sabato 20 dicembre 2025

Enea e Didone Nona parte. La notte porta il riposo a tutti ma non alle donne innamorate Didone e Medea.

 

Dobbiamo correggere i circuiti guasti del nostro cervello osservando il cielo  (Platone, Timeo; Euripide Eracle, Baccanti; Arthur Miller Morte di un commeso viaggiatore)  

 

 

Nemmeno la notte che porta riposo a tutte le creature lenisce l'affanno[1]  dell'abbandonata:"Nox erat et placidum carpebant fessa soporem[2]/corpora per terras silvaeque et saeva quierant/aequora, cum medio volvontur sidera lapsu,/cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,/quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis/rura tenent, somno positae sub nocte silenti/(lenibant curas et corda oblita laborum.[3])/At non infelix animi Phoenissa neque umquam/solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem/accipit: ingeminant curae rursusque resurgens/saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu " (Eneide, IV. vv. 522-532), Era notte e i corpi stanchi raccoglievano per le terre il placido sonno e le selve e le acque furiose erano tranquille, quando le stelle si volgono alla metà del loro giro, quando tace ogni campo, le bestie e gli uccelli variopinti, sia quelli che abitano per largo tratto i limpidi laghi, sia quelli delle campagne ispide di cespugli, posati nel sonno sotto la notte silenziosa (calmavano gli affanni e i cuori dimentichi delle fatiche). Ma la Fenicia infelice nell'animo non si libera mai nel sonno e non accoglie la notte negli occhi o nel petto: raddoppiano gli affanni, e l'amore, insorgendo di nuovo, infuria e fluttua in un grande ribollimento di ire.

 

 Ecco dunque il contrasto tra la quiete della natura e l'agitazione della creatura che si sente in colpa.

 La tragedia in effetti nasce sempre da un cozzo tra l'uomo e l'universo ai cui ritmi invece ogni vivente deve adeguarsi.

 I modelli di questo notturno sono diversi. Il più antico e suggestivo è quello di Alcmane[4]:" Dormono le cime dei monti e i burroni/e le balze e anche le gole/e le specie degli animali quante ne nutre la nera terra/e le fiere montane e la stirpe delle api/e i mostri negli abissi del mare purpureo; /dormono le razze degli uccelli dalle ampie ali" (fr. 58 D.). Questo frammento probabilmente faceva parte di un partenio recitato durante una festa notturna, e, da poesia di occasione, è divenuto un topos con un seguito tanto lungo nella letteratura europea che non è il caso di fare l'elenco delle imitazioni. Si può notare che non mancano echi di formule omeriche, come del resto è di derivazione epica l'osservazione attenta del mondo della natura. Tale attenzione è conseguenza di un rapporto vivo con il mondo ed è rivolta alla quiete e all'armonia di un cosmo da cui l'uomo non è ancora  escluso.

 

 Il contrasto rilevato da Virgilio  si trova già in Apollonio Rodio quando cala la notte che porta il desiderio del sonno a tutti, ma non a Medea tenuta sveglia dal desiderio di Giasone:" quindi la notte portava la tenebra sopra la terra; nel mare i marinai fissarono l'Orsa Maggiore e le stelle di Orione dalle navi, e qualche viandante e custode di porte desiderava il sonno, e un denso torpore avvolgeva una madre di bambini morti; né c'era più abbaiare di cani per la città, né chiasso sonoro: il silenzio possedeva la tenebra che diventava nera. Ma il dolce sonno non prese Medea: molti pensieri la tenevano sveglia poiché le mancava Giasone e temeva la possente forza dei tori"( Argonautiche , III, 744-753).

Alla natura forte e sana del lirico arcaico è già succeduto un mondo che incornicia il dolore degli uomini. Quella madre di bimbi morti sembra anticipare vedove, orfani e simili creature sofferenti di Pascoli.

 

Dobbiamo correggere i circuiti guasti del nostro cervello osservando il cielo.

 

Nel Timeo, Platone afferma che dio ha trovato per noi e ci ha donato la vista affinché, osservando nel cielo i giri della mente, ce ne avvalessimo per i moti circolari del nostro modo di pensare, dal momento che sono affini agli ordinati del cielo i nostri disordinati, e imparando e divenendo

partecipi della esattezza dei calcoli veri secondo natura, e imitando i giri della divinità che sono regolari, potessimo correggere quelli che vanno errando dentro di noi 

 Vediamolo in greco

qeÕn ¹m‹n ¢neure‹n dwr»sasqa… te Ôyin,

 †na t¦j ™n oÙranù toà noà katidÒntej periÒdouj crhsa…meqa

™pˆ t¦j perifor¦j t¦j tÁj par' ¹m‹n diano»sewj, suggene‹j

™ke…naij oÜsaj, ¢tar£ktoij tetaragmšnaj, ™kmaqÒntej d kaˆ

logismîn kat¦ fÚsin ÑrqÒthtoj metascÒntej, mimoÚmenoi

t¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, ¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, t¦j ™n ¹m‹n peplanhmšnaj katasthsa…meqa ((47 b-c).

