mercoledì 17 dicembre 2025

Ifigenia CXII. La festa della conoscenza e il ricevimento del Rettore nell’Università estiva di Debrecen.


Partìi da Bologna con Alfredo domenica 22 luglio. Arrivammo a Debrecen con una sola giornata di viaggio: conoscevo molto bene la strada, come puoi immaginare, caro lettore.

 La sera del 23 c’era la festa della conoscenza, quella che negli anni passati mi era servita a incontrare la donna con la quale nel mese seguente avrei scambiato piacere, amore e non poco sapere, conseguendo comunque  una crescita della mia coscienza. Tra le altre, avevo incontrato, una per anno, le tre finlandesi Helena, Kaisa, Päivi, donne molto importanti nella mia vita. Grazie e  Muse che mi hanno spinto a studiare, a parlare e a scrivere per educare me stesso e i miei ascoltatori-lettori.

Arrivato ormai prossimo ai trentaxinque anni, osservavo l’ambiente per vedere  se c’erano alcuni  reduci del 1966 quando si era chi più chi meno ventenni, e confrontare il loro invecchiamento con il mio.  Rimaneva  soltanto l’amico  Alfredo che ancora cercava l’amore. Pensai di stare meglio di lui perché non avevo più l’ansia di trovare una donna. Il dilemma era se tenermi ancora quella che avevo e non mi lasciava in pace nemmeno per tre giorni di seguito o cercarmene un’altra. Occasioni per un divortium da Ifigenia non mi sarebbero mancate.

Osservavo le ragazze con sguardo non più famelico, né maniacale.

Tra le altre notai una bionda dai lunghi capelli che le ondeggiavano sopra le spalle a ogni mossa della testa. A un tratto si girò nella mia direzione e, come vide che la guardavo, mi rivolse un sorriso. Glielo contraccambiai ma  volli prendere tempo prima di avvicinarla.  La notte passata quasi in bianco mi pesava sul cervello e non mi lasciava le forze mentali necessarie a una conversazione significativa e interessante soprattutto in una lingua che non parlavo da  tempo. La bionda sembrava una tedesca tra i Tedeschi e con lei avrei potuto parlare inglese probabilmente. Ero fuori esercizio e troppo stanco per farlo in modo decente. Temevo di fare la parte dell’adulto immaturo,  ignorante e ridicolo. “Facilis descensus Averno”, pensai

Sicché mi ritirai nella solita  camera numero 4 del secondo collegio prima di mezzanotte. Andai subito a letto, contento di non avere fatto mosse affrettate. “C’è tempo- mi dissi- tutto il tempo”. E mi addormentai.

.

Il 24 luglio c’era il ricevimento del Rettore dell’Università di Debrecen.

Era la bella festa pomeridiana che diede l’avvio ai tre amori più importanti della mia vita: quelli con Elena nel 1971, con Kaisa nel 1972, con Päivi nel 1974[1]. Erano dunque passati ben cinque anni dall’ultimo. La nefertiti palermitana del 1976 non mi aveva lasciato grandi tracce nel cuore e tanto meno nel cervello. Negli altri anni ero stato impegnato come commissario interno o esterno nell’esame di maturità.

 Ricordavo dunque l’avvio dei tre amori più significativi della mia vita: il primo della trilogia era stato anche il migliore con la più bella e buona delle mie amanti, quindi  avevo ritualizzato gli altri due ripetendo le mosse vincenti impiegate nel corteggiare Elena

 Con Kaisa e Päivi avevo iterato variando di poco le parole e i toni che avevano funzionato bene con l’archetipo della mia felicità amorosa, scartando invece quanto era rimasto improduttivo o era stato perfino controproducente, per poche ore grazie a Dio.

Verso sera avevo portato le ragazze, una alla volta per carità, una  per anno,  nella csárda di Hortobágy dove avevo cercato di manifestare alle corteggiate il meglio di me per affascinarle e gettare le basi di un amore mensile che poteva però diventare eterno almeno nel ricordo mai obliato e raccontato in tante pagine quasi tutte belle.

Ma torniamo al 1979, poco prima del mezzo del cammin di mia vita.

