lunedì 22 dicembre 2025

Ifigenia CXXVII. La festa sulla terrazza. La possibilità di una vendetta allegra. Silvia Viràg.


 

 

La sera del primo di agosto c’era una festa sulla terrazza del casinetto di fianco allo stadio. Si beveva e si ballava. C’erano tutti i miei conoscenti  di quell’anno 1979 e pure i pochi reduci dal passato. C’era anche la bella slava Giulia in forma splendente: i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, radiosi, facevano venire in mente il mare di Grecia illuminato dal sole. Mi punse vaghezza di farle la corte e di piacerle poiché Ifigenia continuava a non scrivere infliggendomi una ferita ogni giorno, quando, dopo la scuola, andavo a vedere se c’era posta per me. Una piaga, poi un’ulcera che mi bruciava dentro e fuori. Sempre più incurabile diveniva il dolore.

 La posta c’era  solo per altri. Il vulnus si cronicizzava diventando ulcus che imputridiva e uccideva l’amore.

Ogni giorno soffrivo per l’assenza di qualsiasi risposta. Allora  si riapriva la ferita inflitta dalla mamma che non mi scriveva quando ero a Moena negli anni Cinquanta e mi venivano in mente i versi di Sofocle con i quali Edipo rivendica a se stesso una facoltà di sopportazione del  male che nessun altro possiede:"tajma; ga;r kaka;-oujdei;" oi|ov" te plh;n ejmou' fevrein brotw'n" (Edipo re, vv. 1414-1415), i miei mali infatti/nessuno è capace di sopportarli tranne me.

Con questa appropriazione mi attribuivo un aspetto eroico e pure artistico. Mi consolavo così come quando da bambino maltrattato ripetevo tra me i versi di Leopardi mentre guardavo il colle di Recanati da quello di Potenza Picena e i miei poveri occhi non brillavano d’altro se non di pianto.

 

 Il dolore della posta scoccava a  mezzo il giorno dopo le lezioni. Quella sera invece pensai che potevo procurarmi un farmaco contro la pena  con una corte talmente ben fatta da  consentirmi di prendere una vendetta allegra sull’infame che continuava a frustrare il mio desiderio  delle parole promesse.  verbum scritto né verba. Mai.

 

C’era Silvia Virág che mi corteggiava apertamente e mi gratificava  dicendo che le piacevo siccome ero molto diverso dagli altri. Le sorrisi e la ringraziai, ma prima di darle una risposta mi chiesi se la stravaganza fosse davvero un’ottima cosa. Allora non avevo le idèe chiare su questo. Ora rispondo che essere soli e diversi non è bene e non è pienamente umano se è vero che siamo animali politici e linguistici, ma quando il prossimo nostro si spoliticizza e diviene brutale o vegetale, quando  si riduce a un branco di profittatori imbecilli e parassiti, allora stare da soli a leggere, riflettere, scrivere è la maniera per salvare quanto rimane della propria identità umana e politica lavorando per “Gli uomini dell’avvenire: “essi saranno la mitezza e la forza”, ha scritto in una cara poesia,  József Attila.

Attila è il nome perché i Magiari antepongono il cognome.

“Saranno sempre in attesa di un ospite imprevisto : anche per lui prepareranno il desco e gli apriranno il cuore”.

A Silvia dissi che non mi spiaceva essere differente dagli altri, anche se tale ajtopiva mi era costata solitudini lunghe e difficili, talora pure dolorose. Il corso estivo di Debrecen, aggiunsi, “ invece è sempre stato un ambiente strano e consolatorio per me, siccome frequentato da studiosi di materie umanistiche provenienti da quasi tutte le Università europèe: noi  ci eravamo incontrati in un posto speciale dove si potevano trovare persone inclini al pensiero e curiose di imparare; viceversa  frequentare la gente usuale diseducata dalla pubblicità, corrotta dalle propagande del male e infarcita di luoghi comuni rancidi, ascoltare banalità e menzogne, significava perdere tempo, il bene più prezioso di questa breve esistenza. Di qui la mia solitudine cronica e la mia diversità da anacoreta desideroso di imparare.Tuttavia non dispero che un giorno, forse in seguito a un’apocalisse, rinasca un ethos politico tra la gente comune, che dai testi della Grecia classica rinasca un popolo capace di pensare e sentire umanamente; allora la preparazione che sto costruendo in me stesso, con anni di lavoro solitario, forse potrò impiegarla in favore de bipedi tornati a essere umani”.

“Dovresti scrivere-disse la ragazza tedesca mal maritata con l’ ungherese Virág e separata da lui pur mantenendone il cognome che significa fiore  come ho già detto.

“Ci penserò. Lo farò di sicuro quando avrò qualcosa di preciso da dire se allora avrò potenziato e raffinato il mio linguaggio, trovato uno stile mio e ne sentirò la necessità”, risposi a Silvia, che impersonava una possibile rivalsa su quella che dal lido adriano non mi scriveva siccome non aveva niente di bello da farmi sapere né di onesto.

Il nostro rapporto era del tutto sbilenco e faceva schifo oramai.

 

Bologna 22  dicembre  2025 ore 11, 19 giovanni ghiselli.

p. s.

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