Infatti domando la ragione per cui le cose potrebbero essere tanto varie/
se vengono generate dal solo e puro fuoco.
Difatti a niente gioverebbe che il caldo fuoco si addensasse
né che si rarefacesse se le parti del fuoco
avessero la medesima natura che ha pure l’intero fuoco.
Di fatto l’ardore sarebbe più forte quando le parti sono addensate, 650
più debole quando poi venissero scompigliati e sparse.
Non c’è nulla che si possa pensare che avvenga oltre a questo
in tali cause né tanto meno che così grande varietà di cose
possa originarsi dai fuochi addensati e radi.
Ecco dunque che se considerano il vuoto conmisto alle cose 655
i fuochi potranno addensarsi e rimanere radi.
Ma siccome le Muse hanno molte visioni contrastanti tra loro
e rifuggono dal lasciare nelle cose il puro vuoto,
mentre temono le strade erte, perdono la retta via,
e di nuovo non vedono che tolto il vuoto alle cose 660
tutto si addensa e da tutti si produce un solo
corpo che non può fare uscire niente da sé rapidamente;
come il fuoco ardente emette luce e calore,
in modo che si veda che non è fatto di parti stipate.
E se per caso credono che in altro modo 665
i fuochi possano nella coesione estinguersi e cambiare sostanza,
e se non si asterrano dal fare questo da nessuna parte com’è evidente, certamente l’intero ardore cadrà completamene nel nulla
e dal nulla si formeranno tutte le cose create.
Infatti tutto ciò che mutato esce dai suoi limiti, 670
subito con questo c’è la morte di quello che è stato prima.
Pertanto è necessario che in quelli resti qualcosa di intatto
affinché tutte le cose non tornino completamente nel nulla
e dal nulla rinate riprenda vigore la gran quantità delle cose.
Ora dunque poiché ci sono dei corpi realissimi 675
che conservano sempre la medesima natura
e per la cui uscita o ingresso, mutato l’ordine, mutano
natura le cose e i corpi si trasformano,
è chiaro che questi elementi delle cose non sono ignei.
Commento sul testo e sul tradurre.
Lucrezio dice, in modo invero piuttosto oscuro e contorto, che il vuoto-inane- esiste, altrimenti gli atomi non potrebbero spostarsi, entrare e uscire dai corpi in modo che questi possano cambiare.
Ho cercato di rendere chiaro questo concetto espresso con insistenza e non senza confusione. Evidentemente a Lucrezio importa molto, anche troppo, confutare quanti negano che il vuoto esista. L’aveva già fatto e lo ripete con troppe parole “di colore oscuro”. Questo si trova anche nella mia traduzione perché credo che il mio compito quando traduco un testo sia rispettare le tutte le scelte dell’autore, anche le meno felici.
Ricordo alcune considerazioni di Giacomo Leopardi sulla traduzione perfetta: “La perfezion della traduzione consiste in questo, che l’autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese. Questo è il difficile, questo è ciò che non in tutte le lingue è possibile” (Zibaldone, 2134). La lingua italiana la quale è “piuttosto un aggregato di lingue che una lingua, laddove la francese è unica”, ha maggiore facoltà rispetto alle altre “di adattarsi alle forme straniere…Queste considerazioni rispetto alla detta facoltà della nostra lingua, si accrescono quando si tratta della lingua latina, o della greca. Perché alle forme di queste lingue, la nostra si adatta anche identicamente, più che qualunque altra lingua del mondo: e non è maraviglia, avendo lo stesso genio, ed essendosi sempre conservata figlia vera di dette lingue, non solo per ragioni di genealogia e di fatto, ma per vera e reale somiglianza e affinità di natura e di carattere” (Zibaldone, 964 e 965).
Cicerone al contrario afferma che nel tradurre non è opportuno attenersi alla lettera, ma si deve piuttosto interpretare l’originale: “Nec tamen exprimi verbum e verbo necesse erit, ut interpretes indiserti solent ” (De finibus bonorum et malorum III, 15), non sarà del resto necessario che si traduca parola per parola, come sono soliti i traduttori stentati. In un passo degli Academica, Cicerone sostiene che i poeti arcaici, Ennio, Pacuvio, e Accio e molti altri piacciono “qui non verba, sed vim Graecorum expresserunt poetarum” (III, 10), poiché resero non le parole ma la forza dei poeti greci.
Il tradurre letteralmente (verbum e verbo exprimere ) non esclude dunque il vertere , il ri-creare in una gara con il modello (aemulatio ).
Questa gara non esclude che alcuni inesperti di greco e di latino impieghino traduzioni altrui poi intervengano su queste magari già poco precise e mettano insieme dei testi che hanno poco da vedere con quello antico non tradotto bensì tradito,
Bologna 25 dicembre 2025 ore 18, 10 giovanni ghiselli
p. s.
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