 

Quindi  (Timeo, 90, c-d)p©sa ¢n£gkh (…) eâ kekosmhmšnon tÕn da…mona sÚnoikon ˜autù, diaferÒntwj eÙda…mona enai. qerape…a d d¾ pantˆ pantÕj m…a, t¦j o„ke…aj ˜k£stJ trof¦j kaˆ kin»seij ¢podidÒnai. tù d' ™n  ¹m‹n qe…J suggene‹j e„sin kin»seij aƒ toà pantÕj diano»seij kaˆ perifora…· taÚtaij d¾ sunepÒmenon ›kaston de‹, t¦j perˆ  t¾n gšnesin ™n tÍ kefalÍ diefqarmšnaj ¹mîn periÒdouj  ™xorqoànta di¦ tÕ katamanq£nein t¦j toà pantÕj ¡rmon…aj te kaˆ perifor£j”, è del tutto necessario che colui il quale ha tenuto in ordine la parte divina che abita in lui sia sopra tutti felice. La cura del tutto è per ciascuno una sola, assegnare a ciacuna parte nutrimenti e movimenti appropriati. Sono congeniali alla nostra parte divina i movimenti, i pensieri e le circolazioni dell’universo. Dunque ciascuno deve seguire questi correggendo i circuiti guasti già sulla nascita nella testa attraverso l’apprendimento delle armonie e circolazioni dell’universo.

 

 

Nelle Baccanti di Euripide, Cadmo invita la figlia Agave, che resa pazza da Dioniso ha ucciso il proprio figliolo Penteo, a guardare il cielo:

“ Per prima cosa lascia il  tuo occhio spaziare  qua nel cielo” (1262)

Quindi la menade infuriata torna in sé e prende  coscienza dell’orrore compiuto disperandosi. Pure Eracle guarda il cielo dopo avere ucciso i suoi figli.                                

 

Sentiamo  Dodds: “Cadmus begins his treatment by getting Agaue to concentrate on something in the external world…He then suggests to her that its appearance has changed, and she thereupon feels as if a mist were lifting from her eyes. So Heracles says on recovering his sanity (Her. 1089-1090) devdorc j a{per me dei`, -/aijqevra te kai; gh`n tovxa q    j   JHlivou tavde[5], Cadmo comincia il suo trattamento facendo concentrare Agave su qualche cosa nel mondo esterno…Egli poi le suggerisce che la sua apparenza è cambiata, ed ella conseguentemente sente come se una nebbia si stesse levando dai suoi occhi. Così Eracle dice nel recuperare la sua sanità (Eracle 1089) vedo le cose che devo, il cielo e la terra e questi dardi del Sole.

Guardare il cielo apre gli occhi dell’anima a Bill Loman, il figlio  di Willy Loman, il commesso viaggiatore di Arthur Miller.

Il padre, infuriato in seguito a un aspro diverbio, gli dice: “E allora impiccati! Fammi quest’ultimo dispetto! Impiccati!” e il giovane risponde: “No, Willy, nessuno s’impicca! Oggi mi sono precipitato per dodici piani con una penna in mano. E tutt’a un tratto mi sono fermato, capisci? In mezzo alle scale mi sono fermato e ho visto il cielo. Ho visto le cose che mi piace fare a questo mondo. Lavorare e mangiare e sdraiarmi, fumare una sigaretta. E stavo lì con questa penna in mano e mi sono detto: ma che Cristo l’ho rubata a fare?”[6].

 

Bologna 20 dicembre 2025 ore 11, 52 giovanni ghiselli

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[1] Del resto nelle Metamorfosi di Ovidio la notte è "curarum maxima nutrix " (VIII, 82) la più potente nutrice di ansie amorose e infonde audacia erotica a Scilla innamorata di Minosse.

[2]" Il passo ha un parallelo famoso in Apollonio (III, 744 ss.), del quale possediamo anche una parte della traduzione di Varrone Atacino (fr. 124 Pascal: Desierant latrare canes, urbesque silebant:-omnia noctis erant placida composta quiete), che ha ispirato più di un bel verso a V. Ma V. ha intonato qui uno dei suoi più bei notturni, molto più largo, pacato e dolce dei suoi modelli, più tragicamente contrastante con la situazione di Didone, ricchissimo di quei suoni S, R, L, che creano veramente un'interpretazione musicale del silenzio". (R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 301.)

[3]I migliori editori espungono questo verso considerandolo un'interpolazione ricavata dal molto simile IX 225.

[4] Lirico corale, di lingua dorica, del VII secolo

[5] Op. cit., p. 230.

[6], Morte di un commesso viaggiatore, in A. Miller,  Teatro, trad. it. Einaudi, Torino, 1959, p. 294.


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