venerdì 26 dicembre 2025

Ifigenia CXL Il sogno “che del futuro mi squarciò ’l velame”. “E c’era quel canto di morte”. L’acume di Isabella profetessa lucida.


La notte tra l’11 e il 12 agosto feci un sogno angoscioso.

Mi vedevo a Pesaro nella casa delle zie, mentre studiavo e aspettavo un segno da Ifigenia o da qualche uccello fatidico: una rondine che annuncia la primavera oppure lo stupro della sorella da parte del berbaro re  con il conseguente assassinio del figlio seguito da un pianto di morte.

 Ero in camera mia, quando udìi un tinnulo squillo. Veniva dal piano di sotto, forse dall’andito dove si trovava il telefono. Era davvero flebile  e  mi entrava nel cuore mettendolo in agitazione. Pensai, dormendo e sognando, che quel suono  potesse essere la richiesta di aiuto di una bambina che non voleva essere abortita . Allora mi vidi uscire dalla stanza e correre giù per le scale. Queste però si muovevano verso l’alto come i gradini di ferro che avevo visto salire e scendere tra i piani della Rinascente di Milano nei primi anni Cinquanta, non senza stupore.

Scendevo di corsa ma guadagnavo poco terreno a costo di una grande fatica   poiché i gradini dentati di quella scala ferrigna mi riportavano in su con una velocità quasi pari alla mia .

Oltretutto davanti all’ultimo tratto del ferreo tappeto che risaliva ruotando e cigolando c’era un ostacolo: un inginocchiatoio con sopra la foto di un bambino nel giorno assai triste della prima comunione. Aveva l’aria di un orfano denutrito, infreddolito, reso trepido e pallido dai patimenti. Chi era? Ero io? Era nessuno? Erano tutti i bambini infelici? Con uno sforzo supremo riuscivo a raggiungere il penultimo gradino, a saltare l’ostacolo e  afferrare il telefono.

“Pronto dissi con l’ultimo fiato. Sono gianni, pronto”.

“Pronto” rispose una voce tanto lontana e fioca che sembrava provenire dal paese nebbioso dei morti dove non brilla mai il sole né quando sale nel cielo stellato né quando torna a tuffarsi nel mare.

“Io sono Claudia, la sua allieva, si ricorda di me?

“Oh, sì, certo, ricordo, ricordo benissimo te, il Minghetti i suoi lunghi corridoi scuri nelle mattine invernali, i sorrisi viceversa luminosi di voi ragazzi e la giovane collega venuta dal cielo a rallegrarmi nella stagione dello scontento”.

Seguì un poco di silenzio, quindi Claudia mi domandò:

“Ha saputo cosa è successo?”

“No, che cosa?”

“Una cosa terribile prof”,  disse l’alunna

“terribile come? terribile a chi?”

“Una cosa terribile, terribile”, ripetè, poi tacque

Allora gridai: “A chi, a chi, alla vita della mia vita?”

“Morta, Sì, morta”.

Quindi iniziai a singhiozzare convulsamente e continuai, fino a quando il vecchio boemo che dormiva con me, mi diede una strattone e mi svegliò.

Questo fu il sogno “che del futuro mi squarciò  il velame”.

Avevo bisogno di affondare lo sguardo nelle situazioni tragiche che vivevo se volevo raccontarle in maniera da renderle universali. Nella mia pena  se ne adunavano tante altre poiché il dolore è eterno e riguarda tutti noi destinati alla morte.

 

Il mattino seguente durante la colazione non parlai con nessuno né mi guardai intorno.

 Cercavo di interpretare le immagini oniriche  avvalendomi della lettura dei libri di Freud che allora compulsavo. Sapevo che la censura maschera il significato vero che cerca di rimanere latente. Volevo svelare  la verità che in greco si dice ajlhvqeia, ossia “non latenza”, disvelamento appunto.

Probabilmente la terribile notizia paventata al punto da farmi singhiozzare,  sotto sotto me l’aspettavo e addirittura la desideravo: Ifigenia me ne aveva fatte troppe perché volessi ancora dividere la vita con lei. Non funzionavamo insieme: dovevo cercarmene un’altra. Oramai la lunga, vana e penosa attesa dell’epistola promessa  aveva causato in me un disgusto profondo per la giovane collega e amante, per quel mio pedagogico aborto, quel fallimento educativo nonostante tutte le fatiche umanamente spese con la speranza di rendere anche buona quella donna bella che oramai mi appariva quale un diavolo incarnato.  Prospero e Calibano novelli eravamo noi due.

In lei vedevo disordine mentale, ingratitudine, mancanza di quella finezza d’animo di cui ho sempre sentito il bisogno nel prossimo mio.

 Mi sovvenni di quando l’aspettavo trepido sulla spiaggia di Pesaro, e lei, appena arrivata, disse con un sorriso sfacciato che in treno aveva vissuto tre quarti d’ora allegri e piacevoli, con un ferroviere fantastico.

“Di certo un cuccettista scaltro e abile nell’approfittare di ogni impudica disponibile”, avevo pensato.

Mi ricordai pure della sera recente quando, arrivato a Pesaro intorno alle 22 dopo un viaggio lungo e noioso sull’autostrada, ricevetti una telefonata da Ifigenia che mi chiedeva con insistenza di tornare indietro fino a Misano.

Ero reduce dallo scrutinio dell’esame di maturità al liceo Beccaria di Milano ed ero  assai affaticato, eppure ne fui contento. Ma  quando l’ebbi raggiunta, mi raccontò che nel pomeriggio era stata sul moscone con un uomo interessante , un tale più o meno della mia età, molto esperto di donne che le aveva proposto, solo ioci causa certo, di entrare nel suo harem. Aggiunse che nel serraglio non sarebbe entrata, ma se io non ero troppo geloso sarebbe uscita con lui qualche volta la sera mentre ero a Debrecen. Risposi che doveva deciderlo lei.

Da siffatto comportamento ho imparato a non essere geloso: dopo Ifigenia quando una donna si è messa a cercare ingelosirmi per scherzo o sul serio, ho subito disdetto la relazione dicendo che era stata solo un’avventura già troppo lunga.

 Ho cacciato dal mio cervello il mostro dagli occhi verdi che ha annientato Otello rendendolo pazzo e assassino di Desdemona, la disgraziata.

Poi l’ultima iniezione di veleno nel mio sangue già intossicato da lei: la promessa non mantenuta dell’espresso postale.

Conclusi che il sogno mi aveva indicato la via della ritirata da quella donna. Non mi aveva ancora lasciato ma io vivevo già senza di lei.

Sul mezzogiorno andai a correre i 5000 metri: 20 minuti e 15 secondi. Un poco meglio dell’ultima volta. Dopo la prova, Isabella che era venuta a cronometrarmi, disse: “se la tua compagna non ti scrive perché amoreggia con un altro ma vuole restare ancora del tempo con te finché le conviene, stai certo che non ti farà sapere niente della sua estate.  Il suo tempus tacendi sarebbe già scaduto se tu le stessi a cuore. Credo che aspetti di vedere come andrà a finire con il ganzo attualmente in carica. Se non potrà o non vorrà restare con quello e avrà ancora bisogno dell’aiuto tuo, dirà che ti ha sempre amato e non ti ha scritto perché paventava la tua critica al suo stile che le pareva non abbastanza ornato per uno come te”.

Isabella era lucida oltre essere buona.

 

Bologna 26 dicembre 2025 ore 17, 21 giovanni ghiselli

p. s.

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