A un tratto la bionda che avevo notato la sera precedente e mi aveva sorriso contraccambiata,  volse lo sguardo nella mia direzione. L’aurichiomata aveva la carnagione chiara e gli occhi azzurri. Come si accorse che la guardavo e non levavo gli occhi da lei, protese verso di me la mano destra che stringeva un bicchiere pieno di “sangue di toro”[2], il vino della comunione con ciascuna delle tre sante donne ricordate sopr.

 Nel pomeriggio luminoso di luglio quel dono di Dioniso brillava  come un rubino e la ragazza tedesca faceva segni di brindisi accarezzandomi  il volto abbronzato con uno sguardo carico di simpatia femminile.

“Ecco di nuovo l’eterno, meraviglioso richiamo dei sessi che invita a prolungare la nostra breve esistenza mortale attraverso altre creature”, pensai.

Senza indugio ricambiai con piacere il simpatico gesto. Ci guardavamo da un tavolo all’altro. Io ero intruppato con gli Italiani. Dovevo avere conservato una  forma discreta: Gli otto mesi dell’ascesi erotica praticata con Ifigenia mi avevano fatto bene più di quanto quella ragazza balzana mi avesse danneggiato con i suoi scarti di umore. Nel bicchiere avevo messo dell’acqua, ottima[3] tra tutte le bevande, terapeutica più di ogni farmaco, preziosa pura e casta e così via. In ogni caso, che mi astenessi dall’alcol era uno dei segni della forza che mi sentivo dentro.

Il proposito di rimanere fedele a Ifigenia perfino nell’abbondanza dell’offerta di Debrecen, con il senno di adesso mi pare follia e spreco di occasioni che non ritornano se non vengono acciuffate siccome sono tutte calve di dietro. Se avessi fatto l’amore anche con questa bionda che si sarebbe rivelata tutt’altro che spregevole, oggi saprei qualcosa di più sulla vita,   ma quella sera di luglio volevo capire quale parte intendesse assegnarmi il destino, e avevo deciso di assecondarlo, di recitarla bene. Lo sto facendo mentre scrivo queste parole.

Sicché non facevo mosse affrettate e tale calma mi infondeva un equilibrio che, trapelando, conferiva fascino a tutta la mia persona.

Allora ero un giovane uomo piacente. Un amore vero o presunto, comunque carnalmente goduto per mesi , tra gli altri vantaggi ha pure quello, tutt’altro che trascurabile, di imbellire gli amanti.

Se potessi tornare indietro però andrei di corsa a corteggiare quella ragazza bionda e leggermente opima.

Il fatto è che allora speravo, sbagliando, che la mia fedeltà sarebbe stata ricompensata da quella della ragazza italiana mora e snella.

Tuttavia ho fatto bene così: se avessi fatto l’amore con bionda non avrei scritto un romanzo bello come questo perché la storia della mia vita sarebbe stata diversa.

 

Dopo la festa pomeridiana, calando la sera, andai a passeggiare sui sentieri del bosco. Camminavo come dentro di me cercando di  ritrovare tante tracce del tempo passato  per  ripassarci sopra memore e grato: vedevo gli alberi di maestà dodonea, il ponticello sul laghetto, i pesci rossi che vi nuotavano, i cespugli che lo incorniciavano, il vecchio Vigadó e altri luoghi sacri alla mia memoria.

 Dopo questo ripasso, andai a sedermi in una rientranza della facciata dell’edificio universitario, una specie di nicchia con una panchina di pietra. La fontana antistante, mentre verso le otto e mezza precipitava la notte, si accese di luci multicolori che resero i vigorosi zampilli simili, sia pure in formato minore, ai fuochi d’artificio lanciati per la festa solenne del 20 agosto a illuminare il grande scenario di Buda e di Pest, al di qua e al di là del Danubio. Questa era ogni anno l’ultima sera della borsa di studio estiva. Kukka carnevali lo  chiamavano le finniche nella loro lingua primitiva quasi infantile: carnevale dei fiori.

Bologna 17 novembre 2025 ore 16, 55 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Li ho raccontati nel omanzo Tre amori a Debrecen . Si trova  nella biblioteca Ginzburg di Bologna.  In prestito gratuito.

[2] E’ il nome di un vino rosso ungherese “Egri bika vér”, sangue di toro di Egere.

[3] Cfr. Pindaro, Olimpica I


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