sabato 20 dicembre 2025

Ifigenia CXX. L’Ungheria di maniera. Doppio sogno con le tracce mnestiche delle nuotate perigliose nel Tibisco e nel Balaton.


La notte tra il 27 e il 28 luglio del 1979 sognai: situazioni felici dei miei ventanni lontani, sognai. Ebbi due visioni notturne pullulate dal ricordo di due gite fatte nell’estate del 1971.

  La prima al Tibisco in luglio con Helena, Fulvio, Ezio, Alfredo e Claudio.

Giungemmo a Zahóny dove il fiume divideva l’Ungheria dall’Unione Sovietica all’epoca. L’acqua era solcata da motoscafi con uomini armati. Volevo farmi bello con Helena e dissi: “andiamo a nuotare?”.

Ezio approvò.

Per accentuare il rischio e l’eroismo dell’impresa dissi: “dai Ezio, attraversiamo il fiume: “vediamo se i Russi sono davvero cattivi come si dice e ci sparano addosso” Fulvio, sebbene fascista,  replicò: “No i Russi non sono cattivi, anzi sono pii, sono nostri fratelli”.

“Vedremo: andiamo a sfidarli!”, gridai con impeto giovanile.

“Ne va della vita ma si vada!”rincarò Ezio

“Eatur in mortem?” domandai simulando apprensione.

Helena replicò con il suo stile di donna coraggiosa e incoraggiante: “Ma no, il Tibisco non è l’Ussuri! Da Budapest a Vladivostok vale e funziona il patto di Varsavia!”.

Dopo tale benedizione dalla domina santa e mia protettrice avrei affrontato anche le cannonate. Sicché ci tuffammo dalla riva cespugliosa e sassosa. Quando fummo in mezzo alle rauche correnti però, il via vai dei motoscafi che perlustravano le sponde ci sbigottì. Temevamo urti terribili dalle prore dei battelli veloci o sventagliate di mitra da poppa mentre si nuotava con la testa appena affiorante dalle correnti. Mezza bravata l’avevamo già fatta e gli amici ci applaudirono. Quindi ci offrirono da bere in una csárda con violani zigani e le danze ungheresi di Brahms. Era l’Ungheria ritenuta vera,  mentre era  un poco falsa e di maniera, tuttavia mi piaceva.

Ripartimmo per Debrecen verso le nove. Nel sogno che sto raccontando Helena non c’era più. Non vedevo l’ora di arrivare per ritrovarla. Cantavo una canzoncina finlandese Kalliolle kukkulalle-rakennan mina maiani- tule tule tytto nuori- yakama se munkassani. Una lingua che mi sembrava buona per vezzeggiare gli infanti.

Queste parole avevo sentito  dal coro delle finniche e le ripetevo nel sonno senza sapere che cosa significassero, però ci sentivo dell’amore.

Arrivati a Debrecen intorno alle 23, mi precipitai sotto la finestra dove mi era apparsa tante volte Elena bella ma questa volta non c’era. Allora mi diedi a correre freneticamente su e giù per le scale dei due collegi, invano. Quindi decisi di andare a cercarla in tutti i locali della cittadina universitaria. Prima però andai a fare una doccia. Tornato in camera, avvenne il miracolo: bussò lei e mi chiese di portarla a ballare al Művész. Questo ultimo fatto  era successo davvero e mi aveva riempito di gioia quella sera lontana. “Ti ricordi più quella sera che tu danzasti accanto a me?” mi metto a cantare ora, da vecchio ultraottantenne.

 

 

Dopo questo sogno ne feci un altro, sempre fondato sul ricordo di una serata felice.

Ero con Elena in un locale sul Balaton, una sera di agosto. Avevamo cenato e bevuto insieme, parlando bene delle nostre vite. Eravamo pieni di vita e di gioia.

Volli dare un’altra prova di coraggio, di confermare il mio ruolo di vir, anzi di onorarlo mostrando segni di virtus.

“Vado a tuffarmi e  nuotare nel lago”, dissi alzandomi di scatto.

Questa volta Elena cercò di trattenermi: “stai scherzando? Hai appena terminato di cenare: vuoi lasciarmi vedova qui in Ungheria? Dovrò ripartire domani in gramaglie?”

“No, anzi, tesoro: vado a ribattezzarmi nell’acqua del Balaton per meritare il tuo amore: se non facessi il bagno dopo questa mangiata e bevuta rischierei il torpore che costituirebbe un’offesa alla tua persona, una profanazione della tua immagine santa”.

Così andai a nuotare e al ritorno fui accolto come un eroe da Elena e dai nostri amici allertati da lei nel caso che l’acqua fredda mi avesse provocato una congestione cerebrale.

Due storie dunque e un doppio sogno. Credo che se non avessi nell’anima tali ricordi sarei morto da un pezzo, morto pazzo per la pena e  la noia sofferte dai tanti stolti e mascalzoni incontrati via via. Ricordi belli e santi  come questi costituiscono  la migliore delle educazioni. Lo dice Alioscia alla fine dei Fratelli Karamazov e lo confermo con queste storie di Elena e mie.

 

p. s

Le parole della canzoncina finlandese possono essere piene di errori grafici. Se qualcuno me le correggerò sarò contento. Magari fosse Elena stessa! Chissà se è ancora viva o è morta come gran parte dei miei coetanei. Era del ’45.

 Marisa che era nata nel luglio del 1944 è morta: ne ero innamorato in terza media nel 1958 a 13 anni e mezzo: eravamo i due

 scolari più egregi delle due classi del Lucio Accio dove ci avevano disposti: lei nella sezione femminile di francese, io in quella maschile di inglese.

Cantavo: “Nessuno, ti giuro nessuno, nemmeno l’inglese ci può separar!” Invano.

Mi tenevo  su leggendo, scrivendo, parlando e pedalando. Lei era una ragazzina di razza: un’ottima alunna come me. Temo che sia inciampata nella corsa però. E’ stata l’unica che mi ha fatto pensare alle nozze.

L’amico piero, un mattacchione gridava: “giaaniizzarus, perché ami Marisa? Tanto non ti sposa?” Magari se ci fossimo sposati sarebbe andata meglio a entrambi.  

 Ma eravamo due bambini, poi ci siamo persi di vista. Il destino ci ha separati, non l’inglese. Non ho potuto neppure accarezzarla. Neanche durante la gita scolastica di terza media a Venezia. Però non l’ho ma scordata.

 

Bologna 20 dicembre 2025 ore 10, 13 giovanni ghiselli

 

p. s.

Statistiche del blog

All time1889512

Today115

Yesterday498

This month13327

Last month33522

 

 

 

 

 


Nessun commento:

Posta un commento