giovedì 18 dicembre 2025

Ifigenia CXIII La lettera enfatica e squilibrata. Amo baciare chi se ne va.


La bionda mi salutò alzando la mano sinistra. Allora mi alzai in piedi e contraccambiai il saluto ma non la seguìi. La ragazza si voltò e si unì al suo gruppo diretto verso la fermata del tram per andare a bere e ascoltare musica in un locale del centro, come usava nelle estati di Debrecen.

Non avevo risposto al richiamo della tedesca se non con un cenno di cortesia tra compagni di scuola, quindi  non la raggiunsi e non la invitai a  fare l’amore con me nell’automobile come s’era fatto sbrigativamente con Nefertiti tre anni prima.

Così  realizzavo la fantasticheria della notte remota che ho raccontato sopra.

 A una possibile avventura con una straniera, a un altro peregrinus amor   e concubitus vagus da aggiungere alla collezione, avevo preferito  relazione di maggiore durata e impegno con una donna italiana bruna e bella. Avevo ripreso la speranza che fosse ancora possibile.

Poco più tardi salìi nella stanza: sempre la stessa degli anni passati quando  scherzavo giovanilmente con gli amici e con le amanti: la numero 4 del III piano del II collegio. Sedetti nello studio che divideva le due camere  .

Scrissi a Ifigenia facendole sapere che soffrivo la mancanza di lei e che lì a Debrecen, dove pur non mancavano le persone simpatiche e mi accompagnavano ricordi belli e costitutivi di una parte non piccola della mia identità,  mi sentivo dimezzato senza di lei, però grazie a tale dolore ero del tutto sicuro di amarla. Aggiunsi che quella sera non mi sarei unito ad alcuna brigata più o meno lieta, ma sarei rimasto solo per pensare a lei, la mia compagna ricca di mito e di poesia.

Non so quanto fossi convinto di queste parole: probabilmente non lo ero del tutto perché non ravvisai morfh; ejpevwn in quanto avevo scritto e tanto meno frevne~ ejsqlaiv[1].

Il giorno seguente, 25 luglio 1979, lo passai in solitudine fino alle 10 di sera.  Dopo essere stato a lezione distrattamente, lessi e studiai la Storia dei Romani di Gaetano De Sanctis, poi All’ombra delle fanciulle in fiore di Proust, corsi i 5000 metri due volte non consecutive, pensai a Ifigenia, quindi le scrissi questi pensieri squilibrati:

“Ifigenia, tesoro, tu non sei qui, ma il ricordo del tuo sorriso abbronzato e festivo decora tutte le ore della mia giornata solitaria, studiosa, sportiva e riflessiva. Ricordo il tuo splendido corpo che, svestito a festa, illuminava le stanze di casa mia, cupe altrimenti nella tetra atmosfera della nostra fosca e turrita  Bologna dove lunghi sono gli inverni; ricordo le tue gonne che,  quando mi correvi incontro, si sollevavano al vento di primavera profumandolo con l’odore delizioso della tua pelle; ricordo come il tuo corpo brunito, all’inizio di questa stagione, si intonava  all’aria marina quando andavamo sul moscone, al largo della spiaggia di Pesaro per fare l’amore, e le farfalle ci danzavano intorno con i loro  voli eleganti e i gabbiani sopra di noi ci salutavano con le loro ovazioni sonore ovantes gutture gaviae. Io ti amo, Ifigenia, ti amo. Questi ricordi mi mantengono vivo, emozionato, attivo anche nella tua assenza pur dolorosa, e il tuo sorriso illumina, riempie di vita il mio cervello che altrimenti si stancherebbe nello studio della storia della prepotenza dei Romani e nella lettura di Proust, sensibile e raffinato ma talora  carente di forza sintetica. Un’orchidea di serra spesso carente di nerbo nonostante l’etimologia[2].

 Ho con me la copia del volume All’ombra delle fanciulle in fiore che mi regalasti, e non manco mai di accarezzare, odorare, baciare la pagina sacra con le parole della tua dedica ricca di amore. Così il profumo di te, portato dal vento dell’ovest, mi ispira, mi spinge a correre sulla pista dello stadio più di una volta al giorno con tutte le forze, a cronometro, e mentre spremo con gioia i liquidi del mio corpo agonista mi sembra di avere un orgasmo con te.

La tua presenza in carne deliziosa e ossa modellate con arte, la tua parola intuitiva, poetica, amore, mi manca a tal punto che, quando l’effluvio odoroso di te, portato dal vento occidentale, si attenuerà trattenuto dagli alberi, allora io,  per avvicinarmi a te, mi sposterò  nella pianura ricca di girasoli: là correrò sulla strada asfaltata, mentre i soffi dell’aria odorosa di te mi benediranno e mi renderanno beato con il tuo aroma tutto intero prima che questo sia arrivato sulla grande foresta di Debrecen e sia stato privato dalle  foglie assorbenti avide  dell’essenza preziosa  esalata dalla tua carne divina. 

Ciao. Come vedi, ti penso.

Tuo

gianni”.

Tali iperboli barocche generava la mia smania amorosa. Ora so che quella donna era molto più amabile in assenza che in presenza, più desiderabile quando si trovava molto lontano che quando stava troppo vicino.

 

Endre Ady, un poeta ungherese del Novecento, ha scritto:

“Amo l’amore morente

Amo baciare chi se ne va”

szeretem megcsókolni azt,

Aki elmegy-

 (Parente della Morte in Sangue e oro, 1907).

 

Avvertenza: il blog contiene 2 note e il greco non traslitterato.

 

Bologna 18  dicembre 2025  ore 10 giovanni ghiselli

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[1]  Nell’XI canto dell’Odissea Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368).

 

[2] Cfr. greco o[rci~ , testicolo,  quindi dall’aspetto- ei\do~- simile a quello dei testicoli.


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