco che nel 451-450 era stata promulgata una legge per la quale “non doveva avere parte della città chi non fosse nato da genitori entrambi cittadini”
Analogo concetto si trova nelle Fenicie[3] di Euripide, quando Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[4].
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa libertà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[5].
Avvertenza il blog contiene 4 note e il greco non traslitterato
Bologna 23 dicembre 2025 ore 16, 49 giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
All time1891602
Today895
Yesterday474
This month15417
Last month33522
[1] “ejjktivnei d j oJ kaivnwn.-mivmnei de; mivmnonto~ ejn qrovnw/ Dio;~ -paqei`n to;n e[rxanta: qesmion gavr ” (Eschilo, Agamennone, 1562-1564), chi uccide paga. Rimane finché Zeus rimane sul trono che chi ha fatto subisca: è infatti legge stabilita.
[2] Forma poetica equivalente a kevkthtai.
[3]Rappresentata intorno al 410, poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
[4] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.
[5] Notre-Dame de Paris, Primo libro, 3
Nessun commento:
Posta un